Ozzy Osbourne cerca di dormire al piano di sopra, ma non riesce per via del chiasso che viene da fuori. Si rigira tra le lenzuola, s’agita, sbuffa, si lamenta, finché non si libera dalle lenzuola. Siamo a Beverly Hills, in uno sfarzoso palazzo in marmo non distante da Sunset Boulevard. Ci vivono Ozzy, la moglie Sharon e i tre figli adolescenti Aimee, Kelly e Jack. Sono loro che, sguazzando in piscina e ridacchiando impediscono al cantante di dormire. Con le mani tremanti nel buio, Ozzy decide il da farsi. Vorrebbe dire due parole ai ragazzi. Parole serie, da padre: ammonimenti, rimproveri, punizioni. Forse quelle parole ce le ha sulla lingua, ma non riesce a tirarle fuori. Intanto allunga la mano verso l’interfono che si trova accanto al letto.
Giù di sotto in cucina, Sharon Osbourne ha appena sparecchiato. Oltre a essere la moglie di Ozzy, è anche la sua manager e sa bene com’è fatto l’ex frontman dei Black Sabbath, oggi solista di successo e padrone di casa del grande carrozzone hard rock estivo chiamato Ozzfest. «È fragile», dice, «è molto, ma molto fragile. E lo è ancora di più adesso che ha smesso con tutto: droghe, alcol, caffeina, sigarette. A volte trema così tanto che sembra un chihuahua spaventato. È come se ogni nervo del suo corpo stesse implorando: “Ozzy, ti prego, dammi qualcosa, qualsiasi cosa, ti scongiuro!”».
Proprio in quel momento, l’interfono si accende gracchiando. La voce che esce è agitata: «Kelly, Kelly, per favore! Sembri una pazza. Fai silenzio, ok?».
Sharon si alza di scatto dal tavolo. «Aspetta, Ozzy. Ci penso io». Si dirige verso la porta che dà sulla piscina.
«Kelly?».
«Sì?», risponde la ragazza, 15 anni.
«Per favore. Hai svegliato papà».
Jack, 14, e Aimee, 16, scoppiano a ridere.
«Zitti voi due!», sbotta Sharon. «Tutti quanti, basta! Un po’ di rispetto!».
Sharon si risiede. Sorride. È una donna sulla cinquantina affascinante, intelligente e decisamente tosta. È sposata con Ozzy da diciott’anni e in tutto questo tempo ne ha viste con lui di tutti colori, alti e bassi, e poi ancora più bassi.
«È stata una sfida», dice, «eccome se lo è stata».
Ricomincia il casino. Risate dei ragazzi, urla, strilli acuti. Il baccano arriva fin su nella stanza al piano di sopra, costringendo Ozzy a scendere giù dal letto avvolto da lenzuola rosa coi pizzi. Barcolla fino alla finestra in mutande nere, coi capelli lunghi che gli cadono sugli occhi. Ora non si preoccupa solo del suo sonno, ma anche di quello del suo vicino di casa Pat Boone, cantante devotamente religioso.
Lancia un’occhiata di fuoco ai ragazzi e dice: «Se non la smettete subito, io… io…».
Silenzio.
I figli lo guardano, con il mento appoggiato al bordo della piscina.
«Io… io…».
«Beh, sì? Che farai?».
«Adesso mi ascoltate», dice e loro cominciano a ridacchiare. Perché, davvero, che cosa potrebbe mai dire loro con un tono da padre?
Lui, Ozzy Osbourne – leggenda vivente, Principe delle tenebre fatto e strafatto, il tizio che ha praticamente inventato la musica che fa impazzire i genitori di mezzo mondo – ecco, lui, cosa potrà mai fare se non si calmano? Un sacco di pensieri gli girano per la testa. Tipo: come posso far loro la predica quando la maggior parte delle volte sono peggio di loro? Quando mi hanno visto tornare a casa in una macchina della polizia, in una cazzo di ambulanza, in camicia di forza e incatenato? Quando mi sono presentato ai colloqui coi professori fatto di Vicodin o Percocet, e mi sono pure addormentato e Sharon ha dovuto darmi delle gomitate sotto il tavolo, e io mi sono svegliato urlando: «Ehi, ma perché cazzo continui a picchiarmi, eh?». Cerco di fare la figura dell’autorità. Ma mi ascoltano? Ma va’. Manco per il cazzo.
Jack, Kelly e Aimee sono ancora lì che aspettano una risposta. Ozzy sbatte le palpebre un paio di volte. Poi, con voce flebile, dice: «Be’, cercate di stare un po’ zitti, d’accordo?».
Si volta e si rimette a letto, cercando di addormentarsi in mezzo a quel casino.
*
Magari non è noto, ma Ozzy Osbourne è in realtà una persona profondamente modesta e riservata. A causa del passato – per via delle galline che ha fatto fuori a fucilate, dei gatti che ha ammzzato, della fila di formiche che ha sniffato come fosse cocaina, della testa di pipistrello che ha addentato, della carne (stomaci e budella, soprattutto) che ha lanciato sul pubblico, delle quattro bottiglie di vodka che si è scolato in una sola sera, della volta che ha cagato in ascensore e del giornale a cui ha dati fuoco in aeroporto mentre era in mano a uno sconosciuto che lo stava leggendo – per tutti questi motivi, che poi rappresentano solo metà del suo repertorio, molta gente pensa che debba essere per forza uno stronzo gigantesco ed egocentrico. In realtà tutte queste follie appartengono a un’epoca passata, le ha fatte sotto l’effetto di ogni sostanza possibile. E secondo la massima esperta mondiale in fatto di Ozzy, le cose non sono come sembrano.
