Rolling Stone Italia

Bar Italia, incredibilmente cool

L’intervista da leggere prima del 17 ottobre, quando uscirà ‘Some Like It Hot’ e ne parleranno tutti

Foto: Rankin

Seduti attorno al tavolo d’un bel ristorante a Manhattan, i Bar Italia cercano di trovare almeno una cosa su cui essere d’accordo. Jezmi Tarik Fehmi, uno dei due cantanti-chitarristi del trio londinese, propone una definizione del loro sound: «Tipo tre persone che discutono fra di loro». Al cantante-chitarrista Sam Fenton la definizione sta bene, alla cantante Nina Cristante no. «Suona bene, ma non è mica vero», dice.
«Litighiamo molto», dice Fehmi.
«E anche no», ribatte Cristante. «Conosco un sacco di band e noi litighiamo molto meno rispetto a loro».
Fehmi si mostra incredulo: «Ma se stai dicendo “non stiamo litigando” mentre stiamo litigando!».

Questo tira e molla, questo continuo darsi e togliersi la parola, questa energia caotica è parte fondamentale di ciò che ha reso i Bar Italia una delle rock band britanniche più eccitanti degli ultimi anni. Su disco, ognuno dei tre ha una presenza vocale riconoscibile: Fenton canta con un piglio ironico, Fehmi urla le sue emozioni, Cristante è cool oltre ogni immaginazione. Ai loro concerti (saranno il 22 ottobre 2025 alla Santeria dei Milano e torneranno in Italia a marzo 2026, il 5 a Torin, il 6 a Roma, il 7 a Bologna, ndr) non sai mai chi prenderà il microfono per la strofa successiva o se sotto sotto è incazzato con chi ha cantato la precedente.

«Non siamo necessariamente complementari tra di noi», dice Fehmi. «Ci stiamo sui nervi spesso, ma con amore e cura reciproca».
«Non so se sono interessanti le band fatte di persone che non hanno problemi fra di loro, le band in cui viene è facile», aggiunge Fenton. «Il lato positivo è che quando ci lasciamo andare e ci divertiamo assieme, lo facciamo di brutto».

I tre sono a New York per parlare del loro fantastico nuovo album Some Like It Hot, che uscirà il 17 ottobre per la Matador (il fatto che il titolo sia quello di un classico di Hollywood su tre personaggi coinvolti in un’avventura comica, A qualcuno piace caldo, forse non è del tutto accidentale). «New York è il mio posto preferito al mondo», dice Fehmi. «È come Londra, ma più eccitante».

Quando nel gennaio 2024 si sono ritrovati per lavorare al disco ai Pony Studios di Londra erano reduci da un anno di tour dal ritmo serrato per promuovere i primi due album per Matador, Tracey Denim e The Twits. «Eravamo distrutti, ma avevamo anche una voglia disperata di far musica nuova», racconta Fenton.
«Eravamo stanchissimi», ricorda Fehmi. «Era appena dopo Natale. A Londra faceva freddo, era triste. Eravamo in burnout, completamente».
«Era triste Londra?», chiede Cristante ad alta voce. «Non ricordo».

Hanno formato la band qualche anno prima, quando Cristante, un’italiana espatriata, ha incrociato Fehmi e Fenton nello stabile dove abitavano tutti e tre. Hanno avuto esperienze in qualche band prima dei Bar Italia e nel fare musica si sono affidati all’istinto. Di solito non c’era nessun altro nella stanza con loro. Con poche eccezioni, tutto ciò che hanno pubblicato prima di quest’anno è stato scritto, registrato e prodotto dai tre da soli, lasciando che la loro alchimia unica producesse un hook indimenticabile dopo l’altro tra il post punk, il Brit pop, lo shoegaze, la psichedelia.

«Nei dischi precedenti la cosa importante era stare asssieme», dice Fehmi. «La musica era incidentale».
«Divertirsi era la priorità», aggiunge Fenton.
«Guardavi un film, fumavi qualcosa, qualunque cosa», dice Cristante. «Ma in fine dei conti, abbiamo fatto un sacco di roba in un periodo piuttosto breve».

Man mano che si facevano un seguito online, la gente iniziava a notare quanto poco di sé i Bar Italia condividessero col mondo. Quando hanno firmato con l’etichetta Matador all’inizio del 2023 non c’erano interviste facilmente reperibili con la band e persino pochissime foto di chi aveva creato quelle canzoni incredibilmente orecchiabili e affascinanti. Voci e speculazioni correvano incontrollate. «La gente non sapeva nemmeno che facce abbiamo», dice Cristante. «Si è creata questa specie di folle aspettativa del tipo: quando suoneranno dal vivo? Chi ci sarà sul palco?».

Quell’estate hanno fatto cinque concerti nei club di New York, tutti sold out, seguiti da altri cinque a Los Angeles, e poi ancora altri show. Non tutte i casi sensazionali nati online poi restano tali nella vita reale, ma questo sì, con locali con la gente stipata e sudata che ballava in modo sfrenato quasi tutte le sere. «Guardavo la gente ed ero sbalordito», ricorda Fehmi. «Non ero mai stato in America prima».

«È stato incredibile e travolgente», dice Fenton, «ma se non te l’aspetti, rischi facilmente di perderci la testa. Le cose rischiano di farsi un po’ strane, dopo».

Quando l’anno scorso si sono ritrovati in pieno inverno a Londra hanno cercato di trovare un modo di lavorare più organizzato e per dar forma alle session hanno coinvolto Liam Toon, il batterista che si erano portati in tour, e un vero tecnico del suono. Uno degli obiettivi era catturare la velocità e l’imprevedibilità dei concerti. I singoli irresistibili Cowbella e Fundraiser sono nati nella prima settimana. «Tutti i pezzi che mi piacevano erano in media di almeno cinque o dieci bpm più veloci rispetto a quelli che facevamo prima», dice Fenton. «Sapevo che era qualcosa di nuovo. Ero curioso di vedere in quale direzione saremmo andati».

Le session sono continuate più avanti nell’anno ai Panoram Studios di Città del Messico, uno spazio pieno di luce dove hanno continuato a perfezionare il sound restando fedeli alle eccentricità che li distinguono da tutte le altre band indie. A fine anno si sono ritrovati per le mani un disco che mette in mostra una versione più compatta, più levigata, più pop della band.

O forse no? La teoria scatena un altro dibattito. «Magari è solo la mia opinione, ma onestamente pensavo che anche prima stessimo cercando di fare canzoni pop, solo che non ci riuscivamo», dice Cristante. «Io cerco sempre di scrivere una buona canzone pop orecchiabile».
«Non è che abbiamo tutti quella stessa sensibilità», ribatte Fehmi. «E non penso nemmeno che abbiamo fallito, peraltro».
«No, no. Sto solo dicendo che c’è una sorta di goffaggine in alcune delle nostre prime canzoni, che adoro», risponde lei. «Ma l’idea di cercare di replicarla ora sarebbe semplicemente folle. Per esempio, la gente mi chiedeva perché non entrassi sull’uno. Io manco sapevo cosa fosse l’uno!».
«Tanto non siamo mai d’accordo su cos’è l’uno», dice Fenton.

Nell’attesa che esca Some Like It Hot, i tre sono pronti a tutto. «Per qualcuno sarà la cosa peggiore che abbiamo fatto, per qualcun altro sarà la migliore», dice Fehmi. «L’altro giorno mi sono fermato a pensarci e mi sono spaventato, ma sono orgoglioso di non aver fatto un disco che metterà d’accordo tutti».

Da Rolling Stone US.

Iscriviti
Exit mobile version