Il format di ‘Heroes’ ha fatto dei passi in avanti ma c’è ancora parecchio da lavorare | Rolling Stone Italia
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Il format di ‘Heroes’ ha fatto dei passi in avanti ma c’è ancora parecchio da lavorare

Nelle menti dei produttori è in atto una rivoluzione dello streaming, ma si sta compiendo a un ritmo così pacioso che forse, una volta terminata l'emergenza, la loro idea non sarà più necessaria. O, meglio, ne serviranno altre

Il format di ‘Heroes’ ha fatto dei passi in avanti ma c’è ancora parecchio da lavorare

Achille Lauro ed Emma Marrone sul palco

Foto: Elena Di Vincenzo


Heroes è tornato all’Arena di Verona con un taglio più lungo e sponsor più grossi, mostrando gli effetti di un percorso di maturazione che gli ha permesso di smettere i panni del Festivalbar a scoppio ritardato e indossare, come meglio può, quelli un po’ larghi di punto di riferimento dello spettacolo musicale italiano nell’anno II dell’era Covid. Nonostante questo, la sua più grave lacuna è non essere riuscito, tra concerto dal vivo e spettacolo via streaming digitale, a scegliere da che parte stare.

Alcuni dei difetti della prima edizione sono stati risolti. L’approccio antologico di quest’anno, con 25 minuti monografici a testa, per 12 artisti invece di 42, è stato un ottimo espediente per evitare il precedente mappazzone barbieriniano, così come quello di separare le esibizioni in due serate, destinate a seimila spettatori dal vivo, più quelli dello streaming.

Anche le novità del comparto tecnologico sono state migliorative, grazie alla decrescita felice di alcuni gimmick a scarso valore aggiunto e l’aumento generale della qualità audiovisiva. Grazie alle app e alla possibilità di chromecasting, per vedere i concerti in casa su uno schermo degno del palco e degli artisti convocati, non ci sono più stati cavi HDMI da tenere sospesi tra portatile e televisore, al di sopra delle teste di fratelli minori. Ma non è mancata neppure una funzione che permetteva di guardare lo spettacolo in video chat con un amico, per chi avesse la fortuna di conoscere qualcun altro tra i paganti (9,90 euro).

È proseguita la pratica della roulette russa che, ormai tradizionalmente, taglia fuori dallo streaming uno degli artisti in scaletta. Nella prima edizione toccò a Franco126, che la prese come un campione, anche perché non fu informato in diretta dell’accaduto. Massimo Pericolo, nella serata di venerdì, è stata la vittima del 2021. Altra novità positiva è che ammennicoli come il collage dei selfie degli utenti e i molteplici, spesso deserti stage virtuali multipli, hanno lasciato spazio alla sola, semplice chat degli streamer, usata con discreti risultati per gare di insulti tra i fan del rapper (i più agitati del parterre digitale) riuniti intorno a un leader, tale Nimble Falcon, che ha avuto le idee chiarissime sul da farsi: alla caduta del segnale, scateniamo l’inferno.

Quello che è mancato a Heroes 2 è stato ancora una volta un collante concettuale e soprattutto una conduzione che tenesse unite le varie esibizioni. Magari proprio a partire dal tema di fondo, importantissimo, proposto da Music Innovation Hub, in collaborazione con la rete internazionale Keychange e Prs Foundation, per il doppio concerto: la valorizzazione della diversità nel mondo della musica (dopo quello del sostegno ai lavoratori dello spettacolo dal vivo, che caratterizzò la prima), verso il quale i presentatori, provenienti dai tre partner dell’iniziativa (Rai Radio 2, Radio Deejay e Radio Italia), hanno mostrato troppa improvvisazione e superficialità.

Si è fatta notare molto, purtroppo, l’assenza di diversità nelle domande sulla diversità (“Che ne pensi della diversità?”). Probabilmente più spessore era stato affidato dagli artisti alle dichiarazioni sul tema, proposte a mo’ di slide introduttive delle loro performance. E sarebbe stato anche interessante leggerle, se solo fossero risultate leggibili grazie a scelte registiche divergenti da quelle di un oftalmologo alle prese con un esame della vista severo ma giusto.

Non che gli organizzatori abbiano mostrato di tenere più alla narrazione del “brindisi infinito” di Aperol (storie di utenti che si scambiano virtualmente dei calici di spritz) che alla diversità. È che le due cose avrebbero dovuto essere oggetto di tagli editoriali completamente distinti e separati. Diversità e bitter, le lotte contro discriminazioni di genere e quelle in favore degli aperitivi alcolici sono sembrati nelle bocche dei conduttori e alle orecchie del pubblico un po’ due facce della stessa medaglia, e non poli sinergici, ma tutto sommato inconciliabili, delle forze motivazionali che hanno portato alla realizzazione di questo progetto.

Ha fatto tenerezza che i due influencer coinvolti per una mezza dozzina di interviste a microfono aperto sembrassero e fossero più emozionati degli intervistati, mentre gli domandavano immancabilmente quanto fossero emozionati, spesso sentendosi rispondere con più proprietà di linguaggio, rispetto a quella del mittente, alle loro domandelle.

Il fatto è che te la vai un po’ a cercare se, non mettendo in conto che il creator Emilife possa essere un albatro baudelairiano sui social e un insetto fastidiosello all’Arena di Verona, lo getti in pasto al pubblico del suo target fuori dal suo habitat, senza altro salvagente se non una busta di surgelati Findus sostenibili. Su Instagram l’ottimo Emanuele avrebbe saputo quasi certamente valorizzare un packaging Findus per riprodurre alla perfezione la texture di un vestito di Jennifer Lopez. Ma quella che Emilife frappone tra sé e la sua nudità contenutistica, all’Arena di Verona, resta una busta di surgelati Findus sostenibili e non è che nelle due serate sia stato poi un gran piacioro vederlo e sentirlo, senza poterlo skippare, per un minutaggio nettamente superiore a quello riservato ai singoli artisti.