«Da Kiss ai Bon Jovi fino ai Backstreet Boys, chi è che non ha fatto la pubblicità del latte?» dice Sharon. «Ozzy mai. Non ci pensa nemmeno. Non è il tipo da dieci cazzo di bodyguard al seguito. Si ficcherebbe un dito in un occhio piuttosto che scendere da una limousine. Si sentirebbe ridicolo. All’ultima cerimonia dei Grammy, mi guarda e mi fa: “Noi qua non c’entriamo niente, voglio andare a casa”. Non ha niente a che fare con quelli che io chiamo i rocker da passerella di Versace. Non è uno dei belli e famosi. È semplicemente Ozzy».
Eppure, quello che è semplicemente Ozzy ha avuto un successo enorme. Da quando ha lasciato i Black Sabbath nel 1978 – o meglio, da quando lo hanno sbattuto fuori per via dei suoi tanti eccessi – ha venduto più di 67 milioni di dischi da solista. Ogni suo album è arrivato almeno al platino. In più, l’Ozzfest, il tour estivo hard rock che porta il suo nome, è arrivato al quinto anno, ha attirato finora 1,7 milioni di spettatori e incassato oltre 60 milioni di dollari, diventando uno dei tour più redditizi dell’estate americana. Il festival ha anche dato una spinta decisiva a band come Limp Bizkit, Slipknot, Soulfly, Static-X e System of a Down. «Per una band giovane come gli Static-X non c’è di meglio che stare accanto a un’icona come Ozzy», dice Andy Gould, manager degli Static-X, ma anche anche di Rob Zombie, Powerman 5000 e altri artisti che hanno partecipato all’Ozzfest.
Curiosamente, però, l’Ozzfest non è stata un’idea di Ozzy, ma di Sharon. Le sembrava un modo divertente per tenerlo impegnato. E non è Ozzy che sceglie quali band suoneranno, ma Sharon e il giovane Jack Osbourne, che nonostante la giovane età è una faccia nota in quasi tutti i club del Sunset Strip. Del resto oggi Ozzy ascolta poca musica (a meno che non sia dei Beatles o di qualche ex Beatle) e non socializza granché con le altre band in tour: preferisce tenersi alla larga da qualsiasi tentazione che potrebbe farlo ricadere. Ogni tanto però si fa vedere alla Ozz Records, su Santa Monica Boulevard, dove si coordinano molte delle attività legate all’Ozzfest.
Oggi entra lì piuttosto rilassato, di buon umore, con t-shirt e pantaloni neri, occhiali con lenti blu. Ha 51 anni, ma sembra stare meglio di quanto non stesse dieci o vent’anni fa. E in più, profuma da dio: si è cosparso di No. 88, il profumo di Czech & Speake. Più che camminare si trascina curvo, raggomitolato su se stesso, le braccia penzolanti in modo quasi scimmiesco, le dita non fanno che tremare. Eppure ha quasi sempre l’aria di uno che sta per sorridere. Ha un viso che trasmette calore. È uno di quei volti che ti invitano ad avvicinarti.
Si siede sul divano, in silenzio. Anche questo è tipico di Ozzy. Spesso tace forse perché gli piace così o forse perché non ha scelta. Ma quando un argomento riesce a far breccia nella sua testa, apre la bocca per dire qualcosa. A dire il vero, all’inizio più che parole escono suoni indistinti, borbottii, sillabe masticate, frammenti di parole impastati di saliva. Poi finalmente riesce a lanciarsi in un piccolo monologo, magari sullo Zoloft, l’antidepressivo che prende ogni giorno, 200 milligrammi.
«Sono uno di quei tipi che appena si svegliano hanno un problema», dice con tono tranquillo. «Il mio problema è che cerco qualcosa da distruggere o far saltare in aria. Ho i nervi a pezzi. Ho la testa che va a mille. A mezzogiorno sono già fuori di zucca. Son fatto così. Non credo neanche di essere nato, mi hanno proprio sparato fuori: “Occhio, è arrivato!”. Così, qualche tempo fa, hanno iniziato a farmi provare varie pillole. E devo dire che con lo Zoloft mi trovo bene. Ho il disturbo da deficit d’attenzione, come i miei figli e praticamente tutta la famiglia. Sono un iperattivo e lo Zoloft mi calma un po’. Mi sveglio ancora con quella sensazione addosso, ma so più o meno come gestirla».

Foto: Frank Trapper/Corbis/Getty Images
«Ehi Ozzy!». Sharon e lo staff vogliono il suo parere sul design del palco dell’Ozzfest, che quest’anno è una rappresentazione fantasiosa dell’inferno. Ozzy dà qualche opinione, ma poi decide che la vera questione è il costume di scena.
«Ti farò fare un sospensorio con diamanti incastonati», dice Sharon.
«Ma vaffanculo!», sbotta Ozzy. «Non ho intenzione di mettermi un cazzo di sospensorio e una spada e tutte quelle stronzate. Dico sul serio».
«Dai, Ozzy, ti sto prendendo in giro!».
