Fenomenologia di Cristina D’Avena, la cantante che ti fa vivere per sempre a Fivelandia | Rolling Stone Italia
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Fenomenologia di Cristina D’Avena, la cantante che ti fa vivere per sempre a Fivelandia

La regina delle sigle dei cartoni animati festeggia 40 anni di carriera con un cofanetto per adulti poco cresciuti, ultimo atto del riposizionamento pop e ironico, conferma della furbizia rassicurante di un'artista a cui nonostante tutto non si può voler male

Fenomenologia di Cristina D’Avena, la cantante che ti fa vivere per sempre a Fivelandia

Cristina D'Avena

Foto press

Da anni, citare la Fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco garantisce più fastidio che prestigio. Ma in parte, quella spiegazione delle fortune del re dei presentatori è applicabile anche alle fortune di Cristina D’Avena: «In ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere, traspare mediocrità e immediatezza». Rassicurato dalla mediocrità del presentatore, il telespettatore primordiale abbandonava ogni diffidenza verso il pioniere dei quiz. Anche in Cristina D’Avena, personaggio il cui ruolo nella storia della tv nazionale non è lontanissimo da quello di Mike Bongiorno, non c’è mai stato nulla che sollecitasse o sfidasse in qualche modo il suo pubblico, bambino (per qualche anno) e poi adulto, ma abilmente agganciato per tutta la vita.

“Correndo con voi così io mi diverto, sì. E quando mi stancherò, con voi riposerò”. “Eros è mio grande amico, porta sempre il buonumore. È simpatico e ti dico che comanda lui l’amore, e lo fa con frecce d’oro con cui poi centra i cuori: ed i cuori di costoro troveranno grandi amori”. “La vita è una magia tra sogno e realtà. E con la fantasia, più bella diverrà”. Questo tipo di frasi, pensate da Alessandra Valeri Manera (che non era paroliera o poetessa, ma responsabile dei palinsesti per i bambini di Fininvest) evocano una citazione di Eco meno abusata, con la quale possiamo riscattare quella iniziale: ne La musica di consumo, per descrivere l’ascendente della teen star Rita Pavone sull’Italia del boom economico, il semiologo ipotizzava: «Il Mito Pavone fa in modo che i problemi dell’adolescenza si mantengano in forma generica». E a questo proposito viene in mente, tra le tante, una sigla del 1991 contenente l’implacabile banalizzazione di una figura chiave dell’immaginario infantile (e adolescenziale, e non solo): “Peter, Peter Pan, volando sempre arriverai. Peter, Peter Pan, chissà cos’altro poi farai. Peter, Peter Pan, ci piaci un sacco e tu lo sai”. È la deliberata piattezza della sterminata produzione di Valeri Manera per D’Avena: al confronto, la maggior parte delle canzoni dello Zecchino d’Oro sembrano scritte da Nick Cave.

Ma negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a un inarrestabile ripensamento mitologico della figura di Cristina D’Avena. Intanto, questo secolo ha visto il suo ingresso (quasi impensabile ai tempi di Love Me Licia, quand’era ragazza) nell’ampio immaginario erotico della nazione, e ne parleremo più sotto. Ma appena prima, negli anni ’90, era già partita la rivalutazione della sua figura e del suo repertorio in chiave leggendaria – ed è stato uno dei sintomi più emblematici dell’atteggiamento ironico dilagante, fondamentale per accettare il presente e qualunque suo aspetto mortificante con un argutissimo distacco. D’Avena ne ha saputo approfittare, giovandosi anche di una specie di sospensione della critica (anche musicale) nei suoi confronti. Ma forse è ora che l’indulgenza di cui ha goduto venga riconsiderata.

Non lo diciamo per ostilità preconcetta: abbiamo un’idea abbastanza precisa e realistica di quale sia il suo ruolo e la sua bravura, e sospettiamo che tale idea sia molto simile a quella che la signora D’Avena ha di se stessa. Nella conferenza stampa di presentazione della raccolta 40 – Il sogno continua, ha ammesso che avrebbe problemi di credibilità nel riciclarsi come interprete di un repertorio diverso dalle sigle dei cartoni animati – e questo pochi minuti dopo che Niccolò Agliardi, che ha scritto per lei una nuova canzone un po’ più ambiziosa, L’altro Natale, ha specificato (più serio che faceto) di averla pregata di contenere «i suoi singhiozzini».

