Brian Eno: «Non sarà una canzone sull’ambientalismo a far cambiare idea alle persone» | Rolling Stone Italia
Che coppia

Brian Eno: «Non sarà una canzone sull’ambientalismo a far cambiare idea alle persone»

Il non-musicista più influente dell’ultimo mezzo secolo sta per pubblicare due album con l’artista concettuale Beatie Wolfe. A legarli l’attivismo, la voglia di giocare con la musica e l’idea che «tutto ciò che è autoriferito non è divertente». L’intervista

Brian Eno: «Non sarà una canzone sull’ambientalismo a far cambiare idea alle persone»

Brian Eno e Beatie Wolfe

Foto: Cecily Eno

Non vogliono raccontare storie, ma sentimenti. Non vogliono avere obiettivi, ma rimanere nello spirito del gioco. Non vogliono nemmeno che si parli di chi ha suonato cosa nei loro due dischi assieme perché «le conversazioni sulla musica sono spesso noiose».

Da una parte c’è uno degli artisti più influenti degli ultimi 50 anni, ovvero Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno, dall’altra Beatie Wolfe, artista concettuale e compositrice anglo-americana. Li raggiungiamo via Zoom per un’intervista. Sarà che le conversazioni sulla musica sono spesso noiose, ma in realtà Brian e Beatie amano parlare del loro lavoro e la round table arriva ben presto a superare le due ore. L’occasione è la prossima pubblicazione – segnate sul calendario il 6 giugno – dei loro due album collaborativi: Luminal sarà un disco di canzoni, dream music, mentre Lateral sarà un disco ambient, space music. «Facciamo chiarezza: per space music non intendiamo musica dello spazio, ma musica orizzontale, legata a un paesaggio, a un orizzonte», spiega Eno, «e per dream music intendiamo uno paesaggio più psicologico, un paesaggio interiore».

Brian e Beatie sembrano due vecchi amici. O un padre e una figlia con un rapporto magnifico. Quando rispondono alle domande lo fanno a turni per poi riprendere il discorso dell’altro arricchendolo di un altro punto di vista. Scherzano molto, mangiano altrettanto. Si sono conosciuti tempo fa tramite una call su Zoom («io parlavo di NFC, near field communication technology, comunicazione a corto raggio, e Brian pensava parlassi di NFT, cosa che odia», racconta ridendo) e hanno indagato il proprio rapporto attraverso mostre ed eventi lavorando assieme a progetti per EarthPercent, l’organizzazione non profit di Eno che vuole essere un ponte tra musica e attivismo ambientale. Non avevano in programma di fare della musica assieme, ma una volta Beatie è andata a casa di Brian e hanno passato la giornata a giocare a Toad in the Hole. E come per i bambini, gioco chiama gioco, e così eccoli in studio a divertirsi con Playbox, un plug-in che genera suoni, e un ukulele scordato. «Posso assicurare che di quella sessione nulla è finito nel disco», racconta divertita Beatie.

Beatie Wolfe, Brian Eno - Suddenly (Official Music Video)

Il tema della loro collaborazione sembra risiedere proprio lì, nell’idea del gioco senza obblighi. Solo lunghe sessioni di composizioni e jam libere, nessuna necessità di farlo con l’obbligo di pubblicare dischi. «Ci sono delle volte che stiamo in studio per ore, a suonare assieme senza nessun obiettivo. E non penso sia tempo perso se alla fine non esce nulla», ribadisce Eno. «Noi partiamo dall’idea opposta. Come ci sentiamo oggi? Suoniamo i nostri strumenti e vediamo cosa esce fuori, senza regole o restrizioni. Star seduti a vedere qualcosa di nuovo che cresce è un’esperienza piacevole. Infatti stiamo continuando a far musica anche se stiamo pubblicando questi due album». Conferma Wolfe: «Era come se stessimo creando delle sensazioni, delle emozioni che volevamo provare. Non abbiamo seguito un percorso lineare. Anche le registrazioni non erano quantizzate, per dire. Penso che le crepe nell’arte siano il luogo in cui esiste l’umanità perché il problema con l’arte e la tecnologia è che spesso la tecnologia esclude completamente l’umanità».