«Io non ne porto più, di sospensori, ok? L’ultima volta è stata nell’81, mi sa, e quasi mi ammazzava. Era rosso, e quando sudavo mi si stringeva tutto».
Entrambi restano un attimo in silenzio, ripensando a quell’epoca.
«E quando si toglieva quel sospensorio rosso», dice Sharon, «le sue palle erano rosse per via del colore che stingeva».
«E lei mi leccava via il colore dalle palle, quella parte era bellissima».
Silenzio di nuovo. Poi Ozzy torna al presente e dice: «Ok, seriamente, che cazzo mi metto? Non voglio sembrare uno dei Kiss. Non esagerate, vi prego. Ho 51 anni e non voglio sembrare una vecchia checca sul palco».
Si allontana lasciando a Sharon il compito di occuparsi dei dettagli. Lei lo osserva mentre s’avvicina a uno dei loro cani. Gli Osbourne ne hanno cinque – Minnie, Maggie, Lulu, Teddy e un nuovo cucciolo ancora senza nome – e sono tutti piccoletti, grandi quanto una stecca di sigarette. Ozzy prende in braccio Minnie, una Pomerania. Le dà un bacio, fa dei versi, le affonda il naso nel pelo. «Oh, ma guarda che cicciona che sei», dice teneramente. Poi le mostra i denti e le ringhia addosso, per scherzo.
«Ozzy è speciale», dice Sharon. «È sempre rimasto un po’ un mistero. È sempre stato un outsider, mai alla moda e forse è anche per questo che è ancora in giro. E a me va benissimo così. Fa parte del suo fascino. Ha fatto un sacco di stronzate, ma un sacco veramente, ma almeno ha avuto il coraggio di ammetterle. Musicalmente non ha mai preteso di essere Pavarotti o John Lennon. Fa quello che sa fare, e a quanto pare piace a un sacco di gente, anche se i critici e i fighetti del rock lo considerano un pagliaccio».
Il volto di Sharon si fa scuro e le guance le diventano rosse. «Lord Sting», dice, sputando quasi il nome. «Lo chiamiamo così perché sta leccando culi a destra e a manca per farsi dare il titolo di baronetto. È un leccaculo cosmico. Ha talento, sì, ma è uno stronzo. E le ha sparate grosse su Ozzy parlando con la stampa».
Ozzy si avvicina, con Minnie tra le braccia tatuate. «Cosa? Che ha detto di me?».
«Ha detto che era contento che il primo artista occidentale a esibirsi in Vietnam fosse lui, perché figurati che disastro se avessero visto Ozzy Osbourne per primo. Be’, vaffanculo, stronzo…».
«Oh, non so…», dice Ozzy, diplomatico.
Ma Sharon non ha nessuna intenzione di fermarsi. «Solo perché se ne va in giro con un tipo della foresta pluviale che ha un disco infilato nel labbro, pensa che la sua merda profumi di rosa. Siamo stati a questa festicciola esclusiva organizzata da Elton John. C’erano Sting e sua moglie e ci guardavano come a dire: “Per favore, non rivolgeteci la parola”. E io li guardavo a mia volta: “Tranquilli, non ci penso proprio”».
«Io neanche me ne sono accorto», dice Ozzy, sbattendo le palpebre.
«Oh, ma tu mi conosci», dice Sharon, la protettrice feroce. «Io vedo tutto.»
*
Oggi Ozzy usa la maggior parte delle sua energie per combattere i demoni della dipendenza. Non può abbassare la guardia, mai. Deve restare costantemente vigile. Va in terapia una volta al giorno, anche due se riesce, e ogni pomeriggio partecipa a incontri degli Alcolisti Anonimi. Passa anche tre ore al giorno nella palestra di casa ad allenarsi. «È lì che si punisce, che si purifica», dice Bob Thomson, il suo tuttofare. «Si abbuffa, si purga. Si abbuffa, si purga».
«A 51 anni mi sento più vivo di quando ne avevo 21», dice Ozzy. «E sono più in pace che mai». In pace forse sì, ma sempre in movimento. Quando si siede, le ginocchia gli tremano. E non riesce a stare seduto a lungo, tre minuti al massimo, poi deve alzarsi e iniziare a camminare magari per andare a pisciare, cosa che fa ogni 20 minuti circa, oppure per raggiungere il frigo e tagliarsi un bel pezzo del suo chorizo spagnolo stagionato preferito. Dato che ha smesso di fumare da poco – sono 11 giorni che non tocca le sue due confezioni giornaliere di Marlboro Lights – le sigarette sono una costante nei suoi pensieri. Porta un cerotto alla nicotina sul braccio, se lo gratta in continuazione e a volte sparisce dalla stanza per tornare con una sigaretta finta di plastica da mettere in bocca.
Sembra fragile.

Nel 1984. Foto: Lynn Goldsmith/Corbis/VCG via Getty Images
«Non ha molta fiducia in sé», dice Sharon. «È insicuro. Uno dei motivi per cui non socializza con le altre band è che si sente spaesato e non sa cosa dire». Se avesse una birra o una pasticca per sciogliersi un po’, sarebbe un’altra storia. Ma non ha più niente di tutto ciò. E infatti, per come stanno le cose adesso, non avrà neanche un vizio con cui rilassarsi dopo i concerti dell’Ozzfest. La cosa preoccupa Sharon: «Se scende dal palco e non può fumare, non può prendere una pasticca e non può bere… è fottuto».
