I Baustelle e I Cani vogliono trovare un senso a questo tempo (anche se un senso non ce l’ha) | Rolling Stone Italia
Metamodernisti

I Baustelle e I Cani vogliono trovare un senso a questo tempo (anche se un senso non ce l’ha)

Abbiamo ascoltato il singolo dei due gruppi, una doppia coppia di canzoni in cui Niccolò Contessa risponde alle parole di Francesco Bianconi. Sono collage pop per il nostro inferno banale

I Baustelle e I Cani vogliono trovare un senso a questo tempo (anche se un senso non ce l’ha)

Niccolò Contessa e Francesco Bianconi

Foto press

Ma chi te lo fa fare di scrivere canzoni esistenzialiste nel 2023? Chi ha la voglia e il talento d’infilare in un pezzo pop la ricerca di senso in questo tempo insensato? Ci vogliono doti da equilibrista. Cammini su un filo sottile, da una parte c’è il dirupo della banalità, dall’altra il baratro della retorica. Se arrivi alla fine senza cadere, t’accolgono i «che noia» di chi non vuol sentire un pezzo che parla del nostro inferno banale e le alzate di spalle di chi dice che spacci fumo per grande canzone d’autore.

Due matti ci hanno provato, sono Francesco Bianconi e Niccolò Contessa. O meglio, sono i Baustelle e I Cani che hanno pubblicato un vinile a 12 pollici (lo si trova in digitale su Bandcamp, vedi sotto) senza preavviso e senza alcuna spiegazione, forse per creare un po’ di hype, forse come scelta romantica e rétro per ridare valore e sostanza alle canzoni trasformate oramai in contenuti come altri.

Non è uno split single, né si tratta di classici feat. È una doppia coppia di canzoni scritte e registrate nel 2023 tra Roma, Milano, Montepulciano e Bologna. Al primo ascolto m’è sembrato che Nabucodonosor – Essere vivo (il lato A) e Canzone d’autore – L’ultimo animale (il lato B) fossero costruite incollando un pezzo dei Cani in coda a uno dei Baustelle, che i due gruppi non fossero ben integrati, che non si parlassero. Riascoltandole, ho cominciato a considerarle canzoni con la risposta incorporata, con Contessa che replica a Bianconi e inizia a cantare dicendo “ma poi” e “lo sai com’è”, come se stesse dialogando con un amico.

Dalla Joni Mitchell di The Circle Game che risponde al Neil Young giovanissimo e già disilluso di Sugar Mountain a Lydia Murdock che diventa Billie Jean per replicare a Michael Jackson, nella musica popolare anglosassone esiste una lunga tradizione di answer songs. A volte sono canzoni scritte per sfruttare la coda di popolarità di un successo altrui. In qualche caso più interessante rappresentano le controtesi di una tesi espressa da altri, o il suo complemento. A forza di sentire questi pezzi, L’ultimo animale in particolare m’è parso il commento a Canzone d’autore, però integrato ad esso, con un finalino che li sintetizza. Bianconi canta su un ritmo che fa molto funk-rock anni ’70, e quindi un po’ Elvis, di umanità varia, con una carrellata che va da un Angelino che bacia “il pischello di poche parole che gli vende ogni tanto la roba, gli chiede un lavoro di bocca, una specie di amore” alla vita in città che sono cumuli di scorie, gabbiani, trasporti, mondanità. Siamo tutti sassolini nella tempesta. Contessa risponde, non allegrissimo, che vivere significa venire al mondo con dolore per poi morire in ospedale, e nel mezzo sentirsi intrappolato tra il bene e il male.

Meno prosaici di Guccini, che in una vecchia canzone quasi d’amore ci ricordava che vivere è «mangiare, bere, leggere, amare, grattarsi», i Baustelle e i Cani cantano la vita senza retorica, s’interrogano su certi impulsi e su quel che ci differenzia dagli animali, ovvero “la vergogna la coscienza la morale”. In Nabucodonosor – Essere vivo, un lato A che mi pare meno brillante del B, Contessa risponde a Bianconi dicendo che il prezzo e anche il bello di essere vivo è che c’è “un serpente nel mio giardino”, che non c’è gusto a vivere senza mai farsi del male. E però non è roba deprimente e nemmeno cupa. Perché queste sono pur sempre canzoni pop vivaci e per niente malmostose e perciò ti fregano con la loro finta malinconia, con la loro falsa allegria. Finisci per canticchiare versi che sembrerebbero altrimenti assurdi come quello di Bianconi che sopra un arpeggio di chitarra modello Pink Floyd ’79 canta di “una connessione tra i cantanti micidiali della tua generazione e il Nabucodonosor”.

Se non v’aspettavate due canzoni di Bianconi e Contessa assieme è perché effettivamente in passato non hanno dato grandi segnali di vicinanza, anche se si conoscono da tempo e si stimano. Il secondo non ha mai fatto mistero dell’influenza esercitata dal primo e in un’intervista di nove anni fa all’Indiependente, ammetteva d’avere iniziato tardi ad ascoltare i Baustelle: «Fino a poco più di un anno fa mi comunicavano un senso di artificio che tendeva a infastidirmi un po’; poi, ascoltandoli più serenamente, mi sono reso conto che incarnano una sintesi tra cultura “alta” e cultura “popolare” che trovo praticamente perfetta. E in effetti questa è proprio una delle caratteristiche della cultura postmoderna a cui ti riferisci. In questo senso mi sembra che sicuramente ci sia un’affinità, se non altro negli intenti».

Sei anni fa su Repubblica si parlava di un incontro a cena in cui Contessa non era riuscito a rivolgere la parola a Bianconi, che più di recente ha cantato con Tutti Fenomeni in un disco prodotto da Contessa. E ora li si ritrova assieme in un 12 pollici che definirei non postmoderno, ma metamoderno.

A proposito dei Cani e dei Baustelle s’è parlato di postmodernismo, che applicato al nostro pop indicherebbe una miscela d’ironia, scetticismo e citazionismo che tra le altre cose ripara dalla necessità di provare empatia per l’oggetto delle proprie canzoni, che puoi permetterti di contemplare con un certo distacco. Con le sue storie piccole, frammentate, a volte autoreferenziali, il pop italiano postmoderno s’è allontanato dalle narrazioni tipiche della canzone d’autore italiana: raccontare il mondo non è sembrato più utile, né possibile.

Il metamodernismo, di cui s’è cominciato a parlare una ventina d’anni fa, prevede il superamento del postmodernismo, di cui usa gli strumenti non per fuggire dalla ricerca di senso, ma per provarci, ricomponendo la frattura tra ironia e sincerità, usando l’accumulo di immagini, ma rifiutandosi di arrendersi alla disillusione. Ecco perché Nabucodonosor – Essere vivo e Canzone d’autore – L’ultimo animale mi sembrano esperimenti di canzoni metamoderne, collage ultrapop di testi e musiche in cui sovrapponendo due “voci” si cerca un senso a questo tempo, sempre ammesso che un senso ce l’abbia. Sono canzoni di quasi amore per la vita. E la vita, come cantava quello lì, è bellissima essendo inutile.