Forse il vero vizio di fondo di Heroes 2 risiede nel fatto che è una proposta di spettacolo alternativo al concerto tradizionale che si sta evolvendo troppo lentamente rispetto al problema che cerca di risolvere, e cioè quello di come rendere possibili concerti tradizionali durante la pandemia. È evidente che nelle menti dei suoi produttori una rivoluzione è in atto, ma si sta compiendo a un ritmo così pacioso che forse, una volta terminata l’emergenza (Dea gratias), la loro non sarà più necessaria o, meglio, ne saranno necessarie altre.

Se manca insomma un fulcro narrativo o anche solo estetico, puoi avere anche l’ologramma pop-up di Emma Marrone che ti chiede conferma, urlando come un’ossessa, del fatto che tu ti stia divertendo, ma sarà difficile che tu ti diverta davvero.

Di conseguenza è accaduto che i singoli artisti fossero lasciati un po’ troppo alla loro libera iniziativa, sia per questioni artistiche che contenutistiche. Non si può lasciare alla libera iniziativa di artisti come Elodie la possibilità di autocondursi, oppure no. Chi è riuscito ad autogestirsi, facendo dei suoi 25 minuti a disposizione un concerto bonsai, curato come se fosse uno show proprio, quasi a discapito del resto, ha vinto; chi non ci è riuscito o non ci ha pensato troppo, inevitabilmente, ha annoiato.

Un po’ di istantanea frammentarietà andava bene (anche se non benissimo) il primo anno, quando si era ancora nel delirio del day after del lockdown, e anche solo potersi fare un selfie col 42 pollici che inquadrava Manuel Agnelli a torso nudo poteva costituire una botta di vita significativa. Ora meno.

Al netto delle rispettive, specifiche forme di talento gli ospiti si sono divisi, in sostanza, tra quelli che hanno gettato il cuore oltre lo streaming (Negramaro, Sangiovanni, Carmen Consoli con tanto di Marina Rei batterista, Emma e Madame) e quelli che hanno finito un compito in classe in quello che è apparso più un semplice back to school (Mahmood e Gazzelle su tutti) che una festa dei 100 giorni prima della normalità (la solita Emma).

Quando è toccato ai Negramaro, ad esempio, Giuliano Sangiorgi ha incitato come nessun altro il pubblico, che era spaccato in due tra chi, per motivi anagrafici, non era mai stato a un concerto e chi, per motivi di salute globale, non ci andava da due anni. È stato proattivo quasi come un capo ultrà o un medico rianimatore di pronto soccorso, ed è riuscito a rivitalizzare la platea, svegliandola dal torpore che aveva contraddistinto l’esibizione non propriamente energizzante di Mahmood (tanto che la sensazione è che Mahmood stesse di fatto aprendo un concerto dei Negramaro). In breve Sangiorgi si è trasformato nel capovillaggio dell’Arena di Verona, fino alla scena spassosissima in cui guizzava in mezzo alla platea duettando col bodyguard che era costretto a rincorrerlo, imitandone in qualche modo le movenze. E ha animato così tanto e così bene che qualche postumo di eccitazione se lo è ritrovato in dote anche Ariete, nel segmento successivo, nonostante proponesse un set decisamente più intimista, ‘na tuta e ‘na chitarra, al punto che è stata dolcissima quando ha preso coraggio e ha proposto al pubblico: “Voglio vedere tutte le torce, regà“.

Il segmento di Sangiovanni, nella prima serata, ha costituito un mondo sé e, insieme a quello di Madame, la sera successiva, è stato il più in target per il pubblico presente in Veneto. Per lui bambini microscopici – che avevano superato indenni il set di Massimo Pericolo, senza neppure beneficiare dell’interruzione tecnica – si sono scatenati con in testa la relativa bandana neanche fossero fan hardcore della Banda Bassotti negli anni d’oro dello ska. Una seienne teneva la copertina del suo cd tra le manine, che la facevano sembrare grande come quella di un vinile. Fra i momenti di Heroes 2 c’è quello con due preadolescenti che ballano scatenati, accanto ai genitori e si capisce chiaramente che sono i grandi, per una volta, che provano a scimmiottarli, e non viceversa, mentre la regia – stavolta puntualissima – si sofferma sul cartello: “Sangio ho una proposta sexy da farti: cresciamo insieme?”.

Sabato sera Gazzelle, invece, lasciato completamente a sé stesso, e annunciato tra l’altro come “Gazzel” dalla conduttrice, si è distinto più che altro per l’avvedutezza meteorologica con cui è riuscito a presentarsi sul palco in cerata da scaricatore di porto chic (Stone Island) un attimo prima che cominciasse a piovere; mentre poco dopo la solita imprendibile Emma, a diluvio ormai iniziato, mantenuta la mise ultratrasparente e bassocoprente che aveva mostrato nel duetto con Achille Lauro, a inizio serata, si mostrerà fradicia, trionfante ma mai sgolata in mezzo al quartetto d’archi che si era portata da casa.

Il format di Heroes ha fatto dei passi in avanti ma c’è ancora molto da lavorare: se la prima edizione, come avemmo modo di rilevare, stava al Concertone del Primo maggio come una lunghissima sessione di virtual sex suit, la seconda sta a quello che ci aspetteremmo da un concerto ibrido nel 2021 più o meno come una performance di Only Fans sta a un week end presso un bordello bavarese: la faccenda tutto sommato può interessarti, ma è difficile che ti alzi dal divano per applaudire. Insomma non sarà la soluzione definitiva, ma almeno è un tentativo.

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