Viene quasi da immaginarlo lì, solo nel camerino, sudato fradicio, seduto sul divano, magari in mutande nere, con quella panciotta tonda, le dita che tremano: il grande Ozzy Osbourne, il Principe delle tenebre, ridotto così. Eppure, in tutto quel dolore, in tutto quello sforzo, non c’è forse qualcosa di eroico? Non è forse più grande così, infinitamente più grande di certi coglioncelli che coi loro vestiti di Versace fanno finta di essere delle rockstar?
«Mi hanno tolto la cistifellea, e in ospedale avevo un pulsante per somministrare l’antidolorifico», racconta Sharon. «Io non avevo male, ma Ozzy viene lì e mi fa: “Non lo usi! Usalo! Dai, premilo!”. Il bello di Ozzy è che non sa fingere. Non riesce a fare finta di essere quello che non è. Non si apre con la gente. Ha pochissimi amici. E guarda com’è, lì a lottare ogni giorno per restare pulito. Ci prova con tutto se stesso. Ma per lui è durissima. Veramente durissima».
*
Stare con Ozzy, Sharon e i figli è uno spasso. I fratelli minori, Kelly e Jack, portano i capelli decolorati biondo platino e sono aperti e vivaci. Aimee ha 16 anni e un’aria un po’ tormentata. Come tutti i fratelli litigano spesso. Una volta, un insegnante di Jack ha chiamato a casa per sapere perché il ragazzo non era andato a scuola. Ha trovato in segreteria un messaggio che Aimee aveva registrato di nascosto: «Jack non può venire a scuola in questo momento perché si sta masturbando. Dategli un secondo e sarà subito da voi». Jack, in lacrime, si è vendicato cambiando il messaggio: «Aimee non può rispondere al telefono, sta facendo un pompino, lasciate un messaggio e vi richiamerà appena finisce».
Sì, è una famiglia come tante. Più o meno. E a volte Sharon deve impegnarsi per farlo capire ai figli, soprattutto quando combinano qualche casino e si presentano davanti a lei con la faccia triste da vittime del destino, come se essere i figli di un tossico li rendesse automaticamente innocenti. Sharon dice loro che «sono solo cazzate», loro rispondono «be’, se fossi cresciuto in una famiglia normale, e se papà non fosse un tossico…». E lei: «Stracazzate. Non esistono famiglie normali. Qualsiasi famiglia è disfunzionale. Se vostro padre non fosse stato un alcolizzato, avrebbe trombato la segretaria o si sarebbe sniffato le mutandine di qualche ragazzina… c’è sempre qualcosa con chiunque. Tutti hanno i loro casini!».
Eppure, ovviamente, la famiglia Osbourne è un tantino più unica delle altre. Quelli della FilmColony Ltd l’hanno capito al volo e hanno sviluppato un’idea per una serie tv che ruota attorno ad essa. Una via di mezzo tra documentario e sitcom. Così un giorno, i cinque Osbourne arrivano negli studi per incontrare un giovane dirigente con un’aria fresca e i mocassini ai piedi chiamato Gary. Nella sala d’attesa, Ozzy fa un balletto con Sharon e la bacia. I tre figli li guardano sconvolti.
«Voi due, prendetevi una stanza in hotel», dice Jack.
«Papà, ti prego, non farlo», dice Aimee. «Oh mio Dio. Basta. Sembri pazzo».
Nell’ufficio di Gary, quella che parla di più è Kelly: critica il copione di prova che trova sdolcinato e insopportabile. Quando una battuta la offende, Gary si affretta a dire: «Ok, la cambiamo subito!». Kelly si chiede se il linguaggio usato dagli Osbourne potrà essere trasmesso in tv. Il piano di Gary è di coprire le parolacce con dei beep. «Quindi, se sta parlando Ozzy», spiega, «ci potrebbero essere tipo 15 beep in un solo discorso. Fa ridere».
«Mmm», dice Kelly.
«E Aimee che parte ha?», chiede Ozzy. Aimee è l’unica della famiglia che si rifiuta di partecipare allo show: per lei è una perdita di tempo e un’umiliazione.
«È una figura misteriosa», dice Jack.
«La ragazza chiusa nell’armadio?» dice Ozzy. Aimee lancia occhiate truci a padre e fratello.
«Aimee non parla mai», aggiunge Ozzy.
«Ti consiglio di non iniziare a prendere in giro Aimee, perché se lo fai, preparati a una bella seratina», interviene Kelly, che poi cambia argomento e porta il discorso sull’ultima scena del copione. «Allora, ho capito che ci sono papà e Jack che danno fuoco a un sacchetto di merda di cane davanti alla porta di Pat Boone, ma non ne capisco il senso».
«È solo una gag», prova a spiegare Gary.
«Un sacchetto con della merda?», chiede Ozzy, perplesso. Le ginocchia che cominciano a traballare.
«Sì», dice Gary.
Ozzy è rimasto seduto fin troppo per i suoi standard. Si alza di scatto e annuncia che deve andare a un incontro degli Alcolisti Anonimi.
«Ma sono solo le 15:30», nota Kelly.
«Voglio mangiare qualcosa prima».
«Ho della pizza in auto», dice Sharon.
«Non mi piace la pizza».
«Adori la pizza».
«La odio, cazzo».
«Sei un bugiardo, la adori».
«Non voglio la pizza».
Gary accavalla le gambe e cerca di sembrare divertito dalla scena.
