Ok il chiodo giallo, Freddie Mercury che fa le flessioni sul palco e l’immaginario cui i fan dei Queen sono legati dall’uscita di Live at Wembley. Ma se usciamo dal mito dei Queen come live band al picco durante il Magic Tour, possiamo parlare con maggior obiettività di ciò che c’è stato prima. La fama dei Queen come gruppo da concerto non è certo nata nel corso dell’ultimo grande tour intrapreso prima che le condizioni di Mercury peggiorassero drasticamente. Giungeva piuttosto da 15 anni di tournée ininterrotte e di performance totali, che solo la stampa di settore si ostinava a non considerare alla stregua di quelle di Led Zeppelin o Who.
In questo senso, Queen Rock Montreal, che è uscito in origine nel 1982 per il mercato home video con il nome di We Will Rock You e che rivedremo nei cinema italiani dal 25 settembre all’1 ottobre restaurato in 4k e con audio Dolby Atmos, resta la più grande testimonianza live del gruppo, per lo meno tra quelle rese pubbliche sia prima che dopo la morte di Mercury.
All’inizio del nuovo decennio i Queen non hanno più nulla da dimostrare. I loro dischi vendono bene da una parte all’altra dell’oceano, tutti e quattro i membri hanno scritto un pezzo finito primo in classifica, superando persino i Beatles, e Another One Bites the Dust ha aperto loro nuove (e ricchissime) strade sonore ancora inesplorate. Hanno persino pubblicato la loro prima colonna sonora e cominciato ad utilizzare sintetizzatori in studio, cosa che fino ad allora si erano sempre fieramente vantati di non fare.
Il 1981 doveva quindi servire per ultimare il nuovo album e per una breve serie di concerti in Giappone prima e in Sud America poi, dove esibirsi di fronte al più grande numero di spettatori paganti della loro carriera. Le date fissate a fine novembre in Canada avrebbero chiuso col botto un tour iniziato un anno e mezzo prima, ma non solo. I due concerti del 24 e 25 novembre al Forum di Montreal sarebbero stati filmati per essere usati come primo video ufficiale di uno show dei Queen. Viene assoldato Saul Swimmer, noto soprattutto per aver diretto lo strambo road movie Rapporto a tre, prodotto da Ringo Starr e ispirato al testo di Come Together, e il Concert for Bangladesh di George Harrison. Soprattutto, Swimmer ha sviluppato il MobileVision Projection System, una tecnologia di proiezione di film su schermo gigante di 18×24 metri che sembrava perfetta per la grandeur di Mercury e soci.
La band che sale sul palco del Forum è tirata come una molla e la violenza sonora della versione fast di We Will Rock You lo dimostra immediatamente. Scoppi, fumo, il celeberrimo e futuristico impianto luci, una coesione completa e totale, nessuno strumento aggiunto o corista di sorta: solo quattro musicisti su un palco minimale. Siamo ai massimi livelli espressivi di un rock che da lì a breve non potrà più essere imbrigliato in un semplice palazzetto dello sport. Tutto mentre i grandi nomi degli anni ’60 e ’70 stanno entrando nel loro decennio più complicato di sempre. I Queen avevano capito da tempo che le sonorità stavano cambiando e in studio avevano dato il via a un’evoluzione che sarebbe culminata l’anno successivo con il controverso Hot Space, ma dal vivo suonavano terribilmente crudi e viscerali. Schietti, violenti e più vicini al rock duro e senza fronzoli che ai barocchismi glam di un tempo, con una scaletta che bilanciava alla perfezione ogni loro fase.
Mercury è sconvolgente. Lui che spesso era costretto a dosare le forze e non poteva sempre esprimersi come in studio, qui gioca davvero un campionato a parte, coadiuvato da un Roger Taylor in stato di grazia. Il batterista non sbaglia un fill, suona al doppio della velocità e copre ogni buco con i suoi cori, costringendo di fatto anche Brian May e John Deacon ad alzare il tiro. Ecco, questi Queen non si sarebbero più visti. Il tour di Hot Space vedrà ancora un Mercury strepitoso, ma l’inserimento di synth e il bisogno di riprodurre certi suoni cambierà tutto il mood dei concerti. Quelli successivi al Live Aid vedranno una band formalmente perfetta con una carrellata di hit rara, ma standardizzata e con un frontman sempre sopra le righe ma inevitabilmente incapace di raggiungere i picchi degli anni precedenti. In questo senso, Queen Rock Montreal rappresenta il vero spartiacque, live ma non solo, tra certi Queen e quelli post The Works. Niente più Get Down Make Love, Keep Yourself Alive o Save Me, solo hit, bellissime per carità, ma certo un pezzo come Radio Ga Ga dopo un po’ fa venire nostalgia della furia di una Sheer Heart Attack o di una I’m in Love With My Car.
Quindi il segreto di una performance come quella canadese sta solo nel momento storico che si trovava a vivere la band? In realtà no, come ha raccontato Brian May in occasione della presentazione del riedizione del concerto il 16 ottobre 2007: «Quella che vedete in questo film è un band molto nervosa e arrabbiata, che ha ricavato una performance da una situazione piuttosto disagevole. Proprio per questo si avverte questa energia, autentica e naturale. Per di più, anche se in realtà il film è fantastico dal punto di vista della qualità, vedrete riprese fatte da operatori che non conoscevano neanche lontanamente lo spettacolo, diretti da un regista che ne sapeva ancora meno».
«Di conseguenza, le successive operazioni di montaggio sono state caotiche. Hanno messo insieme alla meglio spezzoni presi da entrambi gli spettacoli in base a criteri visivi, scegliendo le sequenze in cui le telecamere avevano trovato il soggetto giusto al momento giusto. Poi hanno unito il sonoro nel miglior modo possibile, ma c’erano molti pezzi in cui sentivi il sonoro di una serata ma vedevi le immagini dell’altra. Eppure, il film è uscito, ed è stato visto da moltissime persone».

Foto press
A quanto pare, quello più incazzato di tutti era Mercury, particolarmente seccato dal fatto che Swimmer avesse insistito perché facesse le stesse mosse e indossasse gli stessi vestiti in tutte e due le serate. «Tanto per cominciare», ha detto May, «non eravamo in tournée, quindi è stato necessario riassemblare per l’occasione tutto l’impianto audio e le luci, la produzione e lo staff tecnico, e abbiamo dovuto fare le prove di corsa. Per di più, non andavamo per niente d’accordo con Swimmer. Freddie in particolare ha provato per quell’uomo un’immediata antipatia che si è ben presto trasformata in qualcosa di simile all’odio, quando la prima sera abbiamo scoperto che aveva messo dei suoi riflettori per illuminare il pubblico, aveva cambiato i colori delle luci e aveva piazzato telecamere su tutto il palco. Ovviamente non eravamo in grado di comportarci come se fosse una performance qualsiasi».
«La seconda sera la situazione è peggiorata, quando Saul ha chiesto che Freddie indossasse gli stessi vestiti della prima sera e facesse le stesse mosse. Quel tizio non aveva idea del fatto che lo spettacolo non aveva una coreografia. Noi abbiamo fatto quello che ci pareva e gli animi si sono surriscaldati, e si vede». Insomma, poteva finire come The Song Remains the Same e invece ne è uscito uno dei film concerto migliori di sempre.












