Il nuovo box set dei Guns N’ Roses e il paradosso d’essere outsider di successo | Rolling Stone Italia
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Il nuovo box set dei Guns N’ Roses e il paradosso d’essere outsider di successo

I sette dischi del cofanetto di 'Use Your Illusion I & II' spiegano cos'era la band negli anni '90, ovvero un mix di Stones, Elton John, Pink Floyd, Pistols, N.W.A. e Nine Inch Nails, l'alternativa al rock alternativo

Il nuovo box set dei Guns N’ Roses e il paradosso d’essere outsider di successo

Axl e Slash dei Guns N' Roses nel 1991

Foto: Kevin Mazur/WireImage

Ci hanno messo meno d’un anno, i Guns N’ Roses, per passare da paria dell’hard rock, gente che i delinquenti di strada accoglieva con “benvenuto nella giungla, stai per morire” (o peggio ancora: “la senti la mia serpentina?”) a band più pericolosa del mondo. Il debutto Appetite for Destruction del 1987 era grezzo e maleducato; sulla copertina in salsa sci-fi era ritratta una violenza sessuale mentre i testi sguazzavano nella misoginia e nell’abuso di eroina, e un pezzo (Rocket Queen) conteneva un frammento audio porno in cui una donna gemeva in studio con Axl Rose.

Teoricamente non era roba da disco d’oro, ma canzoni come Sweet Child o’ Mine e Paradise City erano semplicemente fantastiche e negli anni ’80 certe bravate, che oggi verrebbero censurate, erano ancora ben accette, per non dire incoraggiate (qualcuno ricorda Sam Kinison?). Risultato: l’album schizzò al numero uno negli Stati Uniti e ora è doppio disco di diamante. A marzo del 1987 i Guns suonavano al Roxy, il club di West Hollywood, a settembre erano già alla Long Beach Arena. In sei mesi erano diventati i nuovi ricchi del rock’n’roll.

Dopo milioni di copie vendute e tanta Patience, i Guns N’ Roses stavano ancora metabolizzando il cambiamento quando pubblicarono quei due gemelli malvagi, Use Your Illusion I e II, il loro testamento. In un concerto del maggio del 1991 a New York, incluso nella nuova edizione super deluxe del box dedicato a Use Your Illusion, il chitarrista Izzy Stradlin si rivolge alla folla così dopo una versione caotica di My Michelle: «Tre cazzo di anni fa usciva Appetite. Nessuno avrebbe scommesso un cazzo su questa band… siete stati voi a portarci al successo. E così la band è diventata grande, cazzo. È una cosa che mi ha fatto impazzire, cazzo… quindi adesso stiamo portando in tour un disco che non è ancora uscito, perché quando abbiamo iniziato, nei club, facevamo così». «La morale della storia» aggiunge Axl Rose «è che non dovete mai credere a quello che leggete su Spin».

Tutto ciò accadeva pochi mesi prima dell’uscita di Nevermind e un anno prima che Kurt Cobain, imbarcatosi nella stessa crociata dei Guns, sfoggiasse una maglietta con scritto “Corporate Magazines Still Suck” sulla copertina di Rolling Stone. Ma anche se il grunge e il revival punk avevano spodestato il rock mainstream nei ’90 (o così vuole la leggenda), i Guns N’ Roses, che avevano proposto per anni cover di UK Subs e Misfits, suonavano negli stadi come del resto i Metallica, altro gruppo che aveva fatto cover dei Misfits e dei Fang ben prima dei Nirvana. Il vecchio rock mainstream era ancora forte e lo sarebbe rimasto per almeno un paio d’anni. E quindi il box set che celebra il trentennale dei due esagerati Use Your Illusion (anche se, in stile Guns N’ Roses, arriva con un anno di ritardo), racconta una storia diversa sull’esplosione della musica alternativa.