Nonostante Eno sia un pioniere della tecnologia sonora, così come Wolfe una attenta esploratrice, non ne sono ciechi entusiasti. «Il mio background è la pittura, e nella pittura quando entri in differenti gallerie trovi differenti tecniche. Nella musica ci sono invece migliaia di software e plug-in pensati con l’intento di far suonare un disco esattamente nello stesso modo di un disco di qualcun altro». «È patetico», condivide Eno. «Io amo i plug-in, certo, ma mi diverto a usarli nella maniera opposta a come sono stati pensati. Nel mio ultimo libro What Art Does c’è una frase: i bambini imparano giocando, e gli adulti giocano attraverso l’arte. Penso che l’arte sia il luogo dove possiamo continuare a essere bambini. Se qualcosa è eccessivamente curato lo si percepisce. Il disordine è molto più comunicativo. Il casino ti dice: sono vivo. Qualcosa di troppo pulito dice: sono morto». Aggiunge Wolfe: «Tutto ciò che è autoriferito non è divertente. La cosa bella di suonare è potersi dimenticare di se stessi e non starsi a guardare. Bisogna abbandonarsi al flusso senza paura di sembrare stupidi o rendersi ridicoli. Questa è la parte divertente, è come quando si gioca di fantasia da bambini. È facile dimenticarsi di giocare».

È come se Eno e Wolfe volessero dissolversi nella loro stessa musica. Se è più facile percepirlo nell’ambient music di Lateral, lo si può comprendere anche nei brani più strutturati di Luminal dove lo sviluppo armonico è azzerato (proprio come in una composizione ambient) e la voce procede rimanendo dello stesso tono. «Non sono uno storyteller, non ho interesse a raccontare una storia. Non voglio una storia, ma uno spazio, uno spazio emozionale. Noi siamo interessati ai sentimenti piuttosto che alle storie», spiega Eno. «E questo è quello che ho sempre ricercato con la mia musica ambient. Voglio portare un sentimento, una sensazione nell’ambiente e vivermi quell’emozione. I pezzi di Luminal sono volutamente senza sviluppo. Il termine corretto sarebbe: anti-teleologico».

Wolfe lo prende in giro bonariamente per quest’uscita da professore e riprende il discorso soffermandosi in particolare sull’idea di creare una vocalità in un certo senso universale: «L’idea era di creare qualcosa che sembrasse fosse sempre esistito dove c’è una voce, ma non c’è l’ego o la personalità dell’artista. Anche per questo i miei testi sono pieni di ambiguità, perché la vita e il linguaggio sono pieni di ambiguità. Per me scrivere un testo è un’esplorazione, è il tentativo di descrivere uno spazio astratto, un sentimento irraggiungibile a parole». Conclude Eno: «Quando mi chiedono cosa voglio dire con un brano penso sempre sia una domanda sciocca. Non sto provando a dire qualcosa, sto provando a essere qualcosa».

L’idea di escludere la propria personalità dalla musica non è di fatto nuova nella discografia di Brian Eno, a partire dalla pietra miliare Ambient 1: Music for Airports. L’idea di registrarsi e ricampionarsi è parte del progetto artistico del maestro dell’ambient oramai da decenni. Anche in questo caso Eno e Wolfe hanno seguito un processo simile, finendo così per fondersi in modo naturale in entrambi i lavori: «Il lavoro di me e Brian è stato molto fluido, difficile definire chi ha fatto cosa. E non ci interessa nemmeno. Penso che molte delle conversazioni sulla musica siano noiose e tolgano una certa magia al tutto; e sono convinta che la musica sia magica, o almeno sia la cosa più vicina alla magia che abbiamo». Aggiunge Eno: «Molte delle conversioni sulla musica e sull’arte finiscono solo a bloccarti dal viverti appieno l’esperienza. Sono una forma di autodifesa. Ad esempio mettersi a parlare della strumentazione usata in un disco è autodifesa: ascoltare qualcosa o prendere in mano un’opera d’arte è un atto di resa perché ti porta al di là delle parole, ti porta in un’area in cui il linguaggio non ti aiuta e noi come umani siamo naturalmente spaventati da queste cose».