Il box 40, che anche nella versione deluxe (cinque CD) ha un prezzo veramente contenuto, ripropone alcune sigle di successo in duetto con ospiti più o meno illustri, ma soprattutto celebra i quattro decenni di carriera televisiva della star di Mediaset. Tuttavia, come è abbastanza noto, il suo percorso di cantante – nonché percorso umano – era iniziato molto prima. Perché Cristina D’Avena è un prodotto del ’68. Con Il valzer del moscerino, che quell’anno arrivò terza allo Zecchino d’Oro (sfortuna volle che a presentarsi nella stessa edizione furono Quarantaquattro gatti e Torero Camomillo). È ovviamente anche un prodotto degli anni ’80: la sua prima sigla di cartone animato fu Bambino Pinocchio, nel 1981. Ed è, in particolare, un prodotto dell’incontro tra l’Antoniano dei Frati Minori di Bologna e la Mediaset di Silvio Berlusconi di Milano.

Anzi, Mediaset non era ancora nata: fu come Fininvest che prese a diffondere le sue canzoni ad alzo zero in tv (in un’era in cui i canali erano di fatto sei), sui 45 giri, e soprattutto nelle audiocassette della Five Record. Il titolo di quelle cassette, ora lo sappiamo, era una promessa per i bambini di allora: da grandi sarebbero vissuti in Fivelandia, una nazione canalecinquizzata nella quale siamo tutti Amici e amiamo il Grande Fratello – e in cui la notizia, Striscia. Una nazione in cui rivalutiamo veramente chiunque, perché pure uno psicopatico golpista, un secolo fa, ha fatto anche cose buone.

In questa nazione la signora D’Avena ha sempre raccontato il suo percorso senza troppe scemenze, con un senso della misura che si trova di rado tra celebrity della sua notorietà. Essendo però una professionista avveduta, ha colto prima di molti altri l’opportunità del riposizionamento pop, diventando ironica coi Gem Boys (anni prima che il marketing forzasse la componente ironica anche nei personaggi più bigi) o prestandosi senza paura al proprio status di icona gay (peraltro anni fa giravano voci che la volevano spietata mantide etero, cosa che la renderebbe ulteriormente interessante). Ma è difficile ricordare sue cadute di stile o qualsiasi tipo di uscita spiacevole (non prenderemo posizione sul controverso caso delle fettine panate). È anche grazie a questo che – come è stato detto durante la presentazione del nuovo disco – la sua voce, in qualcuna delle centinaia di sigle da lei cantate, è presente sulla tv italiana ininterrottamente dai primi anni ’80 almeno una volta al giorno, 365 giorni l’anno.

Questo, peraltro, ha portato più soldi agli autori dei suoi pezzi che non a lei, costretta di conseguenza a esibirsi dal vivo con ammirevole stakanovismo. Cantando, sorridendo, posando per i selfie e sprizzando entusiasmo in spettacoli ai quali gli adulti assistono del tutto trasognati, mentre i bambini che si sono portati dietro abbozzano per farli contenti. D’altronde, né MashaPeppa Pig, né nient’altro di bambinosamente rilevante è stato da lei siglato in anni recenti – sempre che ai bambini le sigle interessino ancora, lunghe come sono. È probabile che la sua canzone più familiare agli under 10 sia proprio il Valzer del moscerino, visto che lo Zecchino d’Oro (specie col suo canale YouTube) ha ancora una presa solidissima sulla nazione. E non è un caso che la signora D’Avena sia andata al primo posto nella classifica degli album per la prima volta nel 2017, quando i suoi piccoli fan erano finalmente diventati adulti. E che questo sia accaduto grazie a un album di duetti.

Duets, disco di platino, era un album con dei featuring oggettivamente azzeccati: Loredana Berté, Elio, Annalisa, Emma Marrone, J-Ax, Ermal Meta, Giusy Ferreri e altri nomi di forte appeal per il suo target. Unica concessione ai teenager, Benji & Fede, argutamente ingaggiati per Che campioni Holly & Benji. Visti i consensi, un anno dopo arrivò Duets Forever, con nomi altrettanto ineccepibili: Carmen Consoli, Elodie, Patty Pravo, Max Pezzali, Carmen Consoli, Lo Stato Sociale. Eppure, dal platino si scese al disco d’oro.

