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Adele e la fine dei vent’anni

Il nuovo album ‘30’ non è solo il racconto di un divorzio, ma uno specchio in cui la cantante riflette i suoi dubbi e traumi. Un disco potente e sincero

Foto: Simon Emmett

Dici “nuovo disco di Adele” e ti vengono già i lacrimoni. Basta pensarlo, non serve neanche ascoltare le canzoni. Mica è colpa nostra se ci ha abituato così: video in bianco e nero, arrangiamenti al pianoforte, ma anche viaggi in macchina – stavolta nostri – in cui sfoderiamo drammatici playback.

Un immaginario semplice ma fortissimo, costruito disco su disco, numero su numero. Una tombola dei cuori spezzati. 19, 21, 25 e ora 30: le fasi della vita di una giovane donna messe in musica, e solo in musica. Perché, tra un disco e l’altro, di Adele si perdono le tracce. Utilizzo sporadico di social media, niente stories, ma soprattutto nessuna paura di sparire. Si torna quando si è pronti, e lo si fa nella maniera in cui lo si sa fare: con le canzoni.

Che lusso incredibile poterlo fare in quest’epoca storica in cui funziona esattamente al contrario. Bisogna poterselo permettere. Bisogna essere bravissimi e un sacco di altre cose, e a volte non basta manco quello.

Il nuovo super atteso 30, manco a dirlo, punta a diventare un classico, e lo fa raccontando il divorzio di Adele. O come dice lei: Divorce, baby. La fine di un amore, i problemi che sorgono in una famiglia che si spezza, il rapporto con il figlio. I trent’anni, per Adele, sono iniziati così (dovessi farlo io un disco, i topic sarebbero: la caldaia, la reunion di Harry Potter, il mutuo. Ma andiamo avanti).

Com’è questo disco? Lo abbiamo ascoltato in anteprima, purtroppo solo una volta e senza testi alla mano (roba che devi essere un mezzo fenomeno per poterne scrivere). Si parte in maniera insolita con Strangers by Nature, che sembra una canzone tratta dalla colonna sonora di Maleficent, tra sussurri e archi. Si passa a Easy on Me, che conosciamo bene. Si arriva a My Little Love, in cui canta al figlio «Mama’s got a lot to learn», tra cori e arrangiamenti un po’ 70s. E in quella frase c’è un po’ il senso dell’album, che altro non è che l’analisi delle fasi post divorzio, l’accettazione del fatto che la vita va rimessa insieme. Una storia difficile, sofferta, in cui però non si cerca un cattivo.

Adele si interroga, si mette in discussione, ci regala il suo trauma. Senza, però, cercare colpevoli. «Quando mi sveglio ho paura all’idea di affrontare la giornata / Preferirei stare a casa da sola / Berci su». O anche: «Ho creato questa tempesta / È giusto che io debba sedermi sotto la sua pioggia», canta in Cry Your Heart Out, tra arrangiamenti reggae che ricordano un po’ gli albori della sua carriera, quando Amy Winehouse era al top della classifiche e Adele forse sognava di diventare come lei.

C’è l’Adele che conosciamo, come quella di I Drink Wine, in cui dice «When I was a child every single thing could blow my mind / Soaking it all up for fun but now I only soak up wine». Dove l’abbiamo sentita questa? Ah, sì, siamo noi.

Tra i collaboratori, i già rodatissimi Greg Kurstin e Ludwig Göransson, Tobias Jesso, Max Martin e Shellback. Ma anche il produttore londinese Inflo, all’opera con la chitarra acustica di Woman Like Me ma pure su Hold On, dal vago sapore anni ’90. I fan ameranno To Be Loved, in cui tutta la sua incredibile voce viene fuori accompagnata solo da un pianoforte: «Che si sappia che ho pianto per te».

Non sappiamo dire se in 30 ci siano molte delle hit che hanno reso Adele quella che è. Ci vogliono più ascolti, più tempo. Quello a cui sembra di trovarsi davanti è però il racconto di una donna che ha messo il suo cuore sul piatto. Cercando, a tratti, di uscire un po’ da quello che è il suo territorio sicuro, e provando a fare anche qualcosa di nuovo con grandi cori e arrangiamenti soul. La cosa che traspare più da questo disco, al momento, è la sincerità. La stessa che poi Adele sembra mettere nelle sue – poche – interviste, in