E se fosse la musica a salvarci? | Rolling Stone Italia
Suoni e sfida climatica

E se fosse la musica a salvarci?

È questa la domanda che si pone un nuovo saggio pubblicato da Mimesis. Ecco un estratto che parla di Radiohead, di Billie Eilish, dei 1975 e del ruolo della musica nell’attivismo ecologico

E se fosse la musica a salvarci?

I Radiohead

Foto: Gie Knaeps/Getty Images

E se fosse la musica a salvarci? È questa la domanda che si pone Dario Giardi nel suo nuovo saggio appena pubblicato da Mimesis per la sua collona eterotopie. E se fosse la musica a salvarci? La memoria dei suoni e la sfida climatica – questo il titolo completo – è un’indagine sul rapporto tra musica e cambiamento climatico, sul suono come chiave per riscoprire il nostro legame con la natura. Tra paesaggi sonori e “memoryscape”, ovvero la memoria dei suoni, Giardi ci invita a riflettere su questo dialogo, e a vedere la musica come ponte verso un futuro più consapevole e sostenibile.

Del saggio vi proponiamo un estratto, “Il potere emotivo della musica nell’attivismo ecologico”, in cui si parla di Kid A dei Radiohead ma anche di Billie Eilish e 1975.

C’è qualcosa di ineffabile nella musica: un linguaggio che sfugge alla logica e parla direttamente all’inconscio, toccando corde emotive che altrimenti rimarrebbero silenziose. Nel contesto della crisi climatica, questa capacità unica rende la musica uno strumento potente, forse insostituibile, per sensibilizzare il pubblico e ispirare l’azione. Non a caso, la musica è stata utilizzata nel corso della storia per affrontare questioni di giustizia sociale, pace e, più recentemente, per la protezione del nostro fragile pianeta.

Un esempio illuminante di questa connessione tra musica ed ecologia si trova in Kid A, il quarto album dei Radiohead. Pubblicato nel 2000, questo lavoro visionario ha anticipato molti dei temi che oggi dominano il dibattito sul cambiamento climatico. Kid A è un viaggio sonoro in un mondo alienante, dove tecnologia e natura si scontrano in modo inquietante. Le atmosfere fredde e sintetiche dell’album, intrecciate a testi enigmatici, evocano un futuro distopico in cui l’umanità sembra essere in lotta contro sé stessa e contro l’ambiente che la ospita.

Sebbene non sia esplicitamente un album ecologista, Kid A rappresenta un atto di denuncia implicita. La sua estetica apocalittica e le sonorità destrutturate catturano un senso di perdita e disorientamento che risuona profondamente in un’epoca in cui il riscaldamento globale, la deforestazione e l’estinzione delle specie minacciano di stravolgere la nostra relazione con la Terra. La traccia Idioteque, con il suo ritmo frenetico e i suoi versi allarmanti, sembra preannunciare un mondo in cui la natura risponde alle aggressioni dell’uomo con eventi catastrofici e incontrollabili.

Talmente incontrollabili da generare incertezza sociale ed ecoansia. Un concetto che, soprattutto tra le nuove generazioni, è sempre più diffuso, una paura viscerale che la nostra civiltà stia irrimediabilmente precipitando verso la distruzione ecologica. Il termine “ecoansia” è entrato nel linguaggio comune solo negli ultimi anni, ma in Kid A questa sensazione sembra essere già prefigurata. La paura di un collasso ecologico che non lascia scampo, la consapevolezza di essere troppo piccoli per affrontare una crisi di tali proporzioni, il desiderio di un cambiamento che sembra irraggiungibile. Sono temi che emergono con forza nelle parole e nelle atmosfere dell’album, e che oggi, con la crescente devastazione climatica, sembrano risuonare ancora più potenti.

Non è solo la musica a esprimere questa angoscia. Le parole di Thom Yorke, sempre criptiche, sembrano raccontare il senso di frustrazione di un’umanità che sa cosa sta accadendo ma non può fermarlo. In How to Disappear Completely, per esempio, l’artista sembra evocare una volontà di scomparire in un mondo che sta letteralmente crollando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni: “I’m not here / This isn’t happening”. Un rifiuto di accettare una realtà che, purtroppo, è ormai sotto gli occhi di tutti. La sua voce, distorta e fragile, non fa che intensificare il senso di disorientamento, come se fosse impossibile trovare un posto sicuro in un mondo che si sfalda.

Il potere della musica nel contesto ecologico non si limita alla capacità di evocare emozioni. La musica può tradurre concetti complessi in esperienze sensoriali immediate, rendendo tangibili problemi spesso percepiti come astratti o lontani. Come quelli legati al cambiamento climatico che essendo un fenomeno globale tende ad essere visto come qualcosa che riguarda l’altro, qualcosa difficile da interiorizzare. Artisti come Michael Jackson, con brani come Earth Song, o Joni Mitchell, con la sua iconica Big Yellow Taxi, hanno dimostrato come la musica possa trasformare dati e statistiche in storie emotivamente coinvolgenti che ispirano empatia e azione.

Negli ultimi anni, artisti contemporanei come Billie Eilish e band come i The 1975 hanno abbracciato l’urgenza del messaggio ecologico. All the Good Girls Go to Hell di Eilish è una feroce critica al cambiamento climatico, mentre i The 1975, collaborando con l’attivista Greta Thunberg, hanno inserito un suo discorso nel brano The 1975, trasformando la musica in un manifesto politico. Eventi globali come il Global Citizen Festival e i concerti per l’Earth Day hanno amplificato ulteriormente questo messaggio, utilizzando la musica come catalizzatore per la mobilitazione collettiva. In questi spazi, la musica diventa più di un’arte: diventa un atto di resistenza e una piattaforma per il cambiamento.

Ciò che rende la musica particolarmente potente nella lotta per la sostenibilità è la sua capacità di trascendere confini culturali e linguistici. In un mondo frammentato da differenze politiche e ideologiche, la musica unisce. Le crisi ambientali, come il cambiamento climatico, non rispettano confini, e la musica, con il suo linguaggio universale, diventa un mezzo per connettere persone di ogni angolo del pianeta in una causa comune.

Nel cuore di Kid A e di altri lavori musicali dedicati alla crisi ecologica c’è una chiamata all’azione. I Radiohead, con le loro atmosfere evocative e i testi criptici, ci costringono a riflettere sulla fragilità del nostro rapporto con la natura. La loro musica, così come quella di altri artisti impegnati, non offre risposte facili ma invita a porsi domande profonde: quale futuro stiamo creando? E quale possiamo ancora immaginare?

La musica, d’altronde, non è solo una forma d’arte, ma una lente attraverso cui possiamo esplorare le crisi del nostro tempo. È un promemoria che, anche di fronte all’incertezza, c’è sempre spazio per l’immaginazione e la speranza. Nel momento in cui ci troviamo a dover affrontare sfide senza precedenti, il suono può diventare la scintilla che accende una rivoluzione, non solo nelle nostre coscienze, ma nel modo in cui viviamo e proteggiamo il nostro unico pianeta.

Tratto da E se fosse la musica a salvarci? La memoria dei suoni e la sfida climatica di Dario Giardi (Mimesis, 2025)

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