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Che cos’è stata Babylon per la musica e il servizio pubblico

Il racconto in prima persona di chi ha lavorato al programma di Radio 2, chiuso da qualche giorno: una notizia condivisa da migliaia di persone, segno che da qualche parte, là fuori, qualcosa si muove

A casa mia, quando ero ragazzina, c’era un solo televisore, che restava per lo più spento. In compenso c’era una radio in ogni stanza, perennemente accesa sulle reti di Rai Radio2. Posso dire con assoluta sincerità e grande affetto che quella è stata la mia prima finestra sul mondo, e probabilmente anche il motivo principale per cui crescendo mi sono messa in testa questa folle idea di campare raccontando di musica. Se oggi sono quella che sono e faccio quello che faccio devo dire grazie a programmi storici come Planet Rock, Weekendance, Suoni e Ultrasuoni, dISPENSER. Ma devo ringraziare soprattutto i miei genitori, che anziché sintonizzarsi su una qualsiasi delle radio commerciali che inondavano l’etere negli anni ’90 hanno sempre scelto convintamente il servizio pubblico.

Perché c’è musica e musica, e – non me ne vogliano i colleghi delle emittenti private – quella proposta dal servizio pubblico è in genere migliore. Non perché chi ci lavora è più appassionato o ne sa di più, sia chiaro, ma perché per definizione il servizio pubblico garantisce appositi spazi per l’eccellenza, la ricerca e l’approfondimento, anche in ambito musicale. Spazi in cui c’è totale libertà di scelta sulla playlist (cosa che attualmente accade in meno del 10% delle trasmissioni nazionali) e tempo e modo per accogliere ospiti, invitarli a suonare e a raccontarsi, a prescindere da quanto siano famosi e/o orecchiabili i loro brani. È così in tutta Europa. Da BBC Radio1 in Inghilterra a Pieci in Lettonia, da Radio Wave in Repubblica Ceca a Rete Tre in Svizzera: le trasmissioni musicali più all’avanguardia, le più visionarie, sono in onda nel circuito pubblico. In Italia, purtroppo, è una tradizione che negli anni si è andata perdendo, ormai restano solo pochi baluardi di questo glorioso passato. D’altronde, da che mondo è mondo è sempre complicato tenere alta l’attenzione della gente quando si parla di cultura: che si tratti di cinema, arte, letteratura, televisione, storytelling, giornalismo o di semplici canzonette, come in questo caso.

Dal 2010 a oggi ho avuto la fortuna di lavorare in una di queste trasmissioni: Babylon, che ogni sabato e domenica sera andava in onda su Rai Radio2, animata dalla voce di Carlo Pastore al microfono e da Gianluca Quagliano, Elisa Bee e me dietro il vetro. Una trasmissione che ha suonato per la prima volta in Italia Kendrick Lamar, Drake e Lorde, che si è fatta spiegare il dub da Paolo Baldini e l’EDM da Jillionaire dei Major Lazer, che ha ospitato il primo live radiofonico di Ghemon, Mecna, Rancore e Sfera Ebbasta, che ha spento un principio d’incendio dopo il cortocircuito di un synth vintage di Enrico Gabrielli, che ha raccontato le connessioni tra la musica jazz e il Wu-Tang Clan, che ha fatto innamorare Dan Auerbach degli studi Rai di Corso Sempione, che ha curato l’hangover di Mark Ronson, che non è riuscita a curare quello di Liam Gallagher e per prima ha dato il benvenuto a Lana Del Rey nel nostro paese. Una trasmissione in cui tutti, dal conduttore agli stagisti, prestavano le loro braccia rubate all’agricoltura per scaricare i furgoni delle band emergenti che non avevano un roadie, e a volte li accompagnavano perfino dal meccanico se si guastava. Una trasmissione che ha cercato di abbattere frontiere e barriere, di creare ponti, di unire gli opposti.

Ne parlo al passato perché è di pochi giorni fa la notizia che il programma è arrivato alla sua conclusione, dopo nove stagioni di onorata carriera: da settembre non sarà più in onda. Nulla di strano in questo perché, come chiunque faccia il nostro lavoro ben sa, nessun programma è eterno ed è nel normale corso delle cose che le trasmissioni aprano e poi chiudano. Per noi che ci abbiamo messo il cuore fin dal giorno zero, ovviamente, è difficile immaginare un orizzonte che vada oltre la settimana prossima, quando l’ultima puntata (quella di domenica 30 giugno) sarà ormai archiviata e consegnata alla storia. Ma è meraviglioso scoprire dalle reazioni di ascoltatori, addetti ai lavori, colleghi, musicisti, che a non immaginarci quell’orizzonte siamo in tanti. È un ottimo segnale: vuol dire che l’esigenza di bella musica c’è, è viva, lotta con noi, e che qualcuno là fuori raccoglierà il testimone di Babylon, ritagliandosi il proprio posto nel mondo. A chiunque seguirà le nostre orme auguro di poter restare in onda per 860 puntate con il sorriso sulle labbra e un suono divino nelle orecchie, come è capitato a me e a tutti noi. Grazie a chi ci ha permesso di farlo e a chi ci ha seguito fin qui: non bisognerebbe mai darlo per scontato.

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