Per raccontare questi due lavori la coppia insiste sul concetto di sentimento più che di musica, composizioni, strumentazioni. Anche nel comunicato stampa; hanno preferito raccontare la propria musica con una serie di termini in lingue differenti dall’inglese che spiegano un determinato sentire, come il giapponese mono no aware (la consapevolezza della transitorietà della vita) o il tedesco torschlusspanik (l’ansia del tempo che sta per finire). Wolfe condivide così un aneddoto privato: «Mia madre insegnava training assertivo e ricordo una volta di essere scesa in soggiorno e averla trovata a spiegare a 15 adulti la differenza tra invidia e gelosia. Per questo era davvero brava, quando ero piccola, a farmi esprimere ciò che provavo. E io e Brian abbiamo parlato molto di sentimenti, del fatto che fare arte è creare emozioni. Il dizionario inglese dei sentimenti è fermo, oltre a essere piuttosto basico. Sapevamo però che c’erano altre parole per descrivere altri sentimenti in culture diverse dalla nostra. E visto che è il linguaggio a dar forma a come pensiamo noi stessi e il mondo, il fatto che ci siano così poche parole per parlare delle emozioni fa riflettere. È qualcosa che ci limita? È qualcosa che ci ferma dall’entrare in connessione con gli altri? Il linguaggio è spesso troppo binario».

«Nella scienza i sentimenti sono considerati difficili da quantificare, nominare, comparare. È difficile parlarne», si collega Eno. «Quindi vengono lasciati fuori. Ma questo è abbastanza naturale perché vogliamo che la scienza funzioni in un modo preciso. Ma se sei un artista, il tuo lavoro consiste nel far provare dei sentimenti alle persone. Questo è il tuo unico lavoro. Hai un solo compito ed è quello di far provare sentimenti alle persone. L’arte è offrire la possibilità di provare dei sentimenti. Ogni nostra azione deriva prima di tutto da un sentimento, così come tutte le scelte della nostra vita».

Eno e Wolfe sono, oltre che musicisti, due attivisti. La domanda è quindi di rito: può la musica ambient generare dei sentimenti che portano all’azione? Risponde Eno: «Spesso la gente mi chiede: perché non scrivi una canzone sull’ambientalismo? Ma non sono mai stato capace di farlo perché penso che non sia il modo per far cambiare idea alle persone. Penso che l’arte cambi il mondo in maniera differente. Se hai una fattoria e vuoi renderla produttiva è importante prendersi cura della terra. E il terreno dell’arte sono i sentimenti che condividiamo uno con l’altro. Se il terreno è fertile molte cose possono crescerci. Le persone che non hanno molto contatto con l’arte non vivono in un terreno fertile. Penso che l’arte cambi le cose molto lentamente cambiando il modo di pensare delle persone che la vivono. Quando la mente è irrigata, le idee scorrono diversamente». Annota Wolfe: «La musica è una delle poche esperienze che facciamo che attiva l’intero cervello. Quindi ti rispondo di sì, la musica può portare all’azione. E aggiungo che l’artista ha il vantaggio di poter dire ciò che vuole perché non deve rispondere a nessuno. O meglio, certi tipi di artisti fuori da certe logiche, come me e Brian, hanno questo tipo di libertà».