«Gnam, pizza», dice Jack.
«Vaffanculo», risponde Ozzy.
Sharon scoppia a ridere.
«Smettila di mentire», dice Jack. «Il punto dell’AA non è proprio l’onestà?».
«Ah ah».
«Ok, basta battute sugli Alcolisti Anonimi», dice Kelly.
«Cosa?!», grida Ozzy. «Cosa?».
«Non le trovo per niente divertenti», dice Kelly.
«Non stavo parlando di AA!», urla Ozzy.
«È lui!», dice Kelly, indicando il fratello. «Stavo parlando con Jack!».
Tutti nella stanza si calmano un po’, prendendosi una pausa dalla discussione che, nel giro di un minuto o poco più, potrebbe diventare un disastro. Ozzy si scusa e va in bagno. Mentre è via, Gary, Sharon e i ragazzi parlano del titolo proposto per lo show: Ozzy and Harried, un gioco di parole con Ozzie and Harriet, la sitcom sulla famiglia perfetta degli anni ’50. I ragazzi, tutti molto decisi, trovano il titolo «stupido, stupido, stupido». Parlandone tra di loro pensano che Gary «dica stronzate» e che «sembra un imbroglione».
«Qual è il titolo provvisorio?», chiede Ozzy una volta tornato nella stanza.
«Osbourne, un povero ragazzino bianco», scherza Sharon.
«Ozzy and Harried», dice Gary.
«Ozzy ed Erode?», dice Ozzy. «Chi è Erode?».
«Harried», lo corregge Gary. «Nel senso di stressato, sopraffatto!».
«Ma non è troppo simile a Ozzy and Harriet», replica Ozzy.
«Ah ah ah».
«È proprio quello che volevamo», dice Gary, chiaramente in difficoltà.
«Osbourne, povero ragazzino bianco… una cosa del genere», dice Ozzy alzandosi di nuovo. «Io me ne devo andare».
«Papà, calmati», dice Kelly.
«Hai ancora tempo, papà», dice Jack.
«Allora ce ne andiamo?», dice Ozzy, barcollando verso la porta, ormai quasi del tutto andato.
*
Più tardi, Ozzy è di nuovo a casa, nella sua stanza preferita, la sala tv. Sul pavimento, appoggiate contro una parete, ci sono alcune delle sue strampalate e coloratissime opere in stile doodle, con titoli come Life After Birth, Death That Lives Within Your Heads e Dream Shuttle of Doom. I cani scorrazzano ai suoi piedi, per la sua gioia. Ozzy esce dalla stanza senza una meta precisa e torna con della salsiccia. Segue la dieta Atkins, tutta grassi, e ha effettivamente perso peso passando da 88 a 76 chili. Sta cercando di migliorare in tutti i modi possibili, ma alcune parti di lui sono ormai irrimediabilmente compromesse. Le dita per esempio tremano da sole, come animate da una loro volontà e nessun medico è ancora riuscito a spiegare il motivo. Ha perso una parte dell’udito, sostituito da un fischio continuo che lo fa impazzire e potrebbe essere la ragione per cui spesso sembra fuori fase.
Si lascia cadere sul divano, sotto un enorme quadro che raffigura Sodoma e Gomorra. «Ogni volta che mi siedo in questa stanza, mi vien voglia di fumare. È qui che fumavo sempre. In realtà, ogni volta che mangio voglio una sigaretta. Ogni volta che mi sveglio la mattina ne voglio una. Ogni volta che vado a dormire ne voglio una. E poi dicono che non dà dipendenza. Ma vaffanculo».
Stacca un pezzo di salsiccia con i denti e comincia a masticare. «Senti, se vuoi fumare, per me non è un problema. Mi becco solo l’odore, va benissimo così. Davvero. Magari mi unisco pure a te, ahah».

Ozzy con Randy Rhoads. Foto: Chris Walter/WireImage
A volte Sharon si mette lì con Jack e gli racconta storie dei primi tempi di Ozzy e dei Black Sabbath. All’epoca, il padre della donna – a detta di Sharon un tipo poco raccomandabile nella Londra di quegli anni – era un manager di grosso calibro. Quando i Black Sabbath cominciarono a farsi notare, tra gli addetti ai lavori girava voce che «questi qua sono dei poveri scemi facili da fregare». Suo padre mandò un collaboratore a prenderli per un colloquio, ma quello se li accaparrò per sé, come manager, ma solo per depredarli. Alla fine della fiera, i Black Sabbath – Ozzy, Bill Ward, Tony Iommi e Geezer Butler – si sono ritrovati con quasi niente in tasca.
Jack scuote la testa, disgustato. Poi Sharon torna con la memoria a un altro episodio tragico: la morte di Randy Rhoads, il chitarrista prodigio che ha dato il via alla carriera solista di Ozzy. È successo diciott’anni fa, in un campo in Florida. Sharon e Ozzy dormivano in fondo al tour bus. L’autista del pullman, che era anche pilota, aveva rimediato un aereo da turismo per fare un giro e Randy era salito con lui, così, per divertimento. Ma a un certo punto l’autista aveva visto scendere dal bus sua moglie, che poco prima aveva chiesto il divorzio, e aveva deciso di fare un volo rasente per impressionarla.
«L’aereo ha centrato il bus, lo ha spaccato ed è finito dentro una casa. È stato un cazzo di incubo. La casa ha preso fuoco».
