Come un pugno di smanettoni e di operai sottopagati ha messo in ginocchio l’industria musicale | Rolling Stone Italia
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Come un pugno di smanettoni e di operai sottopagati ha messo in ginocchio l’industria musicale

Il documentario ‘How Music Got Free’ racconta come pochi ragazzi alimentando Napster, Kazaa e Limewire hanno posto le basi per il mondo musicale in cui viviamo. Sta succedendo di nuovo, anche se stavolta la pirateria non c’entra

Come un pugno di smanettoni e di operai sottopagati ha messo in ginocchio l’industria musicale

Uno studente americano scarica musica da Napster nel 2001

Foto: Spencer Platt/Newsmakers/Getty Images

L’ascesa del formato mp3, con la conseguente fine dell’epoca d’oro del CD, è una bella storia e la conosciamo tutti. Dentro ci sono i Metallica e Dr. Dre, Sean Parker e l’associazione dei discografici americani, Napster, Kazaa, Limewire e la decisione sorprendente dell’industria discografica di denunciare i fan che scaricavano musica gratuitamente. Dietro però c’è una storia più complessa e affascinante, quella d’un gruppo di giovani smanettoni e di una manciata di operai sottopagati di Shelby, North Carolina.

È una storia raccontata nel nuovo documentario di MTV How Music Got Free. Diretto da Alex Stapleton, è basato su Free, il libro del 2015 di Stephen Witt che partecipa al film ed è uno dei produttori. Quest’intrigo straordinario di fine millennio ruota attorno a Dell Glover, operaio e appassionato di tecnologia dello stabilimento di produzione di CD della Universal Music a Shelby. Con l’aiuto di alcuni colleghi, trafugava dischi inediti, li rippava e condivideva i file con un tizio misterioso noto come Kali, personaggio di spicco nella pirateria digitale sul web. Il film è stato presentato in anteprima al South by Southwest e sarà distribuito negli Stati Uniti a inizio estate.

Se avete usato Napster, Kazaa o Limewire per scaricare musica nuova del catalogo Universal, è probabile che abbiate goduto dei frutti del lavoro di Glover e Kali. I due hanno leakkato di tutto, The Blueprint di Jay-Z, The Eminem Show di Eminem, Take Off Your Pants and Jacket dei Blink-182, Rated R dei Queens of the Stone Age. Glover ha persino pesato sulla grande sfida tra Kanye West e 50 Cent del 2007, diffondendo Graduation e Curtis a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.

In How Music Got Free ci sono interviste approfondite a Glover, ai colleghi che lavoravano in fabbrica con lui e ad altri pirati che hanno giocato ruoli chiave nella cosiddetta scena Warez (ma non a Kali). Ed è solo una parte della storia. Eminem e il suo manager Paul Rosenberg hanno collaborato alla produzione del film ed entrambi si sono prestati a essere intervistati, così come altri artisti e personaggi del settore (50 Cent, Timbaland, Jimmy Iovine, Steve Stoute) che ancora soffrono del trauma dei leak.

«Eminem era uno degli artisti più piratati», racconta Stapleton. «Lo diceva chiaramente che odiava i ragazzini che sabotavano le uscite degli album, ma loro continuavano a farlo. Un paradosso del genere è il sogno di un regista… Eminem trollava l’industria musicale, si divertiva un mondo ed è per questo che lo amavamo, ma c’era gente che trollava lui».

Dentro How Music Got Free ci sono tensioni affascinanti: tra artisti, fan e interessi delle multinazionali; tra musica e tecnologia; tra chi si impegna in ogni modo per creare musica e chi ne trae profitto. Lo spunto perfetto per analizzare l’era del file sharing lo offre nei primi cinque minuti del film il rapper Rhymefest: «Parliamo di cosa è andato storto. Ma di cosa è andato storto per chi? Per gli artisti o per l’industria?».

Come nota la regista, nel momento in cui le cose andavano benissimo per l’industria musicale, ai tempi dei CD, andavano male per i lavoratori degli stabilimenti che guadagnavano 8 dollari e mezzo all’ora e per i consumatori che ne sborsavano 20 per un disco la cui produzione costava un paio di dollari (per non parlare dell’impatto ambientale di tutta quella plastica). Quando le cose si sono messe male per l’industria, a farne le spese sono stati soprattutto quelli che in ogni caso non se la cavavano benissimo.

