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Come non farsi mandare a quel paese dai Gallagher e scattare centinaia di foto degli Oasis

È uscito ‘Trying to Find a Way Out of Nowhere’, prefazione di Noel, fotografie di Jill Furmanovsky, che dagli anni ’70 ritrae il meglio del rock britannico, e non solo. «Volevo che il lettore immaginasse sudore e risate»

Foto: Jill Furmanovsky

«Sembrava un pellegrinaggio. In fila c’erano persone che hanno visto decine di concerti degli Oasis e cantano ogni parola come se fosse stata scritta per loro. È stato bello sentire le loro storie, quasi commovente». La scorsa settimana lo Studio 3 di Abbey Road a Londra ha ospitato la presentazione di Oasis: Trying to Find a Way Out of Nowhere 1994-2009/2025, il libro Rizzoli con gli scatti di Jill Furmanovsky e la prefazione di Noel Gallagher. La fotografa, che dagli anni ’70 ha immortalato un bel pezzo di storia del rock britannico, dai Pink Floyd ai Sex Pistols e a centinaia d’altri artisti, ha setacciato il suo archivio per raccontare 15 anni di storia degli Oasis, un tuffo negli anni ’90 del Brit pop, lontani nel tempo ma vivi nella memoria soprattutto di chi oggi canta a squarciagola negli stadi insieme ai Gallagher.

Sono oltre 300 pagine e 500 immagini, dai primi tour incandescenti ai backstage, dai momenti di tensione alla separazione del 2009, fino all’atteso ritorno del 2025. «Non volevo mostrare semplici fotografie», mi spiega Furmanovsky, raggiunta in videochiamata poche ore dopo l’evento ad Abbey Road. «Volevo che il lettore vedesse la polvere dei locali, immaginasse il sudore e le risate, le cose che hanno trasformato gli Oasis una leggenda». A un certo punto ad Abbey Road è apparso Gem Archer «ed è stato come se il passato si fosse seduto accanto a noi. Ma alla fine tra gli ospiti c’erano più membri dei Pink Floyd che degli Oasis: David Gilmour, Nick Mason e Guy Pratt, tre contro uno», ride Furmanovsky. Liam e Noel, appena tornati dal Messico, stavano ricaricando le batterie prima delle prossime tappe del tour.

Il primo contatto con i fratelli per Jill è arrivato attraverso la musica, come per tutti noi. «Non ricordo se era Rock and Roll Star, Shakermaker o Supersonic, ma quelle chitarre erano impossibili da ignorare. Era carica pura, era adrenalina, qualcosa che non potevi scambiare con nient’altro». Poi sono arrivati i video del gruppo: «Liam insolente e magnetico, ho capito subito che stava per succedere qualcosa».

Noel con gli Oasis a Maine Road, Manchester, aprile 1996. Foto: Jill Furmanovsky

È stata Daniela Soave di Record Mirror a spingerla verso gli Oasis. «Mi disse: devi scattarli tu. Così una sera mi ritrovo al Cambridge Corn Exchange, il posto è pieno, fuori c’è una fila chilometrica, dentro incontro Noel e Bonehead. Quando salgono sul palco l’impatto è devastante. Come fotografa mi sono chiesta: come faccio a rendere tutto questo attraverso le immagini?».

Le foto piacciono e Furmanovsky viene invitata sul set del video di Live Forever e parte col gruppo per San Francisco per accompagnarli durante uno dei primissimi tour americani. «Non cercavo di diventare una di loro. Non bevevo, non andavo alle feste. Restavo con la mia tazza di tè mentre loro uscivano a divertirsi. Forse per questo mi rispettavano». L’esperienza d’altronde parlava già per lei: vent’anni di lavoro con Pink Floyd, Sex Pistols, le scene punk e new romantic: «Non ero tanto giovane da sembrare una fan, né troppo vecchia da risultare distante. E i Gallagher, cresciuti da madri forti, sapevano lavorare bene con le donne».

Intanto il fenomeno cresceva a una velocità impressionante: «In Inghilterra il pubblico raddoppiava ogni mese. Negli Stati Uniti suonavano in piccoli posti spartani dove nessuno li conosceva ancora. Ma c’era da subito la pressione dei tabloid: titoli scandalistici, foto rubate… loro ci ridevano sopra. Faceva parte del gioco». Un momento simbolo, secondo Furmanovsky, resta Maine Road a Manchester, nella primavera del ’96, due concerti a casa loro, nello stadio del City. «Alla fine Noel rimase seduto a guardare il pubblico uscire, incredulo. Ricordo che ha detto: “Non posso crederci, questa è terra santa e noi ci abbiamo suonato”».

Le foto del libro raccontano due lati opposti ma sempre presenti della band: le tensioni e la leggerezza. «Parigi, 1995: Liam e Noel in conflitto aperto. Ho scattato tutto, anche se non sapevo se quelle foto avrebbero mai visto la luce». Poi ci sono le scene più leggere: «2 maggio 1997, in un pub con biliardo e freccette. Tutti un po’ brilli, ridevano, scrivevano con il gesso sul tabellone. Foto imperfette tecnicamente, ma vere. Raccontavano il lato umano degli Oasis».

Foto: Yvonne Catterson © Jill Furmanovsky

Furmanovsky li ha seguiti fino al 2009, vivendo entrambe le versioni della band, il Mark I e Mark II con Gem Archer e Andy Bell. «Cambiano i membri, cambia il dna, ma la qualità della musica resta altissima. Per un certo periodo si sono odiati, ma insieme continuano a fare grandi cose. Ho visto concerti recenti simili a quelli di Cambridge: niente scenografie spettacolari, solo musica. Il pubblico cantava ogni parola. La gente ha portato figli, nipoti. Io stessa ho portato la mia di 13 anni e nei suoi occhi ho rivisto la magia, quella degli anni che racconto nel libro».

Miles Davis, Amy Winehouse, Joy Division, la scena punk, gli scatti ad Abbey Road durante le registrazioni di Wish You Were Here dei Pink Floyd nel 1975: una carriera così ricca lascia spazio a rimpianti e desideri rimasti nel cassetto? «Non aver fotografato abbastanza Bowie. Una volta durante un suo tour me lo impedirono e non si creò mai un rapporto. Oppure Nina Simone: avrei tanto voluto scattarla».

Oggi guarda avanti con la stessa passione di sempre: «Mi piacerebbe ritrarre Billie Eilish. L’ho fotografata a Glastonbury, ma vorrei incontrarla davvero: prendere un tè, capire chi è come persona». Ha la consapevolezza di chi ha attraversato mezzo secolo di musica e l’umiltà di chi sa che non si smette mai di imparare: «Ho fatto tanto, è vero, ma c’è sempre voglia di fare di più. E forse questo è il vero segreto: non perdere mai la curiosità».

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