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Generic Animal è troppo bravo per la mediocrità della musica italiana

Ammettiamolo: non è un periodo in cui stanno uscendo grandi dischi. In questo contesto, Generic è merce rara e il suo ultimo EP 'Mondo rosso' è la conferma di quanto sia bravo a scrivere canzoni oneste e sgraziate

Foto: Christian Kondic. Styling: Anna Carraro

Vi sfido a nominare dieci dischi italiani che vi hanno fatto emozionare nel 2022. Anzi, facciamo anche solo cinque, nessun problema. Provateci. Non valgono gli album carini, parliamo di begli album che vi riascoltereste con gioia ancora oggi nel primo semestre del 2023. Impresa ardua, vero?

Nonostante l’industria musicale e le major stiano portando avanti una narrazione secondo cui la musica italiana pare non essere mai stata così in forma, non sono propriamente anni d’oro per l’arte della musica leggera. Certo, i numeri e le classifiche – inondati dal nandrolone del playlisting (voce-del-verbo-playlist) – potrebbero anche dare ragione a chi si sofferma sulla matematica e sui conti, ma anche l’amianto aveva dei numeri straordinari nel mondo dell’edilizia. E poi, puff. Coff coff.

Mentre viviamo questo insano sogno musicale all’eternit, nelle crepe di queste architetture stanno lentamente nascendo e fortificandosi nuove erbacce (che in inglese si dica weed penso sia sufficientemente serendipico). Tra quelle più resistenti, visto che da sei anni sta cercando di corrodere le colonne di questi palazzi, c’è sicuramente Generic Animal, uno dei pochi artisti in grado di dare segni di vita dal sottosuolo italiano, e più precisamente dal costo della vita milanese non propriamente adatto al mondo dell’underground (“Perché venerdì sera è stato più importante andare via piangendo / e il giorno successivo scriverti un messaggio dicendo che è un periodo forse un po’ frustrante / che va di pari passo col prezzo della vita”, da Venerdì).

Generic Animal nella musica italiana d’oggi è l’erbaccia, l’errore dell’algoritmo macchinico, l’appendice amorfa cresciuta sulla liscia superficie della società. È il weird, l’outsider. Il freak e il geek. L’alternativa in un’epoca in cui l’alternativo (vi ricordate quando tutti i generi erano preceduti dalla sigla “alt”?) non esiste perché non c’è più possibilità apparente di riposizionamento rispetto al mainstream onnisciente. Come non esiste alternativa al capitalismo, a quanto pare non esiste alternativa alla musica-da-playlist. O quasi, perché una risposta potrebbe comunque essere quella di pretendere musica meno omologata, meno prevedibile, meno da consumo in un’ottica di sopravvivenza della specie. E, senza scomodare il pubblico, questa pretesa potrebbe (dovrebbe?) arrivare se non in prima linea da major e label, almeno dagli artisti stessi, sempre più giullari del divertificio del mercato musicale. Generic Animal in fondo ne è la dimostrazione, incarnazione di una resistenza innata, martire del sistema per conformazione.

Luca Galizia (è lui l’omino dietro le mille sembianze dell’Animale) è l’anti-popstar, l’anti-rockstar, uno che con la sua chitarra elettrica suona canzoni dal piglio emo in cui la sfera del personale e dell’universale si incrociano nel buffo (“Sarà capitato anche di voi di avere problemi in famiglia / l’acqua che mi arriva alla caviglia / le bugie tra i genitori per comprarti una biglia”),r tra rime bisticciate (“E andare al prossimo concerto / pagato in conchiglie, sembran unghie masticate / quei soldi aggiustati da scotch”) e universi estetici immaginifici (“Ma non ti passa più / come una febbre / forse un gigante / scalda il continente”). Uno che dopo quattro dischi (tutti da indipendente con La Tempesta Dischi, l’etichetta dell’alternatività per eccellenza di questi ultimi dieci anni) apre il suo ultimo EP, Mondo rosso, cantando in loop “non ho mai scritto una vera canzone”.

Generic Animal – per i canoni dell’industria – non ce l’ha mai davvero fatta e forse per questa ragione ce l’ha fatta. Nel mondo impossibile dei numeri e delle playlist non è mai davvero esploso nonostante un paio di suoi pezzi siano riusciti a varcare il fatidico milione di stream grazie a featuring con Massimo Pericolo e Franco126 (in un disco, Presto, uscito a ridosso della pandemia nel 2020, se non quando?) e questo gli ha concesso la possibilità di far radici e coltivarsi un terzo paesaggio artistico dove non gli è richiesto di scrivere hit, né tantomeno di rimanere duro e puro come nelle nicchie fondamentaliste delle precedenti controculture. Così Generic Animal fa dischi «per pochi stronzi» come disse candidamente in una nostra chiacchiera attorno a Benevolent, il suo album del 2022.

Artwork: Christian Kondic

Nella sua rappresentazione del loser, del perdente in stile beckiano, e nelle sue linee informi (date un occhio ai suoi artwork, video e disegni per comprendere meglio) Generic Animal incarna il talento abbandonato dalla società, il reietto dell’altro pianeta, per citare l’opera fantascientifica di Ursula K. Le Guin. E se la motivazione è che il pubblico ha sempre ragione – immagino sia questa la risposta più gettonata quando un artista non esplode – e allora sì che ci meritiamo la musica da playlist, i talent, gli Amici di Maria. O come direbbe Nanni, ci meritiamo gli Alberto Sordi. Ma ad avercene oggi di Alberto Sordi. O di Generic Animal, nella musica italiana, luogo ameno in cui non si fanno più generi ma playlist: non rap ma RapCaviar, non indie ma Scuola Indie, non emo ma ragazzo triste (tutto minuscolo). Ma forse alla fine ha ragione Galizia quando ne La fine canta: “Questo è tutto quel che ho / una stupida canzone / mentre il mondo cade giù / io sto zitto a fissare un dettaglio inutilе / A cosa serve una canzone? / Forsе solo a respirare, forse siamo già alla fine”.

In un mercato musicale stagnante come quello italiano è paradossalmente più semplice spuntarla da mediocri che da bravi. I mediocri sono perfetti per fare numero nelle playlist, per non distrarre l’ascoltatore dall’ascolto randomico di artisti-simili-all’artista-preferito. Quelli bravi invece devono avere fortuna, la fortuna di azzeccare un brano bellissimo (ma nemmeno quello funziona sempre) o di incappare in una canzone fuori dalla loro portata: una canzone mediocre. Quelli bravi oggi devono avere molto più culo e Generic non pare essere il più fortunato sulla piazza. Ma forse – ancora grazie a questo (mi spiace Luca, magari tu vorresti fare i numeroni e vivere in maniera differente) – Generic Animal resta una delle poche cose belle e oneste da ascoltarsi oggi in Italia.

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