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Elogio del compact disc

Non ha l’aura del vinile, non è accessibile come lo streaming. Ma è pratico, durevole, perfetto per concentrarsi sulla musica, un argine alla volatilità del digitale. E le vendite sono in crescita

Elogio del compact disc

Foto: Brett Jordan/Unsplash

Per la prima volta da 17 anni a questa parte, nel 2021 si è registrato un aumento del numero di compact disc venduti. Parte del merito è di Adele, che ha smerciato 898 mila copie di 30 su CD. L’ultima volta che si sono acquistati tanti dischetti in classifica c’erano Usher, Ashlee Simpson e gli Hoobastank. Ora a spingere le vendite sono Adele, i BTS e Taylor Swift. L’incremento s’iscrive nel più ampio fenomeno del revival dei supporti fisici, basti pensare al vinile che guadagna quote di mercato a un ritmo ancora maggiore del CD. Ma quelli come me che amano i cari vecchi dischetti d’argento non possono non chiedersi: stiamo assistendo a un revival del CD? E perché gli ascoltatori si stanno rinnamorando del supporto che quando fu lanciato prometteva un suono perfetto per tutta la vita?

I compact disc non avevano nulla di romantico, ma erano pratici. Funzionavano. Non avevano il glamour del vinile, erano oggetti meno fighi, meno tattili, meno sexy, meno magici. Non avevano l’aura che piace a noi fan. Non ti affezionavi ai CD che possedevi nello spesso modo in cui feticizzavi i fruscii dei vecchi vinili, quei crepitii che sembravano raccontare la storia della tua vita. La tue copie di Spice World o Life After Death suonavano come tutte le altre.

Ma il CD funzionava. E continua a farlo. Lo inserisci nel lettore, schiacci play, parte la musica. È efficiente e perciò è diventato il supporto più popolare di sempre. Non devi girarlo ogni 20 minuti come il vinile. È un mondo di musica dentro cui perdersi.

È da quando sono apparsi negli anni ’80 che i compact disc vengono criticati. Sono privi d’anima! Sono freddi! Eppure ai fan quei dischi in grado di contenere 70 e passa minuti di musica piacevano. Davano meno noie dei vinile, un bel vantaggio per chi non voleva armeggiare con puntine e bracci del piatto. Davano modo di programmare l’ascolto skippando i pezzi deboli (non uccidetemi, ma Astral Weeks suona meglio senza The Way Young Lovers Do). Potevi spararti i pezzi rap migliori senza gli skit. E Revolver dei Beatles? Grazie per averlo chiesto. Programmatelo così e ditemi se non è un’altra cosa: traccia 9, 13, 7, 4, 14, 5, 3, 12, 10, 1, 8, 2, 11, 6, poi di nuovo la 9 e la 14.

Amando il CD non mi sono mai sbarazzato della mia collezione, nemmeno quando il supporto è caduto in disgrazia negli anni ’00. Amo tutti i supporti, dalle cassette ai vinili agli streaming, ma il CD ha qualcosa di unico, soprattutto se ti vuoi immergere nella musica e farlo a lungo e in modo profondo. È perfetto per chi vuole ascoltare un disco prendendosi del tempo. È stato il CD a trasformare in classici album come Pet Sounds, Another Green World, Heart of the Congos e Astral Weeks, che in precedenza erano dischi di culto. È stato il CD a fare di Lee “Scratch” Perry un eroe del mainstream. LP già celebri come Kind of Blue sono diventati veri fenomeni. Classici come Voodoo di D’Angelo, Kid A dei Radiohead e Supa Dupa Fly di Missy Elliott non sarebbero diventati tali nell’era dello streaming.

Ho passato gran parte dell’estate del 2021 ascoltando i CD di mio madre sul suo vecchio Discman, un modo tangibile per ricordarlo. Sentire la sua copia di Red Headed Stranger di Willie Nelson dal suo piccolo lettore Sony D-F200 è diventato un rito. Ho gli scaffali pieni di box set, bootleg, mix fatti da vecchi e nuovi amici, album di band emergenti comprati al banchetto del merchandise ai concerti. Funzionano tutti come lo facevano nel 1986, nel 1994 o nel 2007. Non c’è bisogno di aggiornare il software, basta schiacciare un pulsante.

Eppure le vendite dei CD sono crollate nel mondo post Napster. Gli MP3 suonavano male al confronto del CD, ma erano comodi e (spesso) gratis. Poi però è successo che i download sono andati perduti nei processi d’immigrazione dei dati. È il periodo che Dave Holmes ha mirabilmente chiamato su Esquire gli anni cancellati: «Tutto quel che avete comprato dal 2003 al 2009 è contenuto in un vecchio iPod per il quale non esiste più il caricatore o su un MacBook di tre generazioni fa. Che abbiate comprato il primo album dei Kaiser Chiefs o pagato 99 centesimi per I Predict a Riot, quella musica non l’avete più».

Se la gente sta riscoprendo i supporti fisici è anche per il carattere effimero dello streaming e della sua cultura: la musica che “possedete” è in realtà nelle mani delle multinazionali e dei loro capricci. Un paio d’anni fa MySpace ha cancellato accidentalmente tutta la musica che era stata caricata sul sito. Le vostre foto faranno probabilmente la stessa fine.

