«Collaborare con Robert Smith è come ricevere una carezza cosmica» | Rolling Stone Italia
Destrutturare canzoni

«Collaborare con Robert Smith è come ricevere una carezza cosmica»

Abbiamo chiesto a Pasco dei JoyCut com’è stato remixare ‘Drone:Nodrone’ in collaborazione col cantante dei Cure per l’album ‘Mixes of a Lost World’. È una storia che inizia nel 2018

«Collaborare con Robert Smith è come ricevere una carezza cosmica»

Pasquale Pezzillo dei JoyCut con Robert Smith dei Cure

Foto press

A molti è capitato di dover sostenere un esame a ridosso di una data importante. Ma avere una deadline con Robert Smith la notte prima del proprio matrimonio non è certo una cosa da tutti. È successo a Pasco, Pasquale Pezzillo, mente dei bolognesi JoyCut che ha avuto l’onore di partecipare all’edizione deluxe di Mixes of a Lost World con il remix (Anti-Gravitational) del brano Drone:Nodrone accanto ad artisti come Four Tet, Orbital, Mogwai e Chino Moreno dei Deftones. «Appena terminato il remix», racconta, «Robert mi ha mandato un messaggio: “Rilassati, fai un bel respiro e sposati, sarò lì con lo spirito”. Puoi immaginare come mi son sentito».

Il disco è una raccolta di 24 reinterpretazioni delle canzoni dell’album Songs of a Lost World. La versione standard raccoglie i remix più club oriented etichettati come Remixers, mentre l’edizione deluxe include anche otto tracce aggiuntive (Artists) più in sintonia con l’estetica dell’ultimo disco della band. Tutte le royalties saranno devolute a War Child UK. L’artwork, curato da Andy Vella, è una felice variazione sul tema della copertina dell’album della band inglese. Come ha ricordato Smith presentandolo, la storia dei Cure è anche una storia di remix a partire dalla pubblicazione nel 1990 di Mixed Up, poi rivisitato ed esteso nel 2018.

L’apertura affidata a I Can Never Say Goodbye remixata da Paul Oakenfold e dagli stessi Cure è un tuffo al cuore. E man mano che i bpm aumentano, passando dalle manopole di Mura Masa, Daniel Avery, Gregor Tresher e Anja Schneider, fino a planare nella parte più crepuscolare e meditativa, non solo viene voglia di riascoltare Songs of a Lost World, ma si capisce che il nuovo materiale della band inglese è davvero superlativo. Mixes ne è, in fondo, celebrazione e consacrazione.

«Per me l’ultimo album dei Cure è già una pietra miliare», dice Pasco, che mesi fa ha ricevuto una mail dallo stesso Smith, in cui gli chiedeva se i JoyCut volessero far parte del progetto. Recensione forse non del tutto disinteressata, verrebbe da pensare, ma è difficile dargli torto.

The Cure - Drone:Nodrone (JOYCUT "Anti-Gravitational" Remix / Visualiser)

Oltre a essere un raffinato sperimentatore di suoni – i JoyCut, con il loro universo cinematico che si estende dal post rock all’industrial, dai ritmi tribali alla dark wave sono apprezzati oltreoceano, così come in Europa e in Oriente – Pezzillo è stato in un’altra vita professore di filosofia nei licei bolognesi. Calibra le parole con cura, con una tendenza al monologo. Ha legato le sue produzioni a scelte estetiche e ambientali ben precise, come l’uso di materiali eco friendly per stampare i dischi, oggi adottati anche dai Cure nei loro bio-vinili, Mixes compreso (non me lo dice apertamente, ma ho la sensazione che, in questo, Robert Smith l’abbia preso come modello).

Dice di avere un rapporto «delicato» con Smith. L’inizio della loro relazione risale al 2018, anno del Meltdown Festival curato dall’inglese. «Ci è stata recapitata una lettera ufficiale in cui ci chiedevano se volevamo essere coinvolti. Poi ci ha invitato ad aprire per i Cure nel 2019, all’INmusic Festival di Zagabria. Ci siamo incontrati diverse volte. A Bogotá, a Bologna, a Seattle».

I JoyCut, crasi tra Joey di Nick Drake e The Final Cut dei Pink Floyd («sono un watersiano convinto»), sono finiti negli ascolti di Smith, ma Pasco non sa di preciso come. «Non gli ho mai chiesto come ci ha conosciuti. Prima del Meltdown eravamo stati in tournée per quattro o cinque anni in giro per il mondo. Avevamo raggiunto – credo – una certa credibilità, soprattutto fra gli addetti ai lavori, nei festival. Forse gli è arrivato un feedback in quel periodo». Gli domando se la scelta di reinterpretare Drone:Nodrone – remixata anche da Daniel Avery e Anja Schneider in tandem con i Cure per l’edizione standard – sia stata dei JoyCut o di Smith. «Robert ci ha chiesto di ascoltare bene l’album senza darci particolari indicazioni. Poi ci ha indirizzato verso Drone:Nodrone, un monolite speculare, dove il suo cantato è quasi sempre presente, con pochissimi spazi su cui intervenire».

