Roger Waters che ti urla di resistere al fascismo: la recensione di ‘This Is Not a Drill: Live from Prague’ | Rolling Stone Italia
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Andare al cinema per vedere Roger Waters che ti urla di resistere al fascismo

Abbiamo visto ‘This Is Not a Drill: Live from Prague’, il film-concerto politico e spettacolare che sarà dal 23 al 30 luglio nelle sale italiane. È il passato che torna per parlarci del presente in modo intenso e controverso

Andare al cinema per vedere Roger Waters che ti urla di resistere al fascismo

Roger Waters

Foto press

S’infervora a tal punto mentre introduce Two Suns in the Sunset che finisce per alzare la voce. Si rimprovera da sé, deve abbassare i toni, lo sa pure lui. E in fondo il film-concerto di Roger Waters costruito montando le due esibizioni a Praga del tour This Is Not a Drill è questa cosa qua: due ore e mezzo di toni spudoratamente alti. Una grande struttura a croce che incombe sui musicisti e che bombarda il pubblico d’immagini e scritte, dieci fra strumentisti e cantanti sul palco, 25 canzoni servono per dire che l’indifferenza fa schifo e che dobbiamo praticare l’empatia. Che quei puntini lì che vengono annientati a Baghdad dall’equipaggio di un elicottero americano erano persone con una storia, una vita, una faccia. Waters te le fa vedere, le facce delle vittime. Ignorarle è ancora più difficile se sotto ci sono le musiche magnifiche dei Pink Floyd.

Erano giorni, quelli di Praga e del maggio 2023, in cui la musica di Waters era parte del dibattito pubblico ed era in risonanza con la contemporaneità, nel bene e nel male. Lui era aspramente criticato perché antisemita, accusa che ha sempre respinto con forza, e perché portava in scena il personaggio di Pink, la rockstar talmente invasata e imballata di droghe e farmaci da perdersi in un delirio nazistoide, lui capo supremo, i fan sudditi. Non era certo apologia di nazismo, era una metafora del rapporto tra rockstar e pubblico e semmai una presa di posizione anti-fascista.

È seguita una disputa legale, alcuni municipi tedeschi e polacchi si sono messi di mezzo, due concerti sono stati cancellati e quando s’è esibito alla Festhalle di Francoforte, tristemente nota anche per la Notte dei cristalli, Waters non ha indossato l’uniforme simil-SS. Per alcune settimane quello che accadeva dentro le sale da concerto debordava fuori. Contestazioni, proclami, bandiere d’Israele, preghiere, un’invasione di palco. Sono stati giorni strani e per certi versi esaltanti perché hanno dimostrato la rilevanza di una musica che si considerava ormai irrilevante. Era il passato che tornava per parlarci del presente in modo intenso e controverso.

Nel concerto e nel film, che è stato montato mettendo assieme due date del «primo tour d’addio» del musicista a Praga del 24 e del 25 maggio 2023 (la seconda delle quali era stata trasmessa in diretta nei cinema), fa leva anche sulla memoria e se volete sulla nostalgia e forse anche sull’idea che avendo l’uomo 81 anni (82 a settembre) le chance che faccia un grande «secondo tour d’addio» diminuiscono ogni mese che passa. A un certo punto Waters la mette sul personale e si racconta attraverso le scritte che appaiono sullo schermo. Ricorda ad esempio quand’è andato a vedere i Rolling Stones con Syd Barrett e sul treno che li riportava a casa i due hanno deciso di fondare una band. O quando nel 1968 Barrett all’incrocio di Hollywood and Vine, a Los Angeles, gli ha detto «è bello qui a Las Vegas», segno d’una mente che stava deragliando. Racconta pure il proprio esaurimento nervoso, quando il matrimonio con Judith Trim stava andando a puttane. Poco prima del finale, nella seconda parte di The Bar, accenna al fratello maggiore John morto nel 2022 e alla moglie Kamila Chavis, la sua “sad eyed lady”, per rubare le parole a Dylan.

