«Garrincha, la casa dei cantautori storti» | Rolling Stone Italia
Storie indie

«Garrincha, la casa dei cantautori storti»

Il 23 e 24 febbraio si terrà a Bologna una festa in onore di Matteo Romagnoli e della sua etichetta, con le band che ne hanno fatto la storia. I ricordi di Checco dello Stato Sociale. «Il punto era mostrare il nostro modo di stare al mondo e accogliere chiunque desiderasse stare al mondo come noi»

«Garrincha, la casa dei cantautori storti»

Lo Stato Sociale

Foto: Jessica De Maio

Cos’è stata Garrincha Dischi, l’etichetta che ha rivoluzionato l’indie italiano negli anni ’10? E chi era Matteo Romagnoli, il suo fondatore, scomparso lo scorso giugno dopo una lunga malattia? Ce lo siamo fatti raccontare da Francesco “Checco” Draicchio, uno dei membri de Lo Stato Sociale, la band che più di tutte ha rappresentato quel movimento (Romagnoli, in fondo, ne era il sesto membro più o meno nascosto), prima della grande festa del 23 e 24 febbraio al TPO di Bologna in onore proprio di  Romagnoli e che ospiterà le band dell’etichetta, da La Rappresentante di Lista ai Bachi da Pietra.

Il nostro primo palazzetto con Lo Stato Sociale fu una specie di festival: avevamo invitato a suonare con noi il maggior numero possibile di nostri amici musicisti. Molti di loro facevano parte o avevano fatto parte di Garrincha. Alla fine del concerto ci abbracciammo tutti quanti; è un momento che ricordo ancora con tanta emozione e gli occhi un po’ lucidi. Al centro c’era ovviamente Matteo. Ricordo ancora le uniche cose che riuscì a dire: «Che bella casa, quante emozioni». Punto.

Alla fine Garrincha era questa cosa: Matteo aveva raccolto attorno a sé i cantautori più storti di quella che noi ritenevamo essere la “musica locale” dei primi anni ’10 e insieme avevamo costruito una casa. Non c’era niente che ci legasse dal punto di vista estetico o artistico, non c’erano dettami o fili conduttori, non era un’etichetta di genere. Alcuni di noi non erano nemmeno musicisti veri e propri: fare musica era un modo di stare al mondo molto simile a quello che potrebbe essere uscire per andare al bar o andare al calcetto.

Matteo diceva sempre di voler pubblicare i dischi che nessuno avrebbe mai pubblicato: i numeri erano piccoli, tanto che a un certo punto ricordo dei festeggiamenti per aver raggiunto i 4000 iscritti su Facebook. L’idea era quella di costruire una piccola comunità dal basso, portando in giro la nostra festa nelle città italiane che ci accoglievano: ai tempi il cantautorato si muoveva da un lato attraverso pubblicazioni indipendenti su YouTube, dall’altro attraverso piccoli eventi. Era musica artigianale, fatta con le mani e proposta a un pubblico a sua volta raggiunto con le mani, una persona alla volta. Il nocciolo della nostra proposta, prima ancora che la musica in sé, era mostrare alle persone il nostro modo di stare al mondo e accogliere chiunque desiderasse stare al mondo come noi. Questa era la base intellettuale e per certi versi quasi politica che ci spingeva a fare le cose.

Il nostro primo incontro con Matteo, parlo a nome de Lo Stato Sociale, risale a un 25 aprile, credo del 2010, quando ci vide in un concerto e, ci disse allora, rimase colpito dal nostro modo di stare sul palco e di coinvolgere le persone. Insieme abbiamo vissuto tutte le varie fasi dell’etichetta, che è cresciuta e cambiata di pari passo con i percorsi delle persone che ne facevano parte. Per quanto riguarda noi, le cose hanno iniziato ad ingranare tra il 2012 e il 2013 con Turisti della democrazia, nello stesso periodo in cui anche alcuni degli altri artisti iniziavano a raccogliere i primi frutti. Penso a L’orso, a L’Officina della Camomilla, la stessa Rappresentante di Lista, gli Ex Otago con cui stringemmo amicizia in quegli anni. Quello che è successo dopo è stato il frutto del giro e della risonanza che eravamo riusciti a creare in quel modo artigianale.

Il nostro modo di proporci ci aveva permesso di costruire una base solida. Da un certo punto di vista può sembrare paraculo: facevamo amicizia con tutti e di conseguenza tutti ci sostenevano. Ma non erano rapporti interessati, non c’erano secondi fini: volevamo davvero conoscere tutte quelle persone, e credo che siano stati gli anni umanamente più gratificanti di tutta la mia vita. Poi le cose hanno iniziato a diventare sempre più serie, più “lavorative”. Da dopo L’Italia peggiore, disco del 2014 che andò molto bene, l’etichetta iniziò a prendere una dimensione più professionalizzata e solida: all’inizio eravamo davvero solo noi artisti e Matteo con altri collaboratori che lavoravano per passione, pro bono. Da un certo punto in poi è diventato necessario integrare altre figure. L’etichetta a quel punto era a tutti gli effetti una piccola azienda.

Con il nostro Sanremo e quello degli Ex Otago, con la scelta di alcuni artisti di seguire altre strade, alla fine degli anni ’10 l’etichetta era totalmente diversa rispetto all’inizio. E poi Matteo si è aggravato: da sempre era accompagnato da una malattia cronica. Noi tutti lo sapevamo, ma in alcuni momenti quasi ce ne si dimenticava, perché lui era pieno di energia e andava a mille all’ora, era pieno di idee e di voglia di fare. A un certo punto però fu costretto a rallentare per prendersi cura di sé stesso. Finché non è venuto a mancare.

Senza di lui l’etichetta non esiste e non può esistere. Quello che possiamo fare noi è cercare di portarla avanti a livello di spirito, che poi è quello che vogliamo fare con questi eventi: all’inizio eravamo titubanti perché non sapevamo se rientrasse nelle nostre corde, ma poi abbiamo pensato che è bello che qualcosa che abbiamo costruito dal basso abbia coinvolto così tante persone da sopravvivere, anche se in forma diversa, al suo stesso cuore pulsante, e quindi ci è sembrato giusto celebrare questa cosa. Quello che stiamo facendo con questa festa è ritrovarci con persone che non vediamo da tempo: qualunque essere umano sia mai passato tra le mura di Garrincha farà parte di questa festa. Siamo tutti invecchiati, alcuni sono arrugginiti, con persone come Renzo Picchi (Nel Dubbio, ndr) che non suonano da dieci anni, e vogliamo tornare a divertirci.

Garrincha si chiamava così perché era una dichiarazione di intenti: la cosa bella era sentirsi degli sfigati, ma farlo insieme. E nonostante l’etichetta vera e propria sia parte del passato, questo spirito accompagna ancora tutti noi.