Dopo una saggia pausa di raffreddamento, si è arrivati al nuovo 40 che sì, offre duetti nuovi, ma punta più sul passato che sul presente, con le (tante) versioni originali delle (tante) sigle più amate. Poi, lo sappiamo tutti, i nuovi featuring servono: per la comunicazione del prodotto e la sua collocazione su scaffali ben precisi. Purtroppo, nei dintorni non ci sono più così tante star disposte a giocare con le vecchie sigle dei cartoni: i rapper hanno costruito la propria carriera di supereroi millantando lo strapotere della propria pistolina e del proprio pistolino, e il loro pubblico di teenager si è bevuto tutto proprio come pochi anni prima si beveva le avventure di Doraemon o Ben 10. E sono cambiate tanto anche le popstar. Blanco o Sangiovanni, Madame o Irama rischiano di perdere la loro quasimagia nell’avvicinarsi a Cristina D’Avena. E non tanto perché temono di essere accostati a un pubblico infantile quanto perché oggi Cristina D’Avena è la musica dei genitori almeno quanto Ligabue e Max Pezzali. I suoi fan infatti sono quasi tutti in età ampiamente adulta. Sì, ovviamente molti infanti conoscono le sue canzoni – ma le conoscono come i figli dei metallari scattano in piedi appena parte Enter Sandman: per la somministrazione forzata di mamma e papà.

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La necessità di sedurre gli adulti più dei bambini è un aspetto che non sfugge alla signora D’Avena che da anni, senza mai sbracare, gioca con astuta malizia con la parte del suo pubblico più incline alle fantasie che alla fantasia: dopo tutto, “Eros è suo grande amico… e porta sempre il buonumore”. «Sono una donna, essere guardata mi piace», ha affermato amabilmente a proposito delle sue considerevoli scollature, proposte con regolarità sulla sua pagina Facebook. Del suo pubblico gay poi tiene conto nel cercare i featuring che più lo possano divertire: nei nuovi duetti c’è una certa quantità di queen definitive, come le definirebbero i social: Orietta Berti, Elettra Lamborghini, Lorella Cuccarini, Myss Keta, Cristiano Malgioglio. Dal punto di vista musicale, invece, la scelta è stata quella di un compromesso tra una dance pompata che potesse portare qualche passaggio ironico nelle discoteche degli adulti, e la ritmica un po’ isterica della baby dance nei villaggi turistici, che è molto unz unz perché i bambini non hanno ancora iniziato a drogarsi – ma tra 4-5 anni canapa e altre sostanze saranno fondamentali per l’apprezzamento della coolissima mosceria dei fighissimi producer italiani.

D’altronde, se c’è una lezione musicale che Cristina D’Avena ci ha dato in questi quarant’anni di sigle, affidate a un numero sorprendentemente ristretto di compositori (Giordano Bruno Martelli, Ninni Carucci, Max Longhi e Giorgio Vanni), è che la prevedibilità ha qualcosa di rassicurante, mentre la ricerca di soluzioni melodiche e ritmiche che sorprendano l’ascoltatore genera diffidenza (ricordate? Mike Bongiorno, Umberto Eco, eccetera). Evidentemente molti trovano sincera felicità in una musica ripetitiva e banale (se vi sembra una definizione snob, sostituite con “molto semplificata e con pochi, vincenti elementi costanti”). Cristina D’Avena, con i suoi occhi di gatto, lo fa con astuzia e perizia, e unendo sempre un poco di furbizia. Ma nonostante tutto questo, il suo incantesimo ha funzionato: malgrado il suo modo di cantare sempre uguale, in 40 anni di canzoncine contenenti poca di quella fantasia cui inneggiavano, è veramente difficile volerle male. Anche pensando al fatto che è una delle poche a non essersi mai candidata per una poltrona – e certamente in questi 40 anni abbiamo mandato al Governo persone peggiori di lei.

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