I fake album di Beyoncé dimostrano che lo streaming musicale cade a pezzi | Rolling Stone Italia
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I fake album di Beyoncé dimostrano che lo streaming musicale cade a pezzi


Gli album di “Queen Carter” e “Sister Solana”, raccolte di demo trafugate e spacciate come nuove canzoni di Beyoncé e SZA, sono solo la punta dell’iceberg di un sistema pieno di problemi, dove la più grande popstar del mondo non può controllare le sue uscite discografiche

I fake album di Beyoncé dimostrano che lo streaming musicale cade a pezzi


Mentre ci affannavamo per sopravvivere alla tempesta di classifiche di fine anno e playlist a tema natalizio, un curioso incidente nel mondo dello streaming musicale ha suscitato meno attenzione di quanto avrebbe dovuto: la superstar mondiale Beyoncé ha pubblicato due nuovi album utilizzando un nome d’arte, ed entrambi si sono rivelati come raccolte di vecchie demo e scarti, fino a quel momento mai pubblicati – o autorizzati – da Beyoncé.

I due album, usciti con il nome “Queen Carter”, sono rimasti su Spotify e Apple Music per un’intera giornata, un periodo abbastanza lungo da generare un contraccolpo sui social media di Beyoncé, invasi commenti furiosi dei fan. Gli album sono apparsi sulle piattaforme insieme a un disco di SZA (anche in questo caso pubblicato con un nome d’arte, “Sister Solana”), anche questo una raccolta di vecchie demo rubate. Soundrop, la piattaforma di distribuzione che a quanto pare sarebbe stata utilizzata per caricare i brani delle musiciste, dice di esser al lavoro con le autorità per investigare il “possibile furto di proprietà intellettuale”, e di aver rimosso i brani subito dopo aver scoperto che invalidavano le condizioni d’uso del servizio.

«Abbiamo identificato il responsabile e il metodo utilizzato per rompere il nostro sistema», dice Zach Domer, brand manager di Soundrop. «Non sappiamo come il colpevole abbia originariamente ottenuto il materiale, ma da quanto ho capito sono registrazioni che giravano da tempo sui forum, e non essendo mai state pubblicate ufficialmente non erano identificabili. Hanno falsificato i metadati, nascosto informazioni e mentito».

Rubare delle demo, però, è una cosa – e non è stata detta una parola su chi potrebbe essere responsabile del furto, anche se dall’industria fanno sapere che i due casi potrebbero essere orchestrati dalla stessa persona -, frodare gli utenti di Spotify e Apple Music un’altra.

«Cose del genere capitano di continuo», dice Larry Miller, direttore del music business program della New York University. «Non se ne sente parlare granché perché non coinvolge tutte le volte l’artista più famoso del mondo. A causa dei cambiamenti nella distribuzione musicale, e della tecnologia utilizzata, questo tipo di leak capiteranno sempre più spesso».

Gli album fake sono il sottoprodotto del caos della distribuzione musicale, che è peggiorato ulteriormente con l’avvento dello streaming. Spotify acquisisce il materiale dai distributori, sia grosse etichette mainstream che piccole realtà indie, ma non può verificare ognuna delle milioni di canzoni che arrivano sul sistema. Allo stesso tempo, l’azienda sta cercando di potenziare Spotify for Artists, un programma che offre agli artisti indipendenti strumenti di distribuzione diretta più accessibili. Le etichette discografiche, i publisher e gli altri attori dell’industria, invece, faticano a stare al passo con i tempi, e nella fretta di consegnare le canzoni al pubblico queste vengono spesso identificate male, o confuse, o dimenticate. «Si tratta di problemi tecnici difficili da risolvere, soprattutto se la piattaforma cerca di essere più aperta», dice Miller.

Problemi di questo tipo possono colpire l’industria dove fa più male: al portafoglio. «L’uscita dei fake album è preoccupante, perché incideranno sul valore complessivo degli stream di quel giorno. Al momento le royalties non sono distribuite per-stream, ma per accumulazione, e l’arrivo in massa sul profilo di Beyoncé potrebbe aver colpito le royalties di altri artisti».

Non bisogna sottovalutare nemmeno il problema dell’autenticità, sia dei brani che del conteggio degli stream dei fan – che potrebbero non essere persone reali, ma telefoni collegati a streaming farms, o bot costruiti per ascoltare la stessa musica 24 ore al giorno. A febbraio dello scorso anno, Music Business Worldwide dichiarò che una truffa organizzata in Bulgaria aveva privato Spotify di circa 1 milione di dollari, pubblicando musica falsa e creando 1200 account per ascoltarla in loop, guadagnando ogni mese centinaia di migliaia di dollari.

Le varie aziende di streaming hanno risposto creando team dedicati a combattere queste attività sospette. Ma possono fare poco, e ci lasciano in una situazione in cui la più grande popstar del mondo non può controllare le sue stesse uscite discografiche.

«I fake album di Beyoncé sono la dimostrazione che sta cadendo tutto a pezzi», dice Bogan. Ma se le “frodi da click” sono organizzate per guadagnare denaro, la motivazione dei falsi leak di Beyoncé e SZA è più difficile da comprendere. «Se fossero album di un artista meno noto, allora poteva essere un modo per conquistare qualche titolo di giornale, per farsi notare e cominciare ad accumulare SEO in attesa di un’uscita vera e propria. Avrebbe funzionato», dice Bogan.

Quello che è successo con i fake album dimostra quanto sia facile falsificare un’uscita di Beyoncé, e probabilmente vedremo molti casi simili nel corso dell’anno. «Finché avremo problemi di metadati e attori del sistema che cercano di fregare il sistema stesso, cose del genere continueranno ad accadere», dice Bogan.

Domer la vede nello stesso modo: «La distribuzione indie ha offerto possibilità di carriera a decine di migliaia di musicisti che prima non avrebbero fatto nulla, ma sfortunatamente i distributori sono stracolmi di contenuti simili», dice. «Questo è un problema che coinvolge tutta l’industria e siamo determinati ad affrontarlo. Ma c’è bisogno di esseri umani: noi abbiamo un team che ci aiuta, ma non tutti i distributori hanno le stesse risorse».

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