I Pink Floyd di ‘A Momentary Lapse of Reason’ facevano musica per l’era post-umana | Rolling Stone Italia
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I Pink Floyd di ‘A Momentary Lapse of Reason’ facevano musica per l’era post-umana

Una tesi controcorrente: in uno degli album meno amati e più criticati, anche a ragione, la band di David Gilmour anticipava le tendenze, mettendo al centro il rapporto con le macchine

I Pink Floyd di ‘A Momentary Lapse of Reason’ facevano musica per l’era post-umana

I Pink Floyd nel 1987: Nick Mason, David Gilmour, Richard Wright

Foto: Dimo Safari

Ammettiamolo: i Pink Floyd sono uno di quei gruppi attorno a cui miracolosamente non c’è alcun calo d’interesse nonostante il passare degli anni. Appena spunta fuori qualcosa di nuovo, fosse pure una briciola di pane riscaldato, il pubblico ci si butta a pesce. Vero è che l’interesse si concentra sempre verso il periodo pre anni ’80. Ecco perché la notizia della ristampa di A Momentary Lapse of Reason, il primo album post Waters del 1987, mi ha fatto pensare a un atto piuttosto coraggioso.

I Pink Floyd hanno deciso di inserire versioni alternative e demo registrate prima della produzione definitiva la cui mano era piuttosto pesante, ma coerente con il periodo storico e le sue diavolerie elettroniche. La decisione di enfatizzare parti prima ignorate sembra frutto del tentativo di bilanciare meglio l’apporto creativo dei Floyd originari, che scarseggiava. Mentre la nuova versione di Animals è bloccata dalle scaramucce tra Gilmour e Waters, ma li vede tutti insieme a firmare l’ultimo picco creativo della formazione a quattro, A Momentary viene fatto uscire per distrarre il pubblico. È forse – col senno di poi – il disco fra quelli post successo meno cagato dai fan dei Floyd proprio perché l’apporto dei singoli è schiacciato e sottodimensionato dalla fretta di uscire per dimostrare di essere ancora un gruppo. L’album nasce dalla profonda insicurezza di Mason e Gilmour di ripartire in duo dopo il forfait di Waters, perche in effetti la presenza di Wright, cacciato già dalle session di The Wall, nel disco è poco più di un cameo, ma le sue performance simboliche sanno già di speranza per ricompattarsi come band (i primi provini vennero respinti dalla EMI proprio perché dei Pink Floyd non si sentiva nulla, sembrava un album di Gilmour).

Nella realtà il disco pullula di ospiti, tonnellate di session man (vedi per esempio Tony Levin al basso e Bob Ezrin un po’ a tutto l’apparato sintetico/produttivo), collaboratori a pioggia (tra il quali Phil Manzanera e Jon Carin, ex Industry), con l’intenzione di mettere su un prodotto vincente anche se l’ispirazione scricchiola, utilizzando i giochi di prestigio della consolle. A Momentary Lapse of Reason, nonostante queste evidenti pezze di lusso cucite su una stoffa lacerata, è stato comunque un disco di successo perche ha avvicinato ai Floyd teenager che ne avevano solo sentito parlare o giovani fan che avevano nel cuore le gesta watersiane e barrettiane tramandate dai loro genitori e zii. I quali a loro volta mettevano mano al portafogli per completare la loro collezione di album e speravano di assistere a una nuova magia, di essere testimoni di un disco indimenticabile.

È stato invece un album acquistato principalmente per curiosità e soprattutto come una specie di souvenir dei live, che in effetti sono stati il maggior traino dell’operazione. L’approccio medio era: tornano i Pink Floyd dal vivo, tocca andare assolutamente, compriamo anche ‘sto disco che non si sa mai, potrebbe essere l’ultimo. L’ultimo non fu, perche sono poi arrivati The Division Bell e The Endless River che ne è a tutti gli effetti l’appendice. Disco nostalgico il primo, più vicino ai Floyd classici e quindi meno interessante per quanto più coeso; pasticcio con pretese ambient il secondo, che non arriva manco di un centimentro a eguagliare Metallic Spheres a firma The Orb & Gilmour, ovvero quello che sarebbero dovuti diventare i Floyd e non hanno mai avuto il coraggio di essere per mantenersi saldi nella aurea mediocritas del mercato. Riascoltando A Momentary oggi sembra invecchiato meglio di The Division Bell. Anzi probabilmente è il disco dei Floyd che più parla al futuro, e quelli che consideravamo allora difetti oggi sono preziose intuizioni che hanno aperto inconsapevolmente nuove strade e nuove porte. E se calcoliamo che molti all’epoca lasciarono la loro copia nella busta, usandola come soprammobile, la cosa è ancora più vera: togliendo il cellophane oggi, lo si può ascoltare con l’attenzione che merita.

La versione espansa di ‘A Momentary Lapse of Reason’ uscirà il 29 ottobre

I Floyd d’altronde sono famosi per aver sempre annusato il mood di quello che stava per accadere musicalmente negli anni, anticipando le tendenze: la spinta verso l’hi-fi con The Dark Side of the Moon, l’ambient e soprattutto il pre industrial rock di Wish You Were Here, di cui Welcome to the Machine è praticamente uno dei primi se non il primo esempio, il proto post punk con Animals. Con The Wall la new wave diventa materia da stadio, anticipando come ben dice Waters le messinscene degli U2 o dei Muse. Andando ancora più a ritroso, The Piper at the Gates of Dawn o Ummagumma diventano un punto di riferimento per il movimento harsh/noise rock a venire. A Momentary invece, sembra che si trovi negli anni ’80 solo per caso, per una mera questione di macchinari, e parli invece alla generazione di oggi, quella vaporwave o addirittura post vaporwave. Sia per la sua frammentazione compositiva, sia soprattutto per il suono: quasi il prodotto di una intelligenza artificiale che crea canzoni senza pensare all’emozione.

