Fedez, mettiamo ordine nel caso del presunto gonfiamento degli ascolti su Spotify | Rolling Stone Italia
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Fedez, mettiamo ordine sul presunto gonfiamento degli ascolti su Spotify

Sembra che il disco 'Paranoia Airlines' sia stato ascoltato "inconsapevolmente" da un sacco di utenti. Dietro potrebbe esserci un'operazione di marketing invadente, oppure...

Fedez, mettiamo ordine sul presunto gonfiamento degli ascolti su Spotify

Fedez

Cosa succede nel volatile e controverso mondo dello streaming? Diverse persone hanno denunciato l’invasione di alcuni brani di Fedez nelle loro playlist di Spotify. O, addirittura, l’ingresso del suo nuovo album “Paranoia Airlines” tra le preferenze di chi per il rapper non avrebbe preferenza alcuna. Si narra di ascolti partiti a notte inoltrata, di loop maniacali a insaputa di chi li avrebbe avviati e altri fenomeni paranormali di questo genere.

Tutto ha avuto inizio qualche ora fa, quando il profilo di @poptopoi s’è accorto e ha rilanciato la questione serpeggiante fra gli utenti inviperiti di Twitter: “Leggo di gente che si è ritrovata ascolti di Fedez nella cronologia Spotify anche senza averlo ascoltato (una delle prove è last fm). Possibile? Vi risulta?”, indaga il blogger.

E, manco a dirlo, risulta eccome.

In risposta, sono piovute decine e decine di testimonianze molto simili fra di loro. L’anomalia più ricorrente, a quanto pare, riguarderebbe TVTB, brano che il marito di Chiara Ferragni ha registrato con la prepotente collaborazione della Dark Polo Gang il quale, per molti ascoltatori, sarebbe spuntato nelle playlist copioso come un fungo in autunno, pur senza essere mai stato selezionato.

Da qui, sospetti, accuse, interrogativi e polemiche si sono rincorsi veloci fino a giungere all’orecchio del cantante milanese il quale – pronto – ha ribattuto sulle stories: “Qualcuno ha addirittura insinuato che io mi sia comprato gli streaming su Spotify. E non mi stupirei se la cosa fosse partita da qualche discografico/manager della ‘concorrenza’ (che tristezza)”. Non è, chiaramente, dato sapere a chi si riferisse il Fedez sdegnato ma, poco dopo, sempre il profilo di @poptopoi faceva notare che molte delle segnalazioni giunte erano riconducibili a numerosi fan di Marco Mengoni, anch’esso – però – appartenente alla Sony. Mistero. Ma anche basta col complottismo sempre e comunque.

Nel frattempo, le altre case discografiche hanno chiesto chiarimenti alla FIMI (la Federazione che riunisce le multinazionali del disco) e all’anti pirateria.

Dal canto suo, l’ufficio stampa di Fedez ha fatto sapere che sì, “Abbiamo in essere un’impattante campagna di advertising su Spotify, eventuali anomalie vengono verificate e nel caso rilevate da loro”. Cosa di suo paradossale, visto che la piattaforma di streaming è stata anche coinvolta nel lancio del disco come sponsor.

E dunque, riassumendo: c’è una campagna di marketing “impattante” che infilerebbe Fedez nella coda ascolti con una certa insistenza. Cosa che potrebbe risultare fastidiosa per il consumatore, ma non irregolare. E poi, però, c’è anche gente che dice di essersi trovata ascolti fantasma a orari improbabili.

Ambiguità dello streaming che a noi comuni mortali non è dato comprendere.

Infatti, come spiegato da un esperto in materia al sito Noisey: “Esistono servizi legali che gonfiano i numeri di streaming: nel caso di Spotify basterebbe acquistare degli account premium family e usarli ascoltando la stessa canzone a ripetizione. Una canzone di 4 minuti, per esempio, può essere ascoltata per 15 volte in un’ora. Un account family può essere usato su 5 dispositivi, portando il conto a 75. Moltiplichiamo il tutto per 24 ore e abbiamo 1800 ascolti al giorno con una spesa di 15 euro al mese, più costi di gestione di eventuali persone o bot che eseguano gli ascolti”. Et voilà, le jeux sont fait.

Spotify come Tidal, quindi? La questione pare, in effetti, simile. È di pochi mesi fa la buriana che, in seguito ad alcune rivelazioni del sito norvegese Dagens Næringsliv, travolse il buon nome del potentissimo Jay Z e della sua piattaforma di streaming. L’accusa? Sempre la medesima: quella di gonfiare i dati rispetto al numero di riproduzioni di certi brani. Quali? In particolare, caso vuole, Lemonade di Beyoncé (moglie di Jay-Z), e The Life of Pablo di Kanye West (caro amico di Jay Z, almeno fino a qualche tempo fa). La questione non è solo nostrana, dunque, e anzi quella a stelle e strisce risulterebbe aggravata dall’accusa di aver calcolato le royalties (cioè i proventi derivanti dal diritto d’autore) sugli ascolti dopati.

E Spotify che dice? Non dice. Per ora, tace.

C’è chi parla di malafede(z). Chi, invece, attribuisce colpe alla piattaforma svedese, sponsor – tra le altre cose – dell’aereo Paranoia Airlines decollato da Milano Linate con artista e fan al seguito, subito dopo la presentazione del disco alla stampa. Inciso curioso: tutte le scritte che impataccavano l’aeromobile ostentato urbi et orbi, in pieno stile fedeziano, sono state tolte dentro un hangar prima del viaggio. Rimozione coatta per legge, giacché il pericolo era che gli adesivi potessero staccarsi in quota e magari infilarsi in una turbina.

Insomma, dall’attacco hacker al “sabotaggio” delle classifiche, sono tante le ipotesi fatte dagli utenti. Quale sarà quella giusta?

A Fimi e a Spotify (pur se con qualche conflittuccio d’interessi, visto che, come detto, è stato sponsor del lancio del disco) l’ardua, e attesa, sentenza.

Nel frattempo, Spotify ha diffuso un comunicato ufficiale che la prende larga senza entrare nel merito del caso Fedez: “Consideriamo molto seriamente le problematiche legate alla manipolazione artificiale del numero di streaming sulla nostra piattaforma. Abbiamo in essere diverse misure di controllo che monitorano il consumo di musica sul servizio, per individuare, esaminare e far fronte a tali attività. Continuiamo ad investire molto per perfezionare i nostri processi, migliorare i metodi di rilevamento e rimozione e ridurre l’impatto che eventuali attività illecite hanno sui legittimi creatori di contenuti, sui titolari dei diritti e sui nostri utenti.”

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