«La concentrazione dei mezzi di produzione delle fabbriche di CD e le spese di distribuzione per portare i dischi nei negozi hanno creato una sorta di barriera», dice Witt. «Non credo che, nel complesso, sia stato un bene per le arti creative. Per la società è stato un male che nel 2005 e nel 2006 i ricavi dell’industria discografica siano crollati del 50 o 60%, ma in un certo senso ha eliminato molte di quelle barriere».

Stapleton e Witt fanno parte della generazione del file sharing. La regista ricorda di aver usato la connessione Internet della società di produzione dove era stagista per scaricare musica da Napster. Dopo essere arrivato al college nel 1997, Witt ha riempito diversi hard disk di musica piratata, dai Radiohead a Jay-Z. Era l’epoca pre-Napster, quando ancora «dovevi andare in chat e chiedere: sapete se qualcuno ha rippato questa canzone?».

L’eclettismo delle loro raccolte di mp3 spiega un altro significato del titolo How Music Got Free. «Il risultato finale di quell’epoca è stato di far crollare molte distinzioni di genere, la gente ha cominciato ad ascoltare musica più varia rispetto a prima, gli orizzonti e i gusti delle persone si sono ampliati, creando anche l’aspettativa di potere accedere a tutta la storia della musica registrata con un semplice click», dice Witt. «Non è così per la televisione o per i film. Lì non c’è un canale unico come per la musica».

Tutto ciò, ovviamente, ha generato una nuova serie di problemi nell’era dello streaming. Teoricamente la musica non è più gratuita, ma la maggior parte delle royalties dello streaming finiscono nelle tasche degli artisti più importanti. Gli altri devono dividersi le briciole e spesso, prima di poter avere qualche tipo di profitto, devono ripagare anticipi e spese. Ad aggiungere ulteriore pressione è l’ascesa dell’intelligenza artificiale addestrata presumibilmente utilizzando materiale protetto da copyright: potenzialmente questo fa paventare una crisi ancora più grave per la musica (e per altre forme di intrattenimento) di quella innescata da Napster. Ne abbiamo parlato con Stapleton e Witt.

Durante la lavorazione del film sono emerse vicende o punti di vista che non erano nel libro?
Alex Stapleton: Uno degli obiettivi era trovare altri operai della fabbrica che parlassero. Shelby è una città piccola, bene o male tutti avevano lavorato in quell’impianto. Ma fare in modo che si mettessero davanti alla camera e parlassero di pirateria è un’altra cosa. Era importante creare un contesto e una backstory, per far capire che è un posto in cui non c’erano molte opportunità. Queste persone venivano pagate pochissimo.
Stephen Witt: Io ho approfondito un po’ questo aspetto nel libro, ma Alex ha fotografato Shelby in un modo che, scrivendo, era difficile fare: come si vive in una città economicamente depressa e postindustriale del Sud. Non a caso le aziende piazzano i loro impianti di produzione in questi luoghi depressi, per non pagare salari alti. Lì non ci sono molte altre opportunità e non ci sono sindacati, quindi i datori di lavoro hanno un gran potere contrattuale.

Come hai fatto a convincere gente come Dell Glover, gli operai e quelli che piratavano i CD a raccontare queste cose? È stato difficile o avevano voglia di parlarne dopo tutti questi anni?
Stapleton: Tutto è partito dalle ricerche e dal libro di Stephen, ma ovviamente Dell ha avuto un ruolo centrale. Tony Dockery è un altro personaggio importante del libro, ma non sono riuscita a convincerlo a parlare con me, non vuole riaprire quel capitolo della sua vita. Per quanto riguarda i pirati che non erano di Shelby, uno mi ha permesso di usare solo la voce. È la persona che per prima ha compresso una canzone dei Metallica in formato mp3 e l’ha condivisa nel giro dei Warez. Ora lavora nell’IT per una grossa azienda. Non è gente che è fiera d’essere criminale, ma è orgogliosa di aver costruito un mondo e un ecosistema di cui oggi facciamo tutti parte. E vuole che la sua storia venga raccontata. Le condanne per quel che hanno fatto sono state durissime, ma il problema di fondo era l’industria musicale che non capiva la tecnologia. Quei ragazzi stavano facendo l’inevitabile. Alcuni di loro, dopo la proiezione del film, sono venuti da noi e ci hanno detto: «Grazie per ciò che avete fatto: ora posso mostrarlo ai miei figli per spiegare perché ho dei precedenti penali per reati federali».