Che i Floyd fossero noti per essere una band per la quale il suono e i colori fossero essi stessi composizione e non meri orpelli (seguendo la scia di Stockhausen, ma anche in evidente sinergia con i loro studi di architettura) era assodato, ma in questo caso la psichedelia si trasforma in un nuovo tipo di immersione visionaria, quella dello spaesamento nella macchina musicale, nella tecnologia che vira verso gli anni 2000 pronta a sconvolgere la quotidianità della gente e a liberarne come a inscatolarne gli istinti. Wright per primo aveva sperimentato queste possibilità di alterazione sensoriale nel progetto Zee, fondato nel 1984 con Dave Harris dei Fashion, usando campionatori di nuova generazione e abbandonando le tastiere analogiche per un trattamento interamente digitale. Ma fu subito tacciato di tradimento nei confronti della psichedelia classica a favore di quello che sembrava un suono commerciale, freddo, senz’anima, simbolo di un moderno in cui la musica pop è un prodotto usa e getta e basta.

I critici dimenticavano che una volta, prima di ottenere uno status di culto, la stessa psichedelia era musica da classifica senza se e senza ma, era la musica dei giovani che compravano i dischi e facevano gran parte del fatturato delle major, a volte rimanendo buggerati dai loro stessi miti. E qui sta il punto: A Momentary parte dalla contraddizione di un album che più che album è un enorme packaging, che si avvicina musicalmente agli stessi presupposti di Wright smussandone gli angoli, tenendo un piede avanti e l’altro indietro per assicurarsi che la terra non ceda per cadere nel silicio. Già dall’intro di Signs of Life, con lo scrosciare d’acqua campionato stile new age e dei pad di synth che potrebbero ricordare delle cose di Ferraro, sembra di capire da dove si sta ripartendo. Ovverosia da una versione di Shine On You Crazy Diamond riveduta e corretta, in cui l’ambient allora accennata è ora fessura per un passaggio virtuale più che spirituale, più rizomatico che profondo, più materiale che cosmico. Tant’è che la profezia di Wish You Were Here, quella di una band che non esiste più, è oramai avverata. Resta solo l’avatar dei Pink Floyd, con Mason e Wright sostituiti da sequencer e session man perché arrugginiti dopo anni di strumenti appesi al chiodo e un Gilmour che porta avanti la baracca nascondendosi dietro collaboratori esterni e tenendo solo la sua chitarra come unico collante inconfondibile e riconoscibile di un sound che rischia l’estinzione.

Eppure questa cosa, sulla carta brutalmente goffa, affascina. Brani come Terminal Frost, strumentale muzak che sembra uscito da un concept di Spencer Clark, la stessa On the Turning Away che insegue linee vocali che sembrano riemergere rivedute e corrette nelle deliranti canzoni AOR contenute in Age of di Oneohtrix Point Never, i mallets di One Slip che sembrano anticipare i Visible Cloaks, i vocoder distorti ed espliciti di A New Machine con quei vuoti pneumatici che ricordano le voci seppellite nella sabbia di microchip di Amnesia Scanner o di Lucrecia Dalt, le cavalcate industrial HD di The Dogs of War, i riff reiterati di Round and Around che sembrano quasi un jingle pubblicitario riveduto e corretto da Macintosh Plus, indicano una nuova space music di silicone, che si nutre di scarti perfezionati a livello sonoro fino a farne stato dell’arte del nulla.

Non è solo un evidente upgrade di tutti i precedenti input musicali dei Floyd, ma anche un modo di fare musica diverso, come pescando tra gli innumerevoli dati di un computer remoto per salvarli prima della distruzione totale. Se è vero che la nuova – e in fondo oramai storicizzata – onda di musica elettronica deriva in maniera poderosa dagli anni ’80, è altrettanto vero che forse solo i Pink Floyd hanno vissuto quel giro di boa musicale rovesciando il senso dell’esperienza lisergica in senso post umano. Dalla interazione tra sostanza e persona si passa a quella tra mezzo tecnologico e persona. È la macchina ad avere le visioni, l’uomo sta solo ad ascoltare e a guardarla raccontarle, come fuoco nel camino. E se il fuoco si spegne, non importa: questo in fondo è il temporaneo errore della ragione di cui parla il titolo, un’ammissione di mancanza di ispirazione che diventa essa stessa ispirazione che si affranca, una reiterazione di cose già viste e sentite come gli innumerevoli letti tutti uguali sparsi per la spiaggia che campeggiano in copertina mentre l’uomo siede brancolando nel buio.

Il rock qui è un mero pretesto, come i testi il cui semplice esistenzialismo sembra più una versione alleggerita dalle paranoie watersiane, per un’umanità ridotta a yes/no/maybe. C’è chi pensa, per questo, che A Momentary Lapse of Reason non avrebbe mai dovuto vedere la luce; è come se spaventasse per essere un gigante dai piedi d’argilla musicale, per non essere un bel disco nel senso comune del termine, ma sicuramente è un album che anela alla libertà. La nuova psichedelia, però, è e sarà sempre di più muzak per ascensori: la nuova droga è l’elettronica di cui siamo circondati, dobbiamo starci. E i Pink Floyd per primi hanno capito che in questo cielo di stordenti desktop era necessario imparare a volare, Learning to Fly. Per rimanere, tutto sommato, eterni e al contempo insicuri di esserlo.

Ti senti mai stanco di aspettare?
Ti sei mai sentito stanco di restare qui dentro?
Non preoccuparti, nessuno vive all’infinito.

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