«Non c’era un tipo sordo, dentro?».
«Sì, Jack, c’era. E tuo padre si è buttato dentro e l’ha tirato fuori. È stato tremendo… Una settimana dopo, Ozzy stava già facendo audizioni per cercare un nuovo chitarrista».
«Perché?».
«Perché era in uno stato di shock totale e io sapevo che se non avessimo fatto qualcosa subito, Ozzy era finito. È stata la cosa più devastante che gli sia mai successa. Non riusciva a parlare. Non era in grado di fare nulla, niente di niente».
«Aveva bisogno di rimettersi subito in moto, giusto?».
«Esatto».
Sono di questo tipo le storie che si raccontano in casa Osbourne. Quelle che Jack racconterà ai figli, e i suoi figli ai loro figli, e così via, all’infinito. E del resto le storie non mancano. E hanno lasciato un segno profondo. «Mi dà un fastidio tremendo quando la gente mi chiede se mio padre mangia pipistrelli», dice una sera Aimee. «Succede sempre. A scuola, quasi ogni giorno, qualche imbecille veniva da me e diceva: “Ehi, ma voi mangiate sul serio i pipistrelli?”. E io tipo: “Ma sì, certo, vieni a casa nostra questo weekend, facciamo una grigliata di pipistrelli”. E mi credevano! Una volta ho invitato un paio di amici a casa e l’hanno trovato stranissimo, perché lui non parlava, se ne stava nella sua stanza a guardare la tv e mi chiedevano: “Perché non parla? Perché non fa il matto?”. E io: “Mi spiace deludervi”». Si gira per andarsene. «Ecco perché ormai non invito più nessuno a casa».
A scuola, poi, non ci va più. Non riusciva a relazionarsi con gli altri ragazzi. A Sharon non importa più di tanto, ma Ozzy è convinto che un giorno se ne pentirà.
*
Cresciuto tra le macerie della working class di Birmingham, Ozzy ha lasciato la scuola quando aveva 15 anni. Il padre faceva l’attrezzista, la madre testava clacson di automobili. Era gravemente dislessico e iperattivo fino all’eccesso, gli insegnanti gli dicevano che era stupido, un imbecille, un ritardato che non avrebbe combinato nulla nella vita. Ha mollato tutto e si è dato ai furterelli, pure piuttosto maldestri. È finito in galera una o due volte, era la maggior parte del tempo fatto e ubriaco. In effetti, la prima volta che si è sballato aveva suppergiù 5 anni, lui e il suo amico Patrick andavano vicino alle auto accese e si sniffavano i gas di scarico. «Una figata pazzesca» pensava Ozzy. Poi se ne andavano barcollando a cercare una palla di catrame o del creosoto da annusare.
Sballarsi era l’unica cosa che gli interessava. Fan sfegatato dei Beatles, si era convinto che voleva fare il cantante ed era riuscito a convincere il povero padre a comprargli un microfono e un ampli. Da lì sono nati i Black Sabbath. Ma anche negli anni con loro, dal 1969 al 1978, quando con gli altri suonava pezzi densi come fango e deprimenti al massimo su guerra, paranoia, morte e odio, inventando di fatto l’heavy metal, Ozzy aveva in testa solo una cosa: lo sballo. «La gente mi diceva: “Ti rendi conto dell’effetto profondo che hai avuto sul rock?”. E io: “Ma che cazzo stai dicendo?”. L’unica cosa che mi interessava era quanto ci mettevamo ad arrivare al pub». Gli piaceva da matti. «Ci devastavamo ogni cazzo di giorno. Poi siamo arrivati a Beverly Hills: droga, ragazze, orge. Pensavo di essere morto e finito in quella cazzo di Roma imperiale».
Cacciato dalla band, Ozzy ha passato i sei mesi successivi chiuso in una stanza d’albergo a bere e drogarsi, realizzando praticamente le più cupe previsioni dei suoi insegnanti. Per caso, il suo manager in quel periodo era il padre di Sharon. Un giorno del 1979, l’ha mandata a riscuotere un debito. Dopo averlo visto ridotto in quello stato, Sharon ha deciso di salvarlo.

Ozzy e Sharon. Foto: Life Picture Collection/Getty Images
«Quando ho incontrato Sharon, stavo puntando dritto alla morte», racconta Ozzy. «Ero sposato con la mia prima moglie, avevo dei figli e avevo mandato tutto a puttane. L’avevo picchiata, un disastro totale. Ero un porco ubriacone che non aveva tempo per nessuno, nemmeno per i sentimenti degli altri. E sai cosa ha fatto Sharon per me? Mi ha detto: “Ho trovato un posto dove ti insegnano a bere bene. Si chiama Betty Ford Center, a Palm Springs”. E io: “Mmm, quasi quasi ci vado”. M’immaginavo con un papillon anni ’30 e la giacca da smoking, seduto al bar a sorseggiare un bel Martini. Ci sono andato, sono entrato e ho chiesto: “Dov’è il bar?”. E loro: “Sei proprio nel posto giusto”».
Ci è rimasto sei settimane. Una volta uscito nel giro di tre ore era di nuovo strafatto. È stato mollato dalla prima moglie e ha iniziato a frequentare Sharon, e siccome anche lei beveva, all’inizio erano una coppia perfetta. Si sono sposati nel 1982. Sharon ha messo quasi subito di bere, mentre Ozzy è andato avanti. Sono arrivati i figli e man mano che crescevano, Ozzy ha capito che era il momento di cambiare.
