Che cosa ce ne facciamo dei dischi degli attori che interpretano i grandi del rock? | Rolling Stone Italia
Bravissimi, ma…

Che cosa ce ne facciamo dei dischi degli attori che interpretano i grandi del rock?

Più sono bravi al cinema e più sono inutili su Spotify. Il caso di Jeremy Allen White, Bruce Springsteen e ‘Deliver Me from Nowhere’. Liberami dal nulla e dalle imitazioni

Che cosa ce ne facciamo dei dischi degli attori che interpretano i grandi del rock?

Jeremy Allen White in ‘Springsteen – Liberami dal nulla’

Foto: Macall Polay/20th Century Studios

C’è stato un periodo in cui a forza d’ascoltarlo su una cassettina cigolante sapevo quasi tutto Nebraska a memoria. Non il pezzo, ma i 40 minuti dell’album. Eppure se avessi sentito distrattamente la prima strofa di questa versione della title track avrei detto con grande sicurezza: è Bruce Springsteen, che capolavoro. E invece è Jeremy Allen White, dalla colonna sonora di Deliver Me from Nowhere che uscirà il 5 dicembre e che è stata anticipata da un EP pubblicato contemporaneamente al film-non-esattamente-di-successo di Scott Cooper. Ascoltando con maggiore attenzione la Nebraska dell’attore le differenze si colgono, è ovvio, e sono ancora più marcate in altri pezzi della colonna sonora, ma il grado di verosimiglianza di certi passaggi è notevole. È una questione di colore della voce, inflessioni, sfumature. Chi ha cantato, suonato e prodotto questi pezzi sapeva quel che faceva. Resta però una domanda: ce ne facciamo qualcosa dei dischi (dei dischi, non dei film) in cui gli attori ricalcano le canzoni che abbiamo ascoltato, amato, memorizzato?

Sta quasi diventando un filone discografico che va da Timothée Chalamet che fa Bob Dylan a Taron Egerton che nell’album di Rocketman canta quasi tutti i pezzi e finisce per duettare con Elton John in persona. La finzione passa dallo schermo allo stereo, ops, al telefono. È una categoria a parte rispetto a quella degli artisti immaginari come Daisy Jones and The Six o il Dewey Cox di John C. Reilly. L’inventiva qui è bandita, la regola è diventare una copia conforme a un modello.

Tornando a Springsteen – Liberami dal nulla, è curioso che la colonna sonora del film incentrato sul periodo di Nebraska si apra con una versione di Born in the U.S.A. in cui Jeremy Allen White è accompagnato da una finta E Street Band che ne replica il sound – per inciso, Roy Bittan dice che non è più possibile ricreare al 100% il suono dell’album perché non si possono replicare i settaggi del suo sintetizzatore Yamaha CS-80, «non si trattava di interruttori tradizionali a posizioni fisse, li spostavi e poi in bocca al lupo se li volevi riportare al punto in cui erano il giorno prima». Sempre dall’album del 1984 c’è una versione di I’m on Fire: si fatica a credere che la base non sia quella originale, anche se Allen White la interpreta con un sentimento più vicino al country. Il grosso del disco è comunque costituito dalle cover dei pezzi di Nebraska, sono sette e replicano le registrazioni effettuate da Springsteen su quel nastro entrato fortunosamente nella storia del rock.

La cosa attesa, ma comunque curiosa e buffa è che, non avendolo mai portato in tour, Springsteen ha voluto includere nel cofanetto Nebraska ’82 una versione registrata dal vivo di recente e senza pubblico di tutte canzoni dell’album. Bene, complici la produzione e la voce di Springsteen cambiata con gli anni, le versioni di Jeremy Allen White sono più vicine agli originali dell’82 rispetto a quelle del loro autore. Viviamo in un tempo in cui la copia è più simile all’originale dell’originale, in un’epoca di rievocazioni. Così come ci sono i reenactment delle battaglie della Guerra civile, ci sono i reenactment delle battaglie dei rocker. In ogni caso, fa sorridere il fatto che la Atlantic City risuonata oggi dal suo autore sia stata ascoltata su Spotify suppergiù lo stesso numero di volte di quella di Allen White uscita lo stesso giorno e che nessun pezzo di quel live di Springsteen raggiunga il numero di stream della “finta” I’m on Fire tratta dal film. È il meme dell’Uomo Ragno con Springsteen trentenne, Springsteen settantenne e Jeremy Allen White che imita lo Springsteen giovane.

