All’Eurovision Song Contest 2025 Israele è arrivato primo nel televoto spingendo al secondo posto della classifica generale Yuval Raphael, la cantante diventata tale dopo essere sopravvissuta all’attacco del 7 ottobre 2023 di Hamas al Nova Festival. L’anno scorso Hurricane dell’israeliana Eden Golan è arrivata seconda nella classifica del voto popolare, permettendole di piazzarsi in quinta posizione nella classifica finale. È uno schema o quasi: l’indignazione, le polemiche, le richieste di boicottaggio non hanno fermato Israele nemmeno in piena guerra su Gaza e anzi le sue rappresentanti sono state premiate dal pubblico.
Com’è possibile che le cantanti di Israele siano benvolute dalle altre nazioni (com’è noto non si può votare per il cantante del proprio Paese)? È probabilmente per un mix di fattori: la campagna di Israele che durante l’edizione 2025 ha usato gli account social ufficiali quasi solo per promuovere Raphael (abbiamo scritto qui dell’Operazione Eurovision); investimenti in pubblicità; la determinazione degli ebrei e delle loro comunità nel mondo nel votare Israele; la concentrazione del voto di una vasta comunità sparsa nel mondo su una sola cantante mentre gli altri lo distribuivano fra tanti concorrenti; la politicizzazione della manifestazione che avvantaggia i più organizzati e motivati.
In ogni caso, gli organizzatori dell’Eurovision hanno deciso che non dovrà più accadere e hanno quindi diffuso un nuovo regolamento che sembra mirato a indebolire Israele. Non viene detto in modo esplicito, è ovvio, ma i cambiamenti rispondono punto per punto alle critche che a maggio 2025 solo state avanzate a proposito del successo di Raphael. Martin Green, direttore dell’ESC, presenta i cambiamenti come la risposta alle «questioni sollevate dai broadcaster che partecipano alla gara e dagli spettatori dopo il Contest 2025». A maggio le radiotelevisioni pubbliche di Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Islanda e Finlandia, che fanno parte dell’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU) che organizza la manifestazione, avevano sollevato la questione del televoto. Gli spagnoli di RTVE e gli irlandesi di RTE avevano sollecitato una verifica della correttezza del voto. Una parlamentare belga, Katia Segers, aveva puntato il dito contro la possibilità per i telespettatori di esprimere fino a 20 voti, cosa che aumenterebbe le chance di manipolazione o comunque darebbe troppo potere in mano ai votanti più determinati, come nel caso di Israele. Sotto accusa anche la possibilità (lecita) di fare pubblicità a pagamento per il proprio cantante.
Green aveva promesso un’ampia discussione e ora ha scritto una lettera aperta per illustrare i cambiamenti che verranno adottati nel 2026 per garantire che Eurovision «rimanga uno spazio neutrale dedicato alla celebrazione della musica e del suo potere di unirci». Le nuove regole mirando ad arginare quelle che Green chiama «campagne sproporzionate e guidate da fattori esterni». Nell’edizione 2026, che si terrà il 12, 14 e 16 maggio a Vienna, «nessun broadcaster o artista potrà essere coinvolto direttamente o sostenere campagne di terze parti – tra cui governi o loro agenzie – capaci di distorcere il voto. Vogliamo anche chiarire senza ambiguità che tentativi provati di influenzare indebitamente i risultati non saranno tollerati e verranno denunciati».
Per evitare che il voto popolare premi di nuovop Israele in maniera sproporzionata rispetto alle giurie nazionali, Eurovision ha deciso di ridurre da 20 a 10 il numero massimo di voti che ogni persona può esprimere. Green sostiene che «il numero di voti precedentemente consentito non ha influito indebitamente sui risultati dei Contest passati», ma la misura è stata presa comunque per acquietare broadcaster e spettatori che si sono lamentati. «La riduzione» dice il direttore di ESC «è pensata per incoraggiare una partecipazione più equilibrata». Gli spettatori saranno invitati a usare i 10 voti disponibili per sostenere, «nello spirito della competizione», più canzoni e artisti in gara.
Un altro modo per rendere meno influente il voto popolare è il ripristino delle giurie professionali nelle semifinali, eliminate nelle ultime edizioni, con un peso del 50% ciascuno tra giuria e voto del pubblico. «Vogliamo assicurarci che le canzoni con valore artistico, solide basi musicali e ambizione creativa abbiano una possibilità equa di arrivare alla Grand Final insieme a quelle che godono di un ampio sostegno popolare. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo ampliato la gamma di professioni da cui possono essere scelti i giurati» e che includeranno giornalisti musicali, addetti ai lavori, figure esperte dell’industria. Ogni giuria avrà sette membri al posto degli attuali cinque, con due giurati di età compresa fra i 18 e i 25 anni. Non solo: i giurati dovranno firmare «una dichiarazione formale confermando il loro impegno a votare in modo indipendente, imparziale e a non esprimere pubblicamente le proprie opinioni prima della conclusione della competizione».
Nel 2025 sono state avanzate sui social accuse mai provate a Israele di avere manipolato il voto in modo fraudolento. Gli organizzatori hanno spiegato che non c’è stato alcun imbroglio. In risposta all’indignazione che non si è però placata, Green assicura ora che i sistemi di sicurezza che monitorano e prevengono schemi fraudolenti saranno rafforzati, così come «faremo rispettare le nostre regole in modo più coerente per impedire che il Contest venga usato come piattaforma o strumento politico di qualsiasi tipo. L’Eurovision Song Contest appartiene a tutti noi, e deve rimanere un luogo in cui la musica è al centro».
Al di là delle norme anti-Israele, la preoccupazione degli organizzatori è la salvaguardia della credibilità dell’evento, che negli ultimi anni è stato al centro di polemiche, non ultima quella sull’esposizione di simboli politici e di scritte in sostegno della causa palestinese. Non basta però un regolamento per tenere fuori la politica da Eurovision, che è tradizionalmente luogo di scontro geopolitico e teatro di conflitti. Il picco forse lo si è raggiunto nel 2024 in un frullato surreale di accuse, teorie assurde, grida di censura e vergogna. Per Green il Contest deve avere coscienza «del mondo a volte difficile in cui viviamo, ma anche resistere ai tentativi di trasformare il sua palcoscenico in un luogo di divisione geopolitica. Non sono i governi a partecipare all’Eurovision Song Contest, sono gli artisti. Artisti sostenuti da broadcaster del servizio pubblico che non sono responsabili delle decisioni e delle azioni dei loro governi», una frase che sembra una difesa della presenza di Israele all’ESC 2026 che deve essere ancora ufficialmente confermata.
La domanda ora è: le nuove regole faranno cambiare idea agli Stati e i broadcaster che hanno annunciato di non voler partecipare all’edizione 2026 qualora ci fosse anche Israele?