Kelly e Jack gli dicevano: «Lo sappiamo. Non puoi prenderci in giro. Sappiamo che ti droghi, che sei fatto, e…». Dentro di sé, Ozzy pensava: «Non va bene. Dovrei essere io a dare consigli ai miei figli e invece sono loro che danno consigli a me. E io sono il loro cazzo di padre».
«Per favore, non venire a scuola oggi», lo pregavano quando c’erano i colloqui con gli insegnanti. «Sei fatto».
«Non sono fatto!».
«Sì che lo sei», diceva Sharon. «Ti conosco abbastanza, ormai. Non ho voglia di giocare con te. Ci vediamo dopo». A quel punto, Ozzy veniva preso dal senso di colpa e dalla vergogna, e diceva: «Forse è meglio se mi faccio ricoverare di nuovo».
«È meglio, papà».
È il tipo di conversazione, o qualcosa di simile, che si sente ancora ogni tanto in casa Osbourne. È successo ad esempio a Capodanno. E potrebbe succedere di nuovo. «Se non faccio quello che mi viene consigliato», dice Ozzy, «allora crollo. E mi ritrovo spinto dentro una stanza e chiuso lì per 13 settimane. È dura. Ancora oggi, potrei tornare a casa questo pomeriggio completamente sbronzo o in stato di arresto. Il fatto è che sento che la maggior parte della mia vita è stata inutile, uno spreco, e solo adesso, con l’età, comincio a capire il perché. Se da bambino qualcuno ti ripete che non vali un cazzo, diventi uno che non vale un cazzo. Ed è quello che mi è successo».
Se passi del tempo con Ozzy, non puoi fare a meno di volergli bene. Spesso è sarcastico e divertente, e quando dice qualcosa di spiritoso e si ferma un attimo con la bocca aperta somiglia molto al comico George Burns. Ha gli occhi che brillano di un verde smeraldo e aspetta di vedere se sei sulla sua stessa lunghezza d’onda. È anche un buon vicino.
«Un vicino ideale», assicura Pat Boone, che ha anche inciso Crazy Train di Ozzy nell’album easy listening Metal Moods. «Non ci sono mai stati problemi, anche se a volte si sente musica a tutto volume dalla pool house, a un volume altissimo». Pat ricorda la prima volta che ha incontrato Ozzy, per strada davanti alle loro case: Ozzy camminava in quel modo strano e Pat gli si è avvicinato e gli ha detto in tono amichevole «Ciao, vicino!». Ozzy ha risposto che prima o poi avrebbero dovuto prendere il tè insieme. Non è mai successo. A Pat piacerebbe conoscere la famiglia Osbourne, specialmente perché le rispettive governanti sono molto amiche e gli hanno detto che Mr. Ozzy è «un padre modello e molto attento alla salute». Per quanto aspetti con piacere quel tè, da cristiano devoto quale è Pat sembra un po’ preoccupato di come affronterà il frequente uso della parola con la “f” da parte di Ozzy, o la fricativa, come gli piace chiamarla. Si può solo sperare che Pat riesca a ignorare quella parola e godersi il tempo insieme, perché Ozzy sa essere incredibilmente gentile e dirti tutto quello che vuoi sapere.
Il suo cibo preferito è la carne – qualsiasi carne tranne quella rossa – e non usa il filo interdentale. Odia gli aspirapolvere («Fanno il rumore più nauseabondo del mondo, come uno gnu morente trascinato su e giù per il corridoio») e i telefoni («Fottetevi, bastardi!»). Si tinge i capelli. A volte, quando porta a spasso uno dei suoi piccoli cani, nonostante i tatuaggi sulla pelle e le croci appese al collo, i gay nel parco gli dicono frasi affettuose. L’ultima volta che ha pianto è stato due giorni fa, in terapia. Prima pensava al suicidio «tutti i giorni… ma a dire il vero non ho il coraggio di farlo». Non riesce ancora a leggere molto bene. In tv guarda solo History Channel, Discovery Channel e A&E, con qualche replica di M*a*s*h. Ama fare i pisolini: «Adoro un bel sonnellino pomeridiano, è la cosa migliore al mondo. Che sia una fuga dalla realtà o altro, è fantastico, cazzo. Almeno ti svegli con la testa a posto e senza aver scopato la moglie di un altro».
Prima di salire sul palco si agita molto e questo lo porta a fare «cinquemila cagate». Non si ricorda cosa ha ricevuto per l’ultimo compleanno o per il Natale scorso. Parlando con Sharon al telefono, dice spesso: «Non ho niente da fare adesso, vieni a casa a farmi una coccola?». E lei risponde: «È quello che adoro sentire, tesoro. Ti amo e mi manchi. Torno a casa e ti do un bel bacio e un abbraccio. Mi manchi. Torno presto…».
Spesso pensa a tutti i compagni caduti. «La lista è infinita, il numero di ragazzi che si sono suicidati, sono morti per overdose, si sono sparati, sono affogati, sono caduti da qualche cazzo di parte, sono morti in incidenti, o non si sono mai più svegliati, sai, soffocati col proprio vomito, congelati, si sono dati fuoco da soli. Sam Kinison, Stevie Marriott degli Humble Pie. Per ogni Ozzy Osbourne ci sono dieci cadaveri. Bon Scott, John Bonham, il fottuto Cozy Powell, Randy Rhoads».