I formati fisici permettono inoltre di remunerare gli artisti. Rispetto ad altri formati fisici, produrli è più facile e veloce, una cosa non da poco vista la recente carenza di vinili. Non ci sono fabbriche a sufficienza per soddisfare tutte le richieste di stampa degli LP (e scusate se non uso la parola “vinile”: proprio non ci riesco). Sono stati gli artisti indipendenti a dare il via al revival dell’analogico, ma sono finiti stritolati nel collo di bottiglia della produzione e ora devono aspettare anche un anno o più per pubblicare i loro dischi, messi in coda dopo gli artisti delle major che vendono di più.

Negli anni 2000 il New Musical Express sottoponeva ogni settimana un questionario alla band del momento: vinile, CD o MP3? Nessuno sceglieva i CD, il rapporto col vinile era di 1 a 9. L’unico a scegliere il CD era stato il tizio degli Art Brut, che comunque ammetteva che «è un po’ come scegliere George Lazenby quando ti chiedono chi è il tuo James Bond preferito».

È un fatto però che le vendite di musica abbiano raggiunto il picco storico nell’era del CD. Nessun supporto è riuscito a separare in modo più efficiente gli appassionati di musica dai loro soldi. La gente li comprava in quantità che oggi sembrano assurde. Abbiamo passato tutti quanti gli anni ’90 andando in un negozio di dischi (nessuno ha mai detto “negozio di CD” anche se i vinili a un certo punto erano spariti), cercando fra gli scaffali, comprando qualche pezzo strano. Implicava un investimento di tempo ed energia, non un consumo veloce come con lo streaming. I dischetti ti impedivano di abbandonardi ai tuoi “mah” e ti mettevano nelle condizioni di ascoltare musica nuova, per quanto strana fosse. È così che la gente ha scoperto la psichedelica tedesca, il prog giapponese, il soukous dell’Africa occidentale, il dub di Kingston.

E non fatemi parlare dei cofanetti di CD, il formato migliore per esplorare la storia di un artista o di un genere. The Birth of Soul di Ray Charles? Il Nuggets del 1998? La Anthology of American Folk Music? Il box set di doo-wop della Rhino del 1994? I bootleg di Dylan con tutti i concerti del 1966 che ho desiderato per una vita e su cui ho finalmente messo le mani dopo averlo visto per anni dietro la cassa di Bleecker Street Records?

Anche allora la gente diceva quant’era figo il vinile, anche se poi di nascosto ascoltava i CD. I Pearl Jam pubblicarono Spin the Black Circle nel 1994, quand’erano stati i CD a farne il gruppo numero uno al mondo. “Sento ancora il vinile, non uso il CD”, dicevano i Beastie Boys nel loro classico Ill Communication, un disco che quasi nessuno ascoltava in vinile.

L’era del CD ha raggiunto il picco del 2000, quando gli ‘NSync riuscirono a battere ogni record di vendita smerciando 2.400.000 copie di No Strings Attached in una sola settimana. S’è poi capito che era un bacio d’addio. Poche settimane dopo, Justin Timberlake recitava in un film la parte di Sean Parker, il co-fondatore di Napster, e diceva con un ghigno la battuta: «Vuoi comprarti un Tower Records, Eduardo?».

Napster è l’iceberg contro cui si è scontrato il Titanic del CD. Si noti però che i due tizi che hanno inventato Napster, ovvero Parker e Shawn Fanning, erano gran consumatori di CD, per lo più di musica trance e trip-hop. Nel 2000 ho passato del tempo con loro per un articolo di Rolling Stone e nel loro appartamento i CD erano impilati dal pavimento al soffitto. Mica ascoltavano musica su MP3, consideravano Napster un modo per scoprire nuovi album da comprare. Non capivano, e nessun altro capiva, che la gente si sarebbe limitata a sentire gli MP3. ZShare, Megaupload, Gnutella, dove siete adesso?

Ok, anche il CD aveva un sacco di difetti. Le custodie di plastica erano terribili, a volte togliere la plastica era un incubo. C’era la versione longbox, una confezione in cartone di curca 15 x 30 cm di nessuna utilità, se non rendere più difficile i furti nei negozi. Poiché la gente se ne lamentava, Sal Licata, presidente della EMI, pubblicò su Billboard un incredibile editoriale titolato “Perché dovremmo tenere i longbox”. Erano una tale barzelletta che gli Spinal Tap pubblicarono il loro album del 1992 in un formato extralungo alto ben 45 cm che chiamavano «un prodotto ecologico che utilizza i nostri preziosi materiali riciclati in quantità maggiore rispetto a qualunque altro CD». Come cambiano le cose: ora se compri un LP online ti arriva a casa in una scatola che somiglia a sei longbox messi assieme.

Magari vi state chiedendo: come possono 70 minuti in un solo posto competere con tutto lo streaming del mondo? La risposta è che lo streaming non è un “posto”, ma una lunga serie di opzioni che hai sotto il naso e non va bene quando sei in cerca di qualcosa da ascoltare con un certo grado di concentrazione. E probabilmente, ascoltate musica in streaming da un device che vi inonda di messaggi a cui sentite il bisogno di rispondere subito. Un po’ come i libri fisici, anche i dischi fisici hanno il potere di trasportarvi dentro la storia in modo più profondo.

Ok, i CD non saranno mai sexy come gli album in vinile. Lo so. Hanno anche un brutto nome, non come il gergo che viene usato quando si parla degli LP. E un bel 12 pollici è perfetto da mettere in vetrina. C’è una sola cosa che i CD fanno bene: musica. È il motivo per il quale sono ancora in circolazione, l’Hyman Roth dei supporti audio. Ecco perché hanno un posto speciale nel nostro cuore, un posto lungo 70 minuti che nessun altro formato potrà mai riempire.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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