Com’è che siamo passati da Klaus Nomi al Pavarotti and Friends? | Rolling Stone Italia
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Com’è che siamo passati da Klaus Nomi al Pavarotti and Friends?

Il 6 agosto 1983 moriva un cantante e performer tedesco che aveva trovato la strada per mettere assieme in modo interessante opera e new wave. Questa è la sua storia vissuta ai margini, fino al triste epilogo

Com’è che siamo passati da Klaus Nomi al Pavarotti and Friends?

Klaus Nomi

Foto: Impress Own/United Archives via Getty Images

Oggi cade un anniversario importante: il 6 agosto 1983. No, inutile che cerchiate su Google, troverete al massimo il ricordo della Lettera sacerdotium ministeriale di Giovanni Paolo II e in un certo senso un parallelo c’è. Si celebra infatti un vero pontefice della new wave opera, un genio visionario che ha portato il teatro e l’emozione del bel canto nello spazio angusto e cinico degli anni ’80. Parliamo di Klaus Nomi, morto quarant’anni fa a causa dell’Aids. Gay dichiarato, fu una delle prime celebrità a morire di quella che allora era una malattia sconosciuta e usata per terrorizzare il movimento omossessuale. Col senno di poi, la sua vita potrebbe sembrare un libretto di quella musica lirica che aveva trasfigurato in chiave postmoderna.

Mimo, cantante, attore, performer, Nomi ha trovato una delle chiavi per ibridare la musica classica con il post punk e il synth pop. Nella sua voce riecheggiava tanto il mito di Farinelli quanto quello del perfetto androide musicale. Era capace di cantare da soprano come da tenore. Quando saliva sul palco la gente non si chiedeva chi era, ma che cos’era. Il suo look aggiornava il linguaggio dadaista e quello della repubblica di Weimar. Lui, tedesco trapiantato in America, aveva nel sangue l’espressionismo, l’audacia del Bauhaus, un immaginario mutuato dal film Metropolis, gusto retrofuturista e fantascientifico, con un look alieno ispirato a Tristan Tzara ma anche al Bowie berlinese, del quale farà suo lo smoking in plastica (galeotta fu una puntata del Saturday Night Live del 1979 dove è ai cori con David).

Figlio di madre rimasta sola, passa le giornate a sentire la lirica alla radio e negli anni ’60 per mantenersi lavora come maschera alla Deutsche Oper Berlin, intrattenendo i colleghi nelle pause con delle imitazioni della Callas. Frequenta il conservatorio con in mente un piano perfetto: fondere il pop (sua grande passione insieme al rock’n’roll) e musica avant-garde con la lirica. Prima dei Queen, di Nina Hagen e di tutti gli altri, nei primi anni ’70 Nomi intercetta la voglia del rock di riproporre secondo le proprie modalità la traduzione operistica da cui apparentemente rifugge. Nomi sa che il post punk è lo stile migliore per sperimentare il connubio tra voce impostata e cacofonia spastica nella musica e farne una contraddizione vincente.

Dopo un rodaggio al disco gay club Kleist Casino di Berlino, emigra a New York per sbloccare una carriera che non decolla. È il 1972 e si sdoppia tra il mestiere diurno di pasticcere e quello di animale notturno al CGBG e il Max’s, gli storici locali che hanno dato vita a scene influenti, tra le quali il punk. Finalmente viene notato nel 1978 e invitato da Ann Magnusen a partecipare alla rassegna New Wave Vaudeville proprio al Max’s: la sua performance straniante fatta di luci strobo, fumi, suoni di navicelle spaziali e soprattutto di arie strappacuore ottocentesche lo rende un mito nell’East Village tanto che avrà anche una relazione con Jean-Michel Basquiat.

Klaus Nomi - Total Eclipse 1981 Live Video HD

Al New Wave Vaudeville, Nomi incontra Kristian Hoffmann dei Mumps che diventa il suo direttore artistico e scrive i brani tra i più rappresentativi del suo repertorio (Total Eclipse, tra l’altro attualissima per il suo testo, Nomi Song, Simple Man) e farà parte della sua backing band. Nomi prenderà poi una sua strada da solista più che da membro di un gruppo. Comincia a presentarsi in limousine ai concerti, diventa testimonial pubblicitario dello Jägermeister, recita in film underground come The Long Island Four, tutti sanno chi è, ma la discografia non gli fa giustizia.

Grazie all’avvento del new romantic l’opera di Nomi viene messa sotto un’altra luce e finalmente nel 1981 esce il suo album di debutto su RCA, una specie di raccolta delle cose fatte fino ad allora, tra brani originali e cover di classici del rock’n’roll e dell’opera, in chiave avant e synth pop, in un’interpretazione degli umori della generazione post Heroes. Nella sua vita entra Man Parrish, pioniere dell’electro con il quale scambierà collaborazioni proficue (scrive Nomi Chant per il debutto e Klaus parteciperà al suo Six Simple Synthesizers).

Nel secondo album Simple Man alza l’asticella nel tentativo di sviluppare un crossover classico in una struttura wave/disco/rock/synth pop, con esempi devastanti come la cover di Falling in Love Again di Marlene Dietrich che sembra un conato di vomito no wave nel pieno dell’esecuzione del Giulietta e Romeo in un teatro d’opera. Nomi è convinto che al terzo tentativo le cose andranno per il verso giusto: sta preparando il terreno per il boom della lirica nel pop, visto che la new wave sintetica sta per spopolare negli stadi e non è più roba da asociali cronici, non può certo sbagliare mira. E invece il male se lo porta via: del suo work in progress verso il terzo capitolo ci rimane il postumo Za Bakdaz, uscito nel 2007 e contenente brani che vanno dal ’79 all’83.

Klaus Nomi - Simple Man (Official Video)

Triste è ammettere che la profezia di Nomi si è avverata. Quando negli anni ’90 gli U2 e Eno pubblicano come Passengers Miss Sarajevo usando la voce di Pavarotti nel ritornello, molti pensano sia qualcosa di innovativo, di incredibile, di inaudito. Il Pavarotti and Friends, che fa il pieno di spettatori col suo crossover delirante, sembra quasi la parodia delle idee di Nomi. Cantanti lirici di cui non faremo il nome (Andrea Bocelli) duettano con Dua Lipa e arrivano in cima alle classifiche sono la ciliegina sulla cacca. Per chi vuole recuperare il tempo perso, la Sony ha ripubblicato tutto il catalogo di Klaus Nomi in CD e vinile.

Klaus Nomi lasciò il suo pubblico alla fine del 1982, dopo una accorata performance a Monaco. Sapendo che sarebbe finita, scelse l’aria del Genio del freddo dal King Arthur di Henry Purcell, il cui testo contiene gli eloquenti versi “Let me, let me freeze again to death”.

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