‘Depeche Mode: M’, la recensione del film-concerto | Rolling Stone Italia
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‘Depeche Mode: M’, un concerto in cui il vicino di posto ti parla della morte nella cultura messicana

La pellicola di Fernando Frías è uno strano ibrido tra il film-concerto tratto dal tour di ‘Memento Mori’ e l’audiodocumentario sul Día de los muertos, e non solo. Nelle sale dal 28 al 30 ottobre

‘Depeche Mode: M’, un concerto in cui il vicino di posto ti parla della morte nella cultura messicana

Depeche Mode

Foto: Toni François

Al momento dell’uscita di Memento Mori, era la primavera del 2023, non è stato difficile legare un titolo come quello alla recente scomparsa di Andy Fletcher, il terzo Depeche, l’ago della bilancia tra gli ego ingombranti del cantante e del songwriter di una delle band più popolari del mondo. Ci ha pensato Martin Gore a spiegare che sì, ricordati che devi morire, ma ricordati anche di ringraziare di essere vivo, e vedi di godertela un po’, quando possibile. «Mi piace l’idea che la frase memento mori assuma un senso positivo, tipo: vivi al meglio ogni giorno che ti è concesso di stare sulla Terra», ha detto. Nei loro concerti italiani avevamo visto una celebrazione della vita ma oggi, a farci venire dei dubbi, è l’uscita di Depeche Mode: M, il film girato dal regista messicano Fernando Frías che ritrae la band inglese dal vivo allo stadio Foro Sol di Città del Messico nel settembre 2023, durante il tour che pochi mesi prima ha toccato Roma, Milano e Bologna.

«Il film» promette la produzione, «esplora il profondo legame tra la musica dei Depeche Mode e i temi della mortalità. È anche un vero e proprio viaggio cinematografico che si immerge nel cuore della cultura messicana legata alla morte». La pellicola sarà nelle sale italiane dal 28 al 30 ottobre, forse non a caso nei giorni che precedono la commemorazione dei defunti, ossia «il giorno dei morti», il 2 novembre insomma. Il 5 dicembre il film uscirà in DVD e doppio Blu-Ray assieme a un album live intitolato Memento Mori: Mexico City, registrato durante gli stessi concerti portati sul grande schermo (con quattro inediti dalle session di Memento Mori, ovvero Survive, Life 2.0, Give Yourself to Me e In the End, quest’ultima uscita oggi, ndr).

In questo pezzo non ci saranno spoiler, perché la visione di Depeche Mode: M non è foriera di grandi soprese. È il classico film-concerto ben realizzato e senza momenti di noia, in cui le canzoni sono intervallate da brevi bignami sul rapporto tra morte e cultura messicana, con qualche divagazione filosofica che francamente lascia il tempo che trova. «Siamo un Paese che ha il copyright della morte» si sente dire in apertura non si sa bene da chi, e questo è uno dei principali difetti del progetto: di chi sono i voiceover? Non si sa, o almeno noi non l’abbiamo capito. Non sono del pubblico, pressoché assente dal film se non come sfondo quasi informe. Anche Gahan & Gore non parlano, non ci sono interviste, spiegazioni, solo il concerto. Sarebbe stato interessante sentire da loro perché hanno voluto realizzare un progetto apparentemente legato a doppio filo al Messico ma che in realtà sembra viaggiare su due strade parallele: la musica e la cultura messicana della morte. Insomma, non c’è nessuno che spiega cosa c’entrano i Depeche Mode, qual è, come si diceva sopra, «il profondo legame tra la musica dei Depeche Mode e i temi della mortalità». Va bene Memento Mori, ma nel film si ascoltano anche diverse canzoni del repertorio (da Everything Counts ai singoloni di Violator).

Depeche Mode: M (Official Trailer) - al cinema solo dal 28 al 30 ottobre!

La parte live è fatta bene, ha un gran ritmo. Frías sa come si riprende un concerto, e l’iconografia dei Depeche Mode ne esce rafforzata. Non ci stupiremmo se il gruppo decidesse di affidare al regista messicano il ruolo che fu di Anton Corbijn, i cui visual, detto per inciso, in Depeche Mode: M vengono mostrati con il contagocce. Dave Gahan occupa tutto lo spazio, come nei concerti, Martin Gore sembra quasi un comprimario, tranne quando prende il microfono (e nel film non capita spesso). Il viso di Fletch esce da una stampante e finisce in mano a decine di spettatori. «Il nostro amico e collega Andrew Fletcher», dice il cantante. La sua commemorazione è tutta qua, in mezzo a considerazioni sparse sulla morte.

Ai fan piacerà, le canzoni sono quelle, incontestabili, comprese quelle di Memento Mori. Ma davvero si fa fatica a cogliere il progetto artistico che lega i Depeche Mode alla cultura messicana. Anche perché, come detto, nessuno lo spiega. Anzi, a parte i primi minuti, non c’è una voce fuori campo che parli dei Depeche Mode. Detta un po’ brutalmente, è come assistere a un loro concerto (e fin qui, avercene) durante il quale al termine di ogni canzone il vicino di posto ti parla della morte nella cultura messicana. A un certo punto viene tirata fuori pure l’epopea di Gilgamesh, i sumeri, il XIX secolo avanti Cristo. Ci si era cimentato pure Battiato. Ma il nesso con i Depeche Mode è tirato per i capelli, e anche in questo caso nessuno spiega quale sia. Tocca andare per suggestioni, cercare di intuire, farsi un’idea propria. Cosa non negativa di per sé. Ma al termine della visione di Depeche Mode: M si fa fatica a non pensare a un’occasione sprecata.

In The End (from the Memento Mori Sessions)

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