Brian Eno, Beatie Wolfe - Big Empty Country (Edit / Visualizer)

Ma proprio perché persone e attivisti, prima ancora che musicisti, fare musica in questo determinato periodo storico ha sicuramente un’altra valenza. Quanto le vicissitudini sociali e geopolitiche possono influenzare la composizione? Per Wolfe fare musica è come stare «in un bozzolo che però subisce le influenze di ciò che accade fuori», mentre per il compositore la risposta parte dalle parole di un suo caro amico e collega, ora scomparso, Jon Hassell: «Hassell diceva che la domanda più importante da farsi è: cos’è che mi piace davvero? Sembra una domanda frivola, di primo acchito, ma dobbiamo ricordarci che siamo in un mondo che ci ripete 10 mila volte come ci vorrebbe, cosa dovrebbe piacere, quali dovrebbero essere le nostre idee politiche, chi dovrebbe piacerti. Quando fai arte stai invece scoprendo cosa ti piace davvero, cosa davvero è importante per te. È una forma di terapia, o qualcosa di ancora più grande. È un modo per mettersi in contatto con i propri sentimenti e sapere come stanno. Facendo arte ho scoperto che voglio un mondo più lento e più silenzioso di quello che c’è adesso. Che voglio un mondo dove i bambini non vengono quotidianamente bombardati dagli aerei israeliani. L’arte è un luogo dove puoi capire i tuoi sentimenti, per questo è una delle attività più importanti che gli uomini possano fare».

Un mondo più lento, una ricerca che sembra raccontare l’intera carriera di Brian Eno dopo i Roxy Music. Non è un caso infatti che il compositore inserisca il controllo del tempo come una delle due più grandi innovazioni accadute nella musica: «Ci sono state due grandi innovazioni musicali negli ultimi centinaia d’anni. La prima è legata al suono in sé. Con l’elettronica possiamo riempire tutti quegli spazi tra il range sonoro dei singoli strumenti che non erano stati esplorati. Prima c’era il suono del pianoforte, il suono del clarinetto. Ma niente in mezzo. I sintetizzatori ci hanno portato invece in quei territori di mezzo. La seconda grande innovazione è il controllo del tempo. Ora il tempo non è più solo il tempo di ciò che viene suonato. Possiamo plasmarlo. Molto di ciò che abbiamo fatto in questi dischi è stato ricampionare delle cose che avevamo registrato, rallentandole. Ho sempre voluto fare cose che non avessero fine. Molti miei brani non hanno né inizio né fine, è come se stessero lì. Mi piace quando le cose si muovono piano, quando non succede molto. Il tempo oramai non è più fisso».

Una decisa risposta sonora alla continua richiesta di velocità di questa società, costruita su un sistema economico dove «i soldi stanno nella velocità», nel consumo continuo. E per un attivista come Eno, rallentare diventa di per sé politico. Così come prendersi la briga di scrivere una lettera aperta alla Microsoft, società con cui ha collaborato per oltre 30 anni, per denunciare il supporto tecnologico a Israele. Ma Microsoft ha mai risposto al suo più illustre impiegato? «Non ho ricevuto risposta da Microsoft ma di tutte le lettere di denuncia che ho scritto questa è quella che ha avuto la maggiore risonanza. È una lettera che arriva nel momento giusto, visto come Musk e Zuckerberg si sono venduti a Trump. Ho lavorato con Microsoft per 30 anni e mi sono sempre trovato bene con chi ci lavorava. Ma è tutto cambiato quando ho scoperto che sviluppano software per tracciare quelli che vengono chiamati terroristi per bombardargli l’abitazione e la famiglia. Non penso ci siano cose più disgustose. A Microsoft ci lavorano persone normali e noi siamo a conoscenza di queste cose orrende fatte dall’azienda perché qualcuno tra queste persone ha deciso di mostrare cosa stava facendo Microsoft. Probabilmente queste persone verranno o sono state licenziate, e avrebbero bisogno del nostro aiuto. Questo genere di informatori sono delle persone chiave al momento».

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