Dopo la breve sbandata dell’EP Lies che conteneva l’intollerante One in a Million (da cui i Guns, zitti zitti, hanno preso le distanze), la band aveva deciso di incidere qualunque canzone conoscesse per i due Use Your Illusion. Riascoltati oggi, sono dischi impressionanti nella loro varietà esagerata: cover di Dylan e dei Wings, due versioni della stessa power ballad da cinque minuti (Don’t Cry), una poesia recitata da Alice Cooper in The Garden, misoginia e sensibilità in parti uguali, l’intera November Rain (dagli effetti sonori fino alla coda di Slash), un bizzarro invito industrial-rap a entrare nello “stato di grazia socio-psicotico” di Rose, qualunque cosa significhi.

In Appetite i Guns avevano ridato vigore all’hard rock trasformandosi negli Aerosmith del punk. Ora erano gli Stones, Elton John, i Pink Floyd, i Sex Pistols, i N.W.A. e i Nine Inch Nails a seconda del pezzo, a volte nello stesso momento, suonando pur sempre come i Guns N’ Roses. Le lunghe note tristi di Slash in Estranged fanno ancora male; il suono del basso di Duff McKagan spinge fortissimo in You Could Be Mine; la voce fighissima di Stradlin in Double-Talkin’ Jive fa ancora sembrare cool trovare una testa e un braccio in un bidone dell’immondizia; Matt Sorum che schiaffeggia il rullante nel ritornello di Dead Horse è ancora una buona metafora; Rose suona tuttora convincente quando promette che “c’è un paradiso sopra di te, piccola”, mentre ti spezza il cuore in Don’t Cry; e sembrano davvero dei pazzi quando sfidano, come bulli nel cortile di scuola, il fondatore di Spin Bob Guccione in Get in the Ring. L’unica differenza qui, rispetto agli album originali, è in November Rain, che ora si avvale di un’orchestra vera e propria al posto delle tastiere suonate da Axl. Anche se il sound è brillante e gli archi sono oggettivamente meravigliosi, è difficile non sentire il desiderio di ascoltare il flauto davanti a tutto, come nell’originale.

I due album, col senno di poi, ritraggono il paradosso di un gruppo di outsider diventati la band più popolare al mondo, volendo però restare dei ribelli (come nella favola di Johnny Rotten raccontata da Neil Young e in quella di Kurt Cobain raccontata da Cobain stesso). È la fotografia di una crisi d’identità che ha finito per distruggerli. Ai tempi hanno accettato la sfida e ne hanno raccolto i frutti, anche se ancora adesso gli Use Your Illusion hanno troppa musica.

Guns N' Roses - November Rain (2022 Version)

Gli album, complessivamente, durano quasi tre ore (quasi come ascoltare di seguito il White Album ed Exile on Main St). Con così tanto materiale sul piatto sarebbe logico pensare che un box del genere si concentri su demo e versioni alternative dei brani, ma questa raccolta si focalizza invece sull’aspetto live dei Guns N’ Roses. Per inciso, il megabox dedicato ad Appetite for Destruction di qualche anno fa conteneva delle versioni grezze di Don’t Cry e November Rain, due pezzi scritti nel 1986. È possibile cha abbiano usato i demo migliori per quell’occasione o che, probabilmente, l’ostracizzato Stradlin non abbia voglia di condividere i suoi demo di Pretty Tied Up e Double Talkin’ Jive per questa uscita.

I due concerti, piuttosto lunghi, inclusi nei dischi bonus mostrano i Guns che usano (e abusano delle) loro illusioni. Il live a New York (che è presente anche in video Blu-ray) era una delle tre date di prova nei club (il Ritz, con una capacità di 1400 spettatori) per il tour che avrebbe rovinato la band. Rose dice al pubblico che non gli piace presentarsi alle prove (chi l’avrebbe mai detto) e quindi che per lui il concerto sarebbe stato come riscaldamento per il tour. Eppure tira fuori una performance vocale stupefacente, anche dopo essersi fatto male a una gamba a metà del set. Sembra persino divertirsi. Recita lui stesso il monologo di Nick mano fredda in Civil War, in cui Slash suona anche dei riff di Voodoo Child (Slight Return) di Hendrix. Fanno Estranged, arrangiata perfettamente, compresi i rumori di gabbiani fatti da Slash (e la cosa più impressionante è che il pubblico gradisce l’ascolto di una canzone lunga 10 minuti mai sentita prima). Poi suonano un pezzetto di Only Women Bleed di Alice Cooper appena prima di Knockin’ on Heaven’s Door; e il frontman dei Blind Melon, l’allora sconosciuto Shannon Hoon, si unisce a loro per cantare le parti alte del ritornello di Don’t Cry. C’è una bella intesa fra Rose e la band: l’album sta per uscire e sono pronti per il rush finale.

