Succede da anni, succede ogni qual volta Taylor Swift lancia la prevendita d’un disco o di una sua variante. Del nuovo The Life of a Showgirl che uscirà il 3 ottobre ha annunciato sette diverse edizioni, stesso titolo, stesse canzoni, copertine differenti. Come se non bastasse, alcune sono disponibili in due varianti, ovvero coi vinili in due diverse tinte. Sono acquistabili per 48 ore, or while supplies last, cosa che succede regolarmente. Dell’ultima Tiny Bubble in Champagne Edition (a quanto parte più il nome è complicato e meglio è) erano pre-acquistabili l’Under Bright Lights Pearlscent Vinyl col disco perlaceo, a ricordare lo champagne e le sue bolle, e il Red Lipstick & Race Transparent Vinyl. La gente compra e compra e compra.
Di solito nel giro di poche ore Taylor Nation, che è l’account X del social team ufficiale di Swift, risposta con un breve commento gli screenshot che i fan pubblicano col riassunto degli ordini effettuati, sorta di attestato digitale di fedeltà. Molti acquistano entrambe le varianti e c’è da scommettere che qualcuno ha già preso una o più versioni precedenti di The Life of a Showgirl. E del resto che devono fare, «scegliere è impossibile» dicono ammiccanti mentre certificano d’aver speso 80 dollari. In un mondo a forma di Amazon, i fan vanno a comprare primizie nel negozio online della più potente popstar mondiale bypassando ogni intermediazione. In un tempo in cui la musica registrata è pressoché gratuita, postano i “carrelli” degli acquisti dei dischi come forma suprema di devozione.
È fandom che passa dal portafoglio, PayPal o quel che è. È marketing che fa leva sui legami emotivi. Se compri dal sito ufficiale, sei qualcosa di diverso da un pur rispettabilissimo e accanitissimo fan che dal 3 ottobre ascolterà l’album a ripetizione su Spotify o Apple Music. Ti distingui anche di chi lo prenderà con comodo su Amazon o in negozio (sì, esistono ancora). Si sa del resto che l’identità è definita anche dai consumi culturali, che nell’era dei social vengono esposti al fine di dire agli altri: io sono questo. Il repost del tuo order summary da parte di Taylor Nation, l’account più vicino alla popstar dopo il suo personale, rafforza il senso di relazione parasociale alimentando la stessa incredibile illusione che ha portato alcuni, dopo l’annuncio del fidanzamento ufficiale dell’amata «English teacher» col «gym teacher» Travis Kelce, a scrivere in modo ironico o forse no che «la mia amica Taylor si sposa».
La pubblicazione degli screenshot dei “carrelli” dei fan rafforza il senso d’appartenenza al gruppo e d’adesione emotiva a un fenomeno quasi monoculturale, oltre ad essere la realizzazione più alta dell’engagement che un brand possa desiderare: non solo compro gli oggetti che vendi, ma ti faccio pubblicità mostrando al mondo che l’ho fatto, magari in questo caso con la speranza d’essere notato da te e coccolato con un commento che il più delle volte cita o parafrasa il testo d’una canzone di Swift, il linguaggio parafamigliare di milioni di fan. Il repost visibile potenzialmente da quasi tre milioni e mezzo di persone rafforza la sensazione d’esser parte di una grande comunità digitale e non il semplice, anonimo acquirente d’un negozio online. Gli screenshot sono i simboli condivisi dell’entusiasmo collettivo per un fenomeno che è assieme musicale e commerciale. Sono la trasposizione online in dollari e centesimi dell’energia emotiva che si percepiva allo stadio durante le date dell’Eras Tour e che deriva dalla sensazione di fare con una moltitudine d’altre persone la stessa esperienza, nello stesso momento, con entusiasmo, in modo attivo.
Alla faccia di Donald Trump che ha sentenziato che Taylor Swift non è più hot (pare abbia cambiato idea, ma tu pensa, non lo fa mai), ci si aspetta che The Life of a Showgirl batta i record di The Tortured Poets Department dell’anno scorso. Quando le varianti vanno sold out si moltiplicano conti e speculazioni su quante copie sono state pre-acquistate e quante se ne venderanno. Si supererà il milione di copie fisiche nella prima settimana, ovvero una cifra da anni ’90, quando il mercato era florido? Che venda tantissimo è preciso desiderio degli Swifties, sogno di conquista pressoché totale del mercato di fan che gongolano pure per il milione e 300 mila visualizzazioni live fatte dalla puntata del podcast con l’annuncio all’uscita dell’album. È un record assoluto, meglio di Trump da Joe Rogan, tiè.
È il capitalismo dell’adorazione, funziona da sempre, oggi ha nuovi mezzi per esprimersi e diffondersi, nuovi giocattoli scintillanti da desiderare. Qualcuno paga e ci scherza su: vendo un rene, chiedo un prestito, sono al verde a causa tua, benedetta popstar. Altri pagano, screenschottano, condividono, gioiscono. Qualcuno è proprio devoto, prendi tutto quello che ho, Taylor, roba da OnlyMusicFans. Alla fine i soldi girano, son tutti contenti, chi lavora, chi stampa, chi vende e pure chi si ritrova a casa due, tre, quattro versioni dello stesso disco, e però la copertina e la grafica interna sono diverse e il vinile ha quella sfumatura lì che è irresistibile e poi guarda che le lettere T, A e S del titolo The Life of a Showgirl sono meno cariche di colore, sono le iniziali di Taylor Alison Swift, è un easter egg, cerchiamone altri. Swift è eccezione e avanguardia di questo fenomeno di fusione di passione e commercio, la studiano all’università una che trasforma la sciarpa di cui canta in un feticcio e poi te la vende sul suo store online. Chi vuole comprare a 1000 euro su eBay il golfino “originale” di Cardigan che cinque anni fa si trovava sul sito ufficiale?
Neanche ai tempi di Renaissance di Beyoncé, quando in Francia il CD era stato messo in vendita anzitempo e la gente postava la foto dello scontrino cartaceo, s’è assistito a qualcosa di simile. È l’adesione totalizzazione dei fan alle scelte strategiche dell’artista, le strategie commerciali non le studiano solo quelli che le devono studiare, ma eccitano gli acquirenti, diventano parte della narrazione che precede e circonda la musica, il marketing diventa spettacolo. Un tempo si pensava che canzone e commercio fossero sì necessariamente intrecciati, ma che un limite da qualche parte lo si dovesse pur tracciare. «Cerca di spremerci» era la frase che anche i fan più accaniti, anzi, che soprattutto i fan più accaniti dicevano quando di un album usciva l’ennesima versione deluxe o rimasterizzata che comunque si sentivano in dovere di comprare in quanto fan più fan di te o come si diceva con quella brutta parola “completisti” condannati dalla loro stessa dedizione a riempire gli scaffali di casa con doppioni dei doppioni. Oggi «cerca di spremerci» non lo dice più nessuno. Oggi è tutto uno «spremimi». Dopo il lancio della pre-vendita dell’ennesima variante si va in tutta fretta sullo store online col numero della carta di credito sotto mano sperando di riuscire a portare a casa un vinile perlaceo… while supplies last.