Ha chiamato il mix Anti-Gravitational perché – in sostanza – ha capovolto la struttura formale del brano. «Abbiamo isolato la voce di Smith e da quel centro gli abbiamo costruito attorno una galassia sonora. Se ascolti bene scoprirai che il mix originale è granitico, centrato sulla forza di gravità. Noi abbiamo ribaltato la prospettiva. Una delle cose più belle di un remix è rendere visibile l’invisibile. Nel mix che viene pubblicato ci sono elementi sottotraccia, le cui frequenze non sono sempre percepibili da chi ascolta. Con il tuo intervento puoi portarli alla luce».

THE HANGING GARDEN |Tribute @ ROBERT SMITH’S MELTDOWN_

Quindi a questo punto sono curioso di sapere se ha scovato qualcosa che un normale ascolto ci ha negato, e come se n’è accorto. «La matrice del brano originale è portata avanti dalla linea di basso di Simon Gallup. La prima cosa che ho pensato è stata di destrutturarla, triturarla, non seguire il tracciato ufficiale. Primo, perché è impossibile misurarsi con la stessa grandezza di un capolavoro. Secondo, perché la canzone ha già un suo equilibrio perfetto, che non volevo e non potevo alterare. Così ho nascosto lo strumento di Gallup e ho fatto emergere la chitarra quasi orientale, direi giapponese, suonata da Robert Smith. È lì, nel Sol Levante, che ho trovato la mia chiave personale».

E Smith l’ha lasciato fare o si è trattato di un lavoro a quattro mani? «In dirittura d’arrivo ci sono state revisioni costanti, con Robert che interveniva in prima persona. Magari andava cambiato un suono, un riverbero, una frequenza. Una parola spostata da una parte o dall’altra. Come saprai, lui segue tutta la produzione dei Cure direttamente. Ci ho messo circa un mese. Ma sono davvero l’ultimo da prendere come riferimento perché sono molto lento. Devi tremare, devi piangere, devi buttare via la vanità, senza pensare allo scopo. Non solo perché è un disco non commerciale, con intenti nobili in un mondo sempre più arido e devastato, ma anche perché devi trasformare la musica di partenza in qualcos’altro, che resti connesso all’origine ma abbia una sua autonomia».

Insieme ad artisti come Mogwai, Chino Moreno dei Deftones, Trentemøller e Twilight Sad, i JoyCut hanno lavorato alla terza parte dell’album, quella inclusa nella versione deluxe (uscita come triplo LP, musicassetta e CD). Gli domando quale fosse il concept di questo “terzo atto” di Mixes. «Credo che questa parte del progetto sia pensata soprattutto per i fan più appassionati dei Cure: un viaggio sonoro più cosmico, lunare, in sintonia con l’estetica dei musicisti coinvolti, ma anche molto vicino a ciò che il loro pubblico storico si aspetta». Per entrare in questa dimensione e aderirvi quasi religiosamente, Pasco ha addirittura trasformato il suo studio in una sorta di piccolo planetario, proiettando immagini di stelle e pianeti.

joycut

I JoyCut. Foto: Margherita Caprilli

Prima di salutarci, gli chiedo se emotivamente questa collaborazione con i Cure — al di là dell’adrenalina — lo abbia anche un po’ sfibrato. «Sia la prima volta in cui siamo entrati in contatto, sia ora, la gestione è stata difficile. Colgo il senso di opportunità, la levità astrale che comporta questa avventura, ma anche una profonda responsabilità. Non solo per la causa a cui è intitolato il progetto. Siamo al collasso e bisogna rispondere come a una chiamata alle arti. Poi, ovviamente, per motivi musicali e affettivi: per me la musica dei Cure è stata pura folgorazione, il blueprint di tutto ciò che abbiamo innescato musicalmente».

Nel tempo, la musica dei JoyCut si è spostata verso territori più strumentali, dove la voce è quasi assente. Dopo alcune burrasche emotive – forse anche qualche critica sulla pronuncia inglese dei primi album – il gruppo bolognese ha scelto di concentrarsi sulla sperimentazione del suono puro. Durante i concerti, Pasco volge spesso le spalle al pubblico, per mettere il focus sull’ascolto, sul rapimento ancestrale che il loro sound riesce a produrre. Chissà se e come continuerà questo rapporto epistolare con il suo mentore. Di certo, ci assicura, «avere una relazione con lui è come ricevere una carezza cosmica».

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