Il giorno in cui Ghali è stato più importante di Taylor Swift | Rolling Stone Italia
Miracolo a Milano

Il giorno in cui Ghali è stato più importante di Taylor Swift

Ieri in corteo bambini e adulti cantavano ‘Casa mia’. Ci sono momenti in cui la rilevanza di una canzone non si misura col numero di stream e c’è un tempo in cui la musica dovrebbe raccontare chi siamo e chi dovremmo essere

Il giorno in cui Ghali è stato più importante di Taylor Swift

Ghali

Foto press

Dal corteo che attraversa Viale Piceno si stacca un gruppo di ragazzi. Salgono sul muretto di cinta dell’Ufficio d’ambito della Città metropolitana e sventolano bandiere della Palestina. La gente che passa di sotto applaude. Un po’ più indietro i manifestanti gridavano in coro che “Milano lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume fino al mare”. Ma lì, in mezzo all’incrocio liberato per alcune ore dal traffico, un gruppo di bambini in età da scuola primaria sfila col corteo e canta tutt’altra canzone: “Casa mia o casa tua, che differenza c’è? Non c’è”.

Un signore fermo a bordo del suo furgoncino in attesa che il corteo passi impreca e dice che «fermano l’Italia per due straccioni», ma chi lo ascolta quello, nessuno. Le sue lamentele sono coperte ai beat di un tipo che sfila col suo controller caricato su una specie di carrello e dà il ritmo ai cori “Free! Free! Palestine!”. Una tipa vede un gruppo di ragazzi di seconda generazione e urla nel megafono che «siamo così incazzati che pure i maranza stanno manifestando in modo civile». Ridono tutti, anche i maranza. Più avanti ancora cori, ancora Ghali, il primo artista italiano a prendere una posizione netta su Gaza di fronte a una platea nazionalpopolare, senza per questo farne il centro del suo repertorio, anzi. Le sue canzoni sono molto meno “combat” di quelle dei Modena City Ramblers o dei 99 Posse che pure si ascoltano in corteo, bentornati anni ’90. Ma certi pezzi evidentemente restano, entrano nel nostro lessico, al momento giusto li si ricorda più di certe altre hit. E a volte bastano poche parole, spesso semplici come quelle che a un certo punto escono dagli altoparlanti, il dialogo con l’extraterrestre che non riesce a comprendere certe nostre tragedie: “Qual è casa mia? Dal cielo è uguale, giuro”.

“Tutte queste vite convergono qui, i mosaici delle risate e i cocktail delle lacrime, dove anime fraterne cantano all’unisono ed è bellissimo, è estatico, è spaventoso”. A volerla leggere in modo stucchevolmente romantico, come se già queste parole non lo fossero a sufficienza, potrebbe essere la descrizione di uno dei cortei di ieri dove si sono visti e ascoltati risate, rabbia, cori, sorrisi e canzoni. E invece è il testo del tweet col quale Taylor Swift ha annunciato che era uscito The Life of a Showgirl. Prima ancora d’essere pubblicato aveva già battuto un record, quello del numero di pre-save su Spotify. Nel giro di una dozzina di ore ne ha battuto un altro: è il più ascoltato di sempre in streaming sulla piattaforma nelle prime 24 ore. Le “anime fraterne” sono quelle del pubblico dell’Eras Tour, che fa da sfondo alle storie raccontate nell’album.

È stato il New Music Friday più povero dell’anno. La presenza ingombrante di The Life of a Showgirl ha convinto molti artisti internazionali ad anticipare o a posticipare l’uscita del loro disco. In questo mondo di scarsa attenzione e di entusiasmi effimeri, che lo pubblichi a fare un album nello stesso giorno della popstar numero uno al mondo? Ma anche dalla star più grande si vorrebbe ascoltare qualcosa di rilevante, anche solo indirettamente, circa il mondo in cui viviamo e l’aria che tira. Non politica, ma parole che contribuiscano se non a decodificare il mondo, a dirci qualcosa di chi siamo o dovremmo essere. È una storia vecchia come il rock e il pop. Si può cantare e pure bene di tutto, dallo scimpanzé di Michael Jackson (Les Claypool e Sean Lennon, che meraviglia) all’eschimese la cui madre dice di fare attenzione a non mangiare la neve gialla (Zappa, chi altri). Si può, si deve cantare anche dei piccoli drammi sentimentali, della vita e delle insicurezze di una milionaria, anzi miliardaria. Vale tutto. Ma mai come oggi certe canzoni sembrano stonate.

Questo senso di distacco dalla realtà non riguarda solo Swift, ci mancherebbe. È solo un esempio nato dalla coincidenza dell’uscita del suo disco con le manifestazioni di ieri. Che effetto vi fanno, oggi, le vanterie a misura d’algoritmo di tanti trapper? Lo stesso Ghali ha scritto che «il rap è morto, è tutto un gran teatro» e che «il silenzio dei rapper ha ucciso il genere. Ne è rimasto solo lo stile, il suono, la forma». È una sensazione resa più acuta dal fatto che viviamo in Italia e in Europa, dove la causa palestinese è più sentita e la vicenda della Flotilla ha avuto un’eco ancora più forte. Non che nell’America di Swift le cose vadano bene. Giusto ieri è stato rilanciato anche da alcuni artisti statunitensi il Committee for the First Amendment. Era stato fondato ai tempi della caccia alle streghe del senatore McCarthy, «un’epoca in cui il governo federale reprimeva e perseguiva i cittadini americani a causa delle loro idee politiche (…). Queste forze sono tornate. È giunto il nostro turno di difendere tutti assieme i nostri diritti costituzionali». La popstar che nel 2024 dichiarava che avrebbe votato per Kamala Harris perché in lei vedeva la possibilità che il Paese fosse guidato «dalla calma e non dal caos», che cosa fa ora che il caos impera? Pubblica un disco ancora una volta totalmente centrato su sé stessa, una nuova epica privata di una star che piace anche perché egoriferita.

Non è una questione di musica buona o cattiva, né di generi musicali. È il bisogno di avere canzoni che colgano e raccontino lo spirito dei tempi, che siano espressione dell’urgenza di stare nel presente. Nel 2025 è paradossalmente più rilevante la scaletta dei due concerti che John Lennon e Yoko Ono hanno fatto nell’agosto del 1972 al Madison Square Garden (e che saranno presto pubblicati) di tutta la Top 100 della FIMI. Tra qualche tempo, quando la situazione non ci sembrerà così drammatica (come se non fosse sempre drammatica da qualche parte nel mondo), forse anche le canzoni che raccontano piccole vendette e grandi vanterie suoneranno in modo diverso. E però mentre i bambini sfilavano, mi son detto che è un po’ la rivincita degli straccioni questo cantare Casa mia, che per un giorno a Milano Ghali è stato più importante di Taylor Swift, che è proprio vero che ci sono momenti in cui la musica è tutto e altri in cui non vale niente.

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