Roger Waters "Wish You Were Here" – dal film concerto This Is Not A Drill: Live from Prague

E però This Is Not a Drill non è un concerto o un film per chi vagheggia vecchi trionfi di un tempo irripetibile o piange quando sente la centesima versione di Wish You Were Here. Il meglio lo dà nei momenti crudi e politici, quelli in cui il musicista ti sbatte in faccia le sue verità. Mi rendo conto che non tutti vogliono andare al cinema per vedere Roger Waters che ti urla di resistere al fascismo e che a vedere il film (nelle sale italiane dal 23 al 30 luglio, dal 1° agosto il live e DVD) andranno solo gli appassionati, che immagino apprezzeranno soprattutto le performance fortissime da Animals, l’esecuzione di tutta la seconda facciata di The Dark Side of the Moon, certi spezzoni di The Wall (solo a me Waters sembra in playback all’inizio di In the Flesh?). Ma anche loro dovranno arrendersi al carattere politico della faccenda giacché quelle stesse canzoni cambiano lievemente significato quando vengono accompagnate dal bombardamento visivo che completa concettualmente la musica ed è questo il punto chiave del film.

Musiche entrate nella storia rafforzano il messaggio e a sua volta il messaggio potenzia le canzoni minori come The Powers That Be sugli «oligarchi del cazzo» a cui non dobbiamo cedere potere. “Resist” è una della parole chiave dello show. “È questa la vita che desideriamo?” chiede Waters mentre scorrono simboli del lusso e un titolo di giornale ci informa che durante la pandemia il patrimonio dei miliardari è cresciuto del 27%. Che non c’è riscatto o consolazione, o almeno che è difficile trovarli, lo si capisce fin dall’inizio, quando a Comfortably Numb viene sottratto l’assolo glorioso di David Gilmour e viene affidato alle coriste il canto “Hear me when I call”, una richiesta di compartecipazione alle sofferenze altrui. Sono sei minuti in cui il tempo si ferma e Waters manco è in scena.

«Resisti al capitalismo», dice un messaggio che appare durante Sheep, «resisti al fascismo, resisti alla guerra, resisti al genocidio» (era il maggio del 2023, potrei sbagliarmi ma la scritta è comparsa nei concerti successivi ai massacri del 7 ottobre e alla reazione di Israele). «Se non resistiamo al genocidio», recita un raccordo con la sezione dedicata a The Wall, «la battaglia esistenziale per l’anima umana sarà perduta». Waters reintegra in Déjà Vu la parte su Gerusalemme che era presente in una prima versione della canzone (“il tempio è in rovina, i banchieri ingrassano”) e la canta con la kefiah al collo. Si prende un minuto per rispondere a un articolo del Jerusalem Post in cui si criticava l’accostamento durante The Powers That Be di Anna Frank, morta nel 1945 nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, e Shireen Abu Akleh, la giornalista uccisa nel 2022 dalle forze armate israeliane. «Sono entrambe mie sorelle, entrambe sono state uccise dallo Stato e come tutte le vittime della violenza di Stato devono essere ricordate».

Roger Waters 'Is This The Life We Really Want?' | This Is Not A Drill: Live from Prague - The Movie

Niente interviste, niente commenti, niente dietro le quinte, a parte poche riprese nel backstage e durante le prove inserite dopo la fine dello show. Diretto dal musicista con Sean Evans, This Is Not a Drill: Roger Waters Live from Prague non offre altro, è il concerto che abbiamo visto a Milano e Bologna un paio di mesi prima, ma offre lo sguardo d’insieme che per via della conformazione del palco e della disposizione dei musicisti nessuno dei presenti poteva avere, oltre a rendere ogni cosa più vivida grazie alla cura del suono e dell’immagine. C’è tutto, manca forse solo «il senso dell’umorismo che interferisce con la mia vita», come dice Waters nei titoli di coda. Lo si è appena sentito dire a Joey Waronker che «so distinguere un musicista da un batterista».

Una scritta prima del film avverte che hanno cercato di cancellare Waters, ma che ha resistito e che continuerà a farlo. Il film è dedicato «ai fratelli e sorelle di tutto il mondo che sono impegnati nella battaglia esistenziale per l’anima dell’umanità». E insomma, è sì musica, ma non è solo musica. In un’epoca in cui i concerti stanno diventando celebrazioni tronfie di chi sta sul palco, feste di bella gente di successo che chiede al pubblico di compartecipare alla gioia per i risultati ottenuti, Roger Waters ha ricontestualizzato le sue canzoni per raccontare una storia collettiva che, ci piaccia o meno, ci riguarda. Gli altri blandiscono il pubblico, lui indossa una divisa da leader fascista e lo mitraglia. Chi controlla la narrazione detiene il potere, dice, bisogna sapere distinguere i veri nemici da quelli che propagandano come tali. E così mentre Jonathan Wilson si chiede intonando Us and Them “chi sa quale è quale e chi è chi”, Waters senza microfono urla al pubblico, glielo si legge sulle labbra, che «io lo so, cazzo».

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