Mi pare che il film faccia una distinzione interessante tra il download illegale in sé e i leak degli album in anteprima, che è ciò che più di ogni altra cosa sembra aver turbato gli artisti.
Stapleton: Che cosa ti potevi aspettare da un diciannovenne senza un soldo che ama la musica e che si trovava questo strumento nel computer? In quanto agli artisti, non veniva considerato a sufficienza il fatto che gli album erano la loro arte. Per Eminem ad esempio era davvero importante. C’erano sketch e intermezzi, come in un film. Credo che sia rimasto traumatizzato vedendo che circolavano frammenti, piccoli pezzi, perché così non si riusciva a fruire dell’album e delle canzoni nel modo che lui voleva.
Witt: I pirati non avevano la minima idea del danno che stavano facendo. Pensavano che fosse divertente, trollavano. Non credo si rendessero conto che al lancio di un album lavoravano dalle 50 alle 100 persone. Non era Eminem che premeva un pulsante. Non avevano idea delle ripercussioni economiche delle loro azioni.
Stapleton: Era anche un periodo di ostentazione estrema, in America. I Duemila erano anni molto incentrati sui soldi, champagne a pioggia. E tutti quei ragazzi come potevano sapere che quelle che vedevano erano auto noleggiate e soldi falsi? Ti credevano se dicevi che eri milionario e niente poteva sfiorarti. Pensavano: bene, allora continuo a farlo.

Questa dinamica è ancora più accentuata in Dell o nei dipendenti della fabbrica come Rodney e Kimberly, che trafugavano CD e a volte vendevano dei bootleg ai loro amici in città. Rodney dice una grande frase: «Se avessero voluto che io mi comportassi bene, mi avrebbero pagato meglio».
Stapleton: Esattamente. Ci sono diversi tipi di pirateria. A Shelby era molto legata ai supporti fisici. Rodney e Kim non erano necessariamente online in quel periodo e non comprendevano il quadro generale. Pensavano: «Ho 10 CD da vendere e uno lo do a questo tizio, Dell». Rodney continuava a dire che non ne sapeva nulla.
Witt: Non capivano che Dell era un canale diretto che portava a Limewire. Loro pensavano semplicemente di vendere CD a 5 dollari l’uno.

Ho l’impressione che nessuno, nel settore, sospettasse davvero che i leak avvenissero a livello della produzione. Tutti pensavano che fosse colpa dei tecnici in studio o qualcosa del genere. Davvero ci è voluto il coinvolgimento dell’FBI per risalire alla fabbrica?
Witt: Erano degli sprovveduti, non sapevano nulla. Ho intervistato l’addetto alla sicurezza dello stabilimento e ignorava tutto. Era come essere in un episodio dei Keystone Cops: come è possibile che non ve ne siate accorti? (Ride) Un’altra questione è che, a un certo punto, Universal ha messo in vendita lo stabilimento. Agli artisti dicevano «stiamo per chiuderlo», in realtà intendevano: «Questo è un asset in perdita, non abbiamo intenzione di investirci altri soldi, nemmeno per la sicurezza». In pratica hanno preso l’impianto, l’hanno affossato e aspettato che morisse. In fabbrica, da un certo punto in poi, nessuno ha più preso sul serio nulla.

Pensate che artisti e addetti ai lavori abbiano imparato qualcosa da questa storia, oltre al fatto che probabilmente non è una buona idea portare in tribunale o denunciare i propri fan?
Stapleton: Credo che gli artisti vogliano solo diffondere la loro arte e che la maggior parte di loro sia molto flessibile sui modi in cui farlo, e che questa cosa non valga necessariamente per tutti i dirigenti. Gli artisti si arrabbiano quando non possono più permettersi di lavorare. Non credo siano mai stati interpellati durante il periodo della pirateria. Il discorso era: non spaccarti la testolina con questa roba, ci pensiamo noi. E questo ha prolungato di 10 anni l’agonia di un’industria in declino.
Witt: Per citare Twin Peaks, sta succedendo di nuovo. Il New York Times sta facendo causa a OpenAI. C’è chi si appropria dei contenuti e li riutilizza a scopo di lucro, e ai creatori originali non entra in tasca un soldo. ChatGPT in un certo senso è il nuovo Napster. È una tecnologia più sofisticata, ma è essenzialmente un motore per la violazione del copyright che genera profitto solo per una certa azienda. La lezione però è che questa cosa non si può semplicemente combattere, non la puoi eliminare E invece è quello che hanno cercato di fare con Napster, hanno agito per vie legali per cancellarlo, ma alla fine non ci sono riusciti. Il gatto era uscito dal sacco. Ci è voluto troppo tempo prima che le case discografiche accettassero il fatto che non avrebbero più venduto i CD nei centri commerciali. Nella causa parteggio per il Times, è chiaro che OpenAI sta violando il copyright e sta cercando di trarne profitto, ma non è possibile semplicemente chiudere OpenAI. Devono raggiungere un accordo affinché i creatori di contenuti vengano ripagati per la generazione del testo automatizzato dell’AI.

Avete fatto qualche ricerca sulla scena della pirateria contemporanea, cose come i tracker privati di torrent? La mia ipotesi è che non abbia più molto peso, ma sono curioso di sapere se avete trovato qualcosa che suggerisca il contrario.
Witt: Credo che l’impatto sia quasi nullo.
Stapleton: Credo che oggi la pirateria dei film stia diventando una minaccia più grande rispetto a quella della musica. Non penso, però, che il fenomeno sia ancora decollato. È un po’ più complicato capire come procurarsi i film gratis.
Witt: Per la tv non c’è niente di paragonabile a Napster. Voglio dire: è tutto là fuori, a disposizione. Ci sono siti e tracker privati che offrono tutti i servizi di Netflix, Hulu e gli altri. Man mano che aumentano i costi dei servizi di streaming ci si può aspettare che un numero maggiore di persone torni alla pirateria. Ma questa generazione non ci è arrivata nello stesso nostro modo, quindi forse non sente il senso di legittimazione della mia generazione, per noi tutti i file dovrebbero essere disponibili gratuitamente con un solo click. Non credo che le cose torneranno mai come una volta o almeno non tanto presto. Se fossi un dirigente del settore dello streaming, onestamente mi preoccuperei più dell’impatto potenziale dell’intelligenza artificiale e di YouTube, piuttosto che della pirateria.

Perché?
Witt: È un momento difficile per lo streaming televisivo, non credo sia un segreto. Molte azioni sono in ribasso e credo che si debba trovare un modello di business che funzioni. Allo stesso tempo, guardando al futuro, se arrivasse qualcosa come Sora, in grado di creare dell’intrattenimento on demand, potrebbe sorgere un grosso problema. Quelli che andresti a guardare, in quel caso, non sarebbero show con una sceneggiatura. Questa cosa non è ancora accaduta: la tecnologia non c’è, ma è quello che stanno cercando di fare.
Stapleton: Ci siamo quasi. È spaventoso, ma anche bello. La tecnologia si evolve molto velocemente e credo che spunteranno molti registi straordinari su YouTube. Dovrà comunque esserci una sorta di curatela dei contenuti: questo, secondo me, è l’aspetto interessante. Come lo si farà e come farà l’industria a capire in che modo monetizzare?
Witt: In questo momento sto guardando Shogun e il livello di maestria umana e artigianale è elevatissimo. È un gran prodotto. Credo che siamo molto lontani dal poter di fare qualcosa di simile con un computer.
Stapleton: Vero. Ma la cosa assurda di Sora e della parte visuale dell’AI è che la tecnologia si evolve molto rapidamente. Il tempo che passa tra un’innovazione e l’altra è molto più breve.

Com’è Shelby adesso? Lo stabilimento è ancora aperto?
Stapleton: Non è più un impianto per la produzione di CD. Quello ha chiuso i battenti nel 2010. Al momento è occupato dal governo cinese (ride). Un paio di volte siamo finiti nei guai cercando di entrare nella loro proprietà e facendo volare un drone su quell’area. Nella maggior parte delle zone rurali lo si può fare senza problemi. Era piuttosto inquietante. Chiedevo alla gente del posto: cosa fanno adesso là dentro? Nessuno lo sapeva.

Da Rolling Stone US.