Col quarto album The Clearing i Wolf Alice portano a compimento un’evoluzione che da tempo portano avanti in punta di piedi. Dopo l’energia rabbiosa di Blue Weekend e le atmosfere più scure e teatrali dei lavori precedenti, il disco si apre come una radura nel bosco, l’urgenza lascia il passo a un respiro più calmo, consapevole, quasi meditativo. Non si tratta di un ritiro o di una resa, ma di una tregua necessaria e voluta, un momento di quiete in cui ritrovare sé stessi.
Ho incontrato i Wolf Alice a Milano, nella sede della Sony, e ho trovato una band lontana da qualunque stereotipo indie rock e che, invece, mostra di avere una lucidità rara nel definire il proprio percorso creativo e personale. Ellie Rowsell racconta che The Clearing nasce proprio dal desiderio di fare una pausa: «Ho immaginato il disco come un momento di pace, un momento in cui poter semplicemente respirare. Non si tratta di serenità definitiva, ma di uno spazio in cui potersi fermare». Non a caso uno dei brani chiave, The Sofa, racchiude questo sentimento in versi emblematici: “Non sono mai arrivata in California… Sono rimasto bloccata a Seven Sisters… Forse va bene così”. Lì c’è tutta la bellezza di una resa senza sconfitta, la consapevolezza che a volte fermarsi è l’unico modo per ripartire.
A spingere verso questa svolta è stato anche un approccio diverso alla scrittura. Ellie racconta di essersi lasciata ispirare dal documentario Get Back sui Beatles, che le ha fatto riscoprire il valore della scrittura collettiva e del lavoro suonando insieme, piuttosto che affidarsi a metodi digitali o troppo tecnici: «Non volevo mettermi al computer a creare un beat o a programmare qualcosa. Volevo ricominciare dalle cose semplici: carta, penna, uno strumento». Joff Oddie, chitarrista e compagno di avventure sonore, spiega: «Le limitazioni sono una grandissima fonte d’ispirazione. Se ti impongono dei confini, devi lavorare più duramente, ma è così che nascono le idee migliori». È un concetto che riecheggia in tutto l’album, dove ogni scelta sembra pensata e ponderata, ogni suono ha una ragion d’essere.
Una delle novità più evidenti di The Clearing è il ruolo centrale del pianoforte. Rowsell ha portato a casa un piano che è diventato per lei una sorta di tela nuova: «Mi sono accorta che poter scrivere al piano ha cambiato tutto, è stato come scoprire un nuovo modo di raccontarmi». Le idee nascono spesso da una semplice progressione di accordi, ma la differenza sta nel tempo dedicato a esplorare, rimettere in discussione, cancellare e riscrivere: «Mi sono chiesta spesso se quella fosse davvero la migliore idea, e se non potevo fare meglio, o almeno diversamente». La scrittura, insomma, diventa un esercizio di pazienza e introspezione, più che un’uscita impulsiva.
Nel disco non si cerca la nostalgia per gli anni ’70, anche se alcune sonorità vintage fanno capolino qua e là. Rowsell e la band hanno voluto evitare che il progetto diventasse un pastiche: «Non volevamo fare un album vintage o cercare di replicare il passato. Piuttosto volevamo che certe atmosfere fossero un veicolo per le emozioni, un modo per farle emergere più chiaramente». La scelta di lavorare con Greg Kurstin a Los Angeles, noto per la sua esperienza con artisti diversi, da Adele ai Foo Fighters, da Paul McCartney a Sia, ha permesso loro di trovare un suono pulito ma non banale, un suono che guarda al presente con un occhio attento alla storia.
I temi di The Clearing sono personali e universali, spesso declinati con delicatezza e profondità. Rowsell si apre su alcune esperienze intime: dalla riflessione sulla maternità possibile in Play It Out alle dinamiche dell’innamoramento sospeso in Leaning Against the Wall fino all’amicizia salvifica raccontata in Just Two Girls, brano in cui emerge una piccola epifania quotidiana: “Le piccole verità che vengono fuori quando bevi con me / Svelano ogni pensiero che custodisco”. È la musica come terapia, come modo per trovare una via di uscita dai pensieri opprimenti.
In questo percorso, la psichedelia si fa contenuta ma evidente, soprattutto nelle tracce finali come White Horses e The Sofa. Qui la band sembra chiudere il cerchio con una consapevolezza pacata: “So chi sono, e questo mi basta / Faccio quel che posso per vedere il quadro generale”. Una metafora che funziona da manifesto, un invito a non perdere la propria identità anche quando la vita spinge a nasconderla o cambiarla.
The Clearing non è un disco di rinunce o compromessi, ma una tregua voluta, un respiro profondo dopo un lungo cammino. I Wolf Alice, che saranno Italia il 13 novembre all’Alcatraz di Milano, non smettono di cercare, ma in questo momento si concedono la libertà di essere semplicemente sé stessi, con la lucidità di chi sa che la musica è uno spazio di verità, non di facili entusiasmi.