Pensa a Randy ogni giorno e sa che se lui fosse stato sveglio quella volta, sarebbe salito sull’aereo e sarebbe morto.
*
La mattina dopo Sharon torna da un incontro che ha fatto alla scuola di Jack. È un istituto per ragazzi dislessici. Oggi ha scoperto che quest’anno Jack ha saltato la scuola 27 volte. Dopo essere stato la sera a gironzolare per i locali sul Sunset Strip era troppo stanco per andare a scuola il giorno dopo. È nei guai. Pure Sharon è nei guai con Ozzy, perché senza dirglielo ha offerto i servizi del cantante alla scuola per un paio di concerti di beneficenza.
«La scuola ha un disperato bisogno di fondi».
«Possono anche fottersi», risponde Ozzy, scontroso. «E tutti gli altri cazzo di genitori? E tutti gli attori con figli lì?».
«Dobbiamo dare qualcosa in cambio, Ozzy. La vita è così».
«Che vuol dire “dobbiamo”? Sono io quello che deve fare i concerti». Fa una pausa, poi grida: «Non me ne frega un cazzo! Sono il Principe delle tenebre, non un cazzo di Neil Young!».
Sharon gli lancia un’occhiataccia.
«Oh, lo farò. Certo che lo farò. Lo sai che lo farò».
«Lo so», dice Sharon, dolcemente, con amore.
Dopo diciotto anni insieme, sono ancora una bella coppia. Ozzy fa il suo: scrive musica, suona, sta lontano da droghe e dall’alcol. Anche Sharon fa la sua parte, gestendo la carriera di Ozzy, gestendo Ozzy, prendendo decisioni di lavoro, contando i soldi, occupandosi dell’Ozzfest, prendendosi cura di Ozzy.
Gestisce anche, di tanto in tanto, altre band, più recentemente gli Smashing Pumpkins, una collaborazione finita pochi mesi fa. Quando ha detto a Billy Corgan che non le piaceva uno dei suoi video, lui ha cominciato a snobbarla e lei se n’è andata. «Non ho bisogno di giochetti nella mia vita», ha detto alla stampa, «non ho bisogno di ragazzetti stupidi che mi fanno le smorfie». Sharon è una donna feroce e formidabile. Nessuno la mette sotto ed è uno dei motivi per cui è riuscita a salvare Ozzy quando si sono messi insieme. «È stata la prima a dirmi che non ero il re e che il mondo non girava attorno a me», ricorda Ozzy. «Ci sono voluti qualche occhio nero, qualche cazzo di vaso in testa, ma alla fine ha preso in mano la situazione e mi ha insegnato».
«Adesso, il nostro matrimonio attraverserà una fase di calma e poi i drammi riprenderanno», dice Sharon.
«Sicuramente non era un momento di calma quando ho cercato di strozzarti» dice Ozzy.
Sharon ride e alza gli occhi al cielo. È successo nell’agosto 1989. Ozzy aveva bevuto una quantità mostruosa di vodka russa e aveva detto a Sharon che «abbiamo deciso che te ne devi andare». Le è poi saltato addosso mettendole le mani attorno al collo. Sharon è riuscita a liberarsi e a chiamare la polizia, che ha arrestato Ozzy per tentato omicidio e lo ha portato in galera. Il giorno dopo si è svegliato senza ricordare nulla. Sharon è riuscita a perdonarlo perché anche lei aveva perso la testa bevendo e sapeva cosa vuol dire. Anche se i consulenti gli avevano suggerito di lasciarlo, lei lo amava e non lo ha fatto.
«Abbiamo fatti un sacco di lotte fisiche», racconta lei. «Lui mi picchiava, io gliene davo di santa ragione. Ti ricordi la Francia, Ozzy?».
«Come potrei dimenticarla? Ho le cicatrici. Mi ha spaccato una cazzo di pentola in testa».
Ozzy prende uno dei piccoli cani e appoggia la faccia sul suo pelo. Ulula. «Abbaia alla luna», dice al cane, e ulula di nuovo.
«Non è adorabile?», dice Sharon.
*
Un pomeriggio nella stanza della tv Ozzy accende una sigaretta. «Una solo non può farmi del male, cazzo». Fa sette tiri e la spegne. Sta guardando uno show su babysitter violente beccate in video. Sembra quasi che riviva l’abuso che ha subito, si alza di scatto e urla: «No, nooo, no, no, noooo!».
Mezz’ora dopo, entra Sharon. «Vado a fumare, Sharon».
«No che non ci vai».
«Sì che ci vado».
Lei guarda il posacenere e si abbassa per annusare l’alito. «Hai già fumato, stronzo! Bastardo figlio di puttana».
«Ah ah!».
Ridono entrambi. Mentre Ozzy accende un’altra sigaretta e il fumo sale dalle dita tremanti verso il soffitto, Sharon gli lancia un’occhiata che sembra dire «sei proprio un ragazzaccio». Sembra un rito vecchio e familiare: la ricaduta, la rabbia, le risate, l’accettazione. Che stia fumando oggi o bevendo domani, un giorno si libererà di quei vizi. Devono pensarla proprio così, questi due: che un giorno, presto, Ozzy li sconfiggerà tutti quanti.
Dal numero di Rolling Stone del 31 luglio 2000.