Guns N' Roses - You Could Be Mine (Live In New York, Ritz Theatre - May 16, 1991)

Nel concerto a Las Vegas del gennaio 1992 (pochi mesi dopo), tutto sembra più imponente. «Volevate il meglio…», declama un road manager, come prima di un concerto dei Kiss, «be’, loro non sono riusciti a venire, per cui vi tocca sorbirvi questi tizi». Anche Stradlin non ce l’aveva fatta (si era disintossicato e a novembre aveva mollato la band per incidere un disco solista con Ron Wood come ospite). Al suo posto c’è Gilby Clarke (l’equivalentre di Ron Wood, per Stradlin, nei Guns). Dicono ai fan che quello è il pubblico più numeroso mai ospitato dal locale, per cui suoneranno a volume più alto. Sembrano ancora divertirsi, sono solo un po’ più rifiniti, proprio come avevano imparato dai loro eroi Aerosmith, dagli Stones e da Alice Cooper andandoci in tour insieme. E funziona (l’interesse per il filthy lucre, per dirla coi Sex Pistols, li allontana dalla nascente scena alternativa; loro volevano veramente diventare ricchi e famosi, un po’ come quando Steve Jones aveva criticato le posizioni anticapitaliste dei Clash).

Questo live, che si dipana in 3 CD, rappresenta i Guns N’ Roses come li conosciamo oggi: enormi e assordanti. Fanno le cover di Live and Let Die (a un gran volume), Attitude dei Misfits e Knockin’ on Heaven’s Door (con tangenti che partono verso Hotel California e Only Women Bleed, e Axl che per due volte chiede: «Datemi un po’ di reggae!»). Il cantante suona una intro classica al piano per November Rain. In Rocket Queen i gemiti femminili sono sostituiti da Slash con una talk box e il brano dura ben nove minuti. Prima del pezzo di Terminator 2, You Could Be Mine, Axl azzarda anche un’imitazione di Schwarzenegger. Tutti si godono una pausa in Move to the City, lasciando spazio alla sezione di fiati per una jam jazz-funk. E Rose, in Estranged, sussurra drammaticamente «alone». Qua e là si sente qualche nota fuori posto, ma importa davvero? È una performance sciolta e divertente. Ci ricorda che il rock’n’roll può e deve essere imprevedibile (il marchio di fabbrica dei Guns) e che era in grado di arrivare a tante persone, proprio come il rock deprimente che l’avrebbe seguito subito dopo (pur senza raggiungere la stessa grandezza).

Ormai la band si era lasciata alle spalle l’attitudine di strada e si era dimostrata all’altezza della situazione. Lavoravano ancora insieme e, wow, forse si piacevano ancora. A tre decenni di distanza, finalmente capiamo come i due Use Your Illusion rappresentano l’apice di ciò di cui erano capaci, consolidando così la loro leggenda. Se si fossero sciolti subito dopo il tour, come i Police dopo Synchronicity, e avessero evitato tutte le zuffe via stampa sarebbe stato un addio pulito, anche se probabilmente avremmo comunque avuto Chinese Democracy. Use Your Illusion è stato il loro testamento e un segno della loro determinazione, che è ancora oggi il loro punto di forza. Né il grunge, né Spin, né il buon gusto (o quello cattivo) li potevano fermare e non possono farlo ora. Questo è un ritratto dei re della giungla.

Tradotto da Rolling Stone US.

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