Chi è interessato a certi dettagli sappia, se già non lo sa, che nelle scene del film in cui nel 1982 Springsteen si esibisce con i Cats on a Smooth Surface, ovvero la band di Bobby Bandiera che suonava allo Stone Pony, ci sono membri di Rival Sons e Greta Van Fleet, oltre a musicisti del giro di Nashville. «La sua capacità di interpretare Bruce Springsteen è magistrale», ha detto Jake Kiszka dell’attore. «È riuscito a trovare il giusto equilibrio tra cogliere l’essenza del personaggio e renderlo originale» (nelle scene con la E Street Band la parte del batterista Max Weinberg è interpretata da Brian Chase degli Yeah Yeah Yeahs). A mettere assieme la band è stato il produttore Dave Cobb, che in passato ha prodotto sia i Greta Van Fleet, sia i Rival Sons. I tre pezzi suonati da questa formazione sono cover di Lucille, Boom Boom e I Put a Spell on You e rappresentano lo strano finale da bar band di un disco che racconta la rabbia giovane e il lato oscuro di Springsteen, ma ai compilatori delle colonne sonore è concesso d’assemblare compilation e non dischi concettualmente coesi.

FULL Queen at LIVE AID Side By Side Comparison with Rami Malek (Bohemian Rhapsody 2018)

Non tutti i protagonisti dei biopic rock cantano nei film che interpretano. A volte si preferisce usare le tracce originali in playback, in altri casi gli attori mimano le canzoni principali e cantano dal vivo solo in momenti secondari del film, in altri casi ancora si sceglie un mix, vedi l’Elvis di Baz Luhrmann. Nel biopic rock di maggior successo di sempre il canto era di Freddie Mercury, non di Rami Malek. Al contrario, in A Complete Unknown è Chalamet che interpreta i pezzi di Dylan. «Cantare e suonare dal vivo è stato importante», ha detto l’attore. «Se sono in grado di farlo, perché metterci un elemento di artificio?». Nei primi casi c’è meno naturalezza, nei secondi si rischia l’effetto Tale e quale show, vedi la Amy di Marisa Abela, ma forse su Back to Black pesano anche la pochezza del film e le peculiarità di Winehouse.

Il dibattito su cosa sia meglio è aperto. C’è chi preferisce i film con le musiche originali e chi apprezza la naturalezza dei passaggi tra il parlato e il cantato degli attori. C’è chi vuole sentire Bohemian Rhapsody cantata come Freddie comanda e chi apprezza la possibilità che gli attori-diventati-cantanti hanno di sottolineare certe sfumature del testo e di integrare le canzoni al copione. Gli attori che si cimentano col canto acquisiscono prestigio e danno credibilità all’operazione, ma quando le loro interpretazioni finiscono su disco perdono di senso. Diventano souvenir, al limite possono evocare la lente interpretativa del film o alcune scene particolarmente significative, ma il più delle volte le si ascolta una volta per capire come sono e le si scorda subito, anche se su Spotify Chalamet ha suppergiù gli stessi ascoltatori mensili dei Violent Femmes e di J.J. Cale (sigh).

A Complete Unknown (2025) 4K - "The Times They Are A-Changin" Scene

In un bel momento di A Complete Unknown Chalamet/Dylan si esibisce a Newport, dove presenta The Times They Are A-Changin’. Il pubblico la impara istantaneamente e si unisce al canto. Edward Norton/Pete Seeger guarda ammirato il giovane folksinger, tutti sorridono e pendono dalle labbra di Dylan. Solo Elle Fanning/Sylvie Russo sente quelle parole come una condanna all’irrilevanza sentimentale. Gli altri sono sbalorditi e se hai a cuore la musica di Dylan di quel decennio, un po’ ti commuovi perché senti che sta succedendo qualcosa, che quella canzone ha una forza rivoluzionaria, che è un anatema scagliato contro le forze conservatrici della società in un’epoca in cui la musica popolare aveva ancora grande forza politica. Poi riascolti quella stessa versione su Spotify e senti un folksinger che imita Dylan.

Allo stesso modo, quando metti su Deliver Me from Nowhere dici «è bravo» e passi oltre. Non sono interpretazioni creative, non possono dirci granché su quel repertorio. L’estrema verosimiglianza non funziona mai nella musica, che è il motivo per cui un autore discreto vale più di una tribute band sensazionale. Chi vuol passare 40 minuti ad ascoltare un bravo imitatore di Springsteen? Vogliamo fantasia, punti di vista diversi, spostamenti di significato, storie che non conosciamo, l’inatteso. Più sono simili agli originali e meno sono interessanti, più sono bravi al cinema e più sono inutili su Spotify.