Contro il mito del grunge che ha ucciso il metal | Rolling Stone Italia
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Contro il mito del grunge che ha ucciso il metal

All’inizio degli anni ’90 i nuovi anti-eroi sensibili hanno spazzato via dall’immaginario rock le pose dei metallari vecchia scuola. O forse no

Contro il mito del grunge che ha ucciso il metal

Alice in Chains

Foto: Ebet Roberts/Getty Images

A forza di ripeterlo è diventato un luogo comune: il grunge ha ucciso l’hair metal. Arma del delitto: dischi come Nevermind dei Nirvana la cui estetica è effettivamente radicalmente diversa da quella dei Mötley Crüe o dei Twisted Sister. Sarebbe stato il successo di questo e di altri album a spazzare via musicisti con capelli cotonati, pacchi avvolti in pantaloni elasticizzati e canzoni fragorosamente spettacolari. È vero che nel giro di pochi anni su MTV le immagini di bellocce scosciate, motociclette e smorfie dementi sono state sostituite da video sinistri ed enigmatici con protagonisti nuove rockstar che all’edonismo preferivano la riflessione esistenziale, il racconto del caos interiore, la descrizione cruda della realtà, la rabbia. È vero che sulle copertine delle riviste e in classifica sono finiti questi nuovi anti-eroi sensibili e incazzosi, un po’ più schivi, alcuni persino femministi. Ma davvero il grunge ha ucciso l’hair metal?

Le cose sono più complesse di così. Nessun fenomeno ne spazza via un altro in modo netto e repentino. Si tratta di processi che vengono semplificati per dare un senso e una direzione alla storia: e venne la new wave che si mangiò il punk che morse il prog, e così via. Viste da lontano, queste semplificazioni hanno senso: i picchi commerciali dei vari stili e il loro impatto culturale si succedono uno dopo l’altro. Viste da vicino, un po’ meno perché a parte i fenomeni passeggeri i generi musicali continuano a vivere anche quando un’altra moda s’impone.

A giudicare dalle classifiche di vendita, quando i gruppi di Seattle sono diventati popolari il cosiddetto hair metal era un fenomeno non morto, ma in fase calante, come del resto lo sarebbe stato il grunge pochi anni dopo. Secondo Dee Snider dei Twisted Sister, «non è stato il grunge a uccidere l’hair metal. L’hair metal ha fatto tutto da sé. È diventato troppo commerciale, poi tutto power ballad e canzoni acustiche. A quel punto non era più metal». E poi, quando band come Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden sono entrate in classifica il metal era anche altro. Per fare un esempio, erano già passati quattro, cinque anni da quando i Guns N’ Roses avevano annunciato con Appetite for Destruction l’avvento dell’era del realismo di strada.

Di certo il grunge non ha ucciso il metal (senza hair) o l’hard rock tradizionale come dimostrano i successi dei Def Leppard di Adrenalize, degli Aerosmith di Get a Grip o dei Pantera di Far Beyond Driven, giusto per citare alcuni album giunti al numero uno della classifica americana mentre ci arrivavano anche i Nirvana. Restando al 1991, si stima che il Black Album dei Metallica abbia venduto 25 milioni di copie nel mondo, 9 milioni in più di Nevermind. Sei mesi dopo la morte di Kurt Cobain, mentre i Soundgarden erano diventati una presenza famigliare in classifica grazie a Superunknown e s’attendeva l’uscita del terzo disco dei Pearl Jam, i Bon Jovi pubblicavano l’antologia Cross Road arrivando a venderne nel mondo ben 21 milioni di copie. È vero che alcuni gruppi di area hard & heavy cambiarono look e sound per adattarsi ai nuovi tempi, e qui ne trovate un campionario, ma evidentemente anche dopo la “rivoluzione” di Nevermind il pubblico aveva fame della vecchia musica.

Del resto il grunge non ha nemmeno ammazzato il vecchio pop. Si usa indicare la data dell’11 gennaio 1992 come quella di un cambiamento epocale: è stato il giorno in cui Nevermind, disco di ex reietti della Sub Pop in ascesa ma ancora underground (all’epoca non si diceva indie), ha scalzato dal primo posto della classifica americana Dangerous del re del pop Michael Jackson. E però a conti fatti, il primo è stato comprato dalla metà delle persone che nel mondo hanno preso il secondo, 16 milioni contro 32 milioni.

La narrazione dei media, più inclini a raccontare una storia nuova ed eccitante di una vecchia e consunta, ha contribuito a sovrastimare il successo di certi dischi rispetto ad altri, ma è altrettanto vero che il numero di copie vendute non misura l’impatto culturale di un disco, né la sua capacità di rappresentare e persino influenzare il clima di un’epoca. E così da una parte c’è chi, come il produttore di Seattle Jack Endino, dice che il grunge «era in sostanza una reazione all’orribile musica rock che andava ai tempi, specialmente il cosiddetto hair metal, sentivamo che la gente aveva scordato il significato del vero rock’n’roll e che era tempo di ricordarglielo». Dall’altra c’è chi afferma che il grunge non ha ucciso il metal per la semplice ragione che deriva da esso.

Non è esattamente corretto, ma c’è del vero. Oltre al punk-rock e alla new wave, alla base del grunge ci sono infatti hard rock e metal tradizionale. La cosa è palese negli Alice in Chains (che difatti, pur essendo considerati uno dei Big 4 del grunge, sono estranei alla scena Sub Pop da cui è nato il fenomeno) e piuttosto chiara nei Soundgarden e nei Pearl Jam (presente l’assolo di Alive ispirato ai Kiss?). Vale anche per i primissimi Nirvana e la loro rilettura deforme dell’hard rock. Siccome grunge è diventata un’etichetta talmente ampia da comprendere sia punk-rocker con una lattina di birra in mano come il giovane Mark Arm, sia metallari cresciuti a pane e Iron Maiden come Mike McCready, non mancano gli esempi di musicisti che a Seattle e dintorni guardavano con orrore al glam metal, ma anche di chi, giovanissimo, ha aderito a quell’estetica. Basta guardare le foto dei primi Alice in Chains o come si conciavano Stone Gossard e Jeff Ament dei Pearl Jam quando suonavano coi Green River e i Mother Love Bone. Basterebbe anche solo sentire la loro musica, in realtà.

È il bello di questa storia. Nel dna di un genere controrivoluzionario, che in ambito rock ha imposto un’estetica alternativa a quella vincente negli anni ’80 tramite un ritorno a forme di rock viscerali e veriste del passato, c’è anche il vecchio hard & heavy. Nel passato di alcuni degli eroi dell’anti-glamour ci sono pettinature imbarazzanti e riff scopiazzati dai best seller metallari. In fondo una delle grandi eredità del grunge è questa qui: l’abbattimento delle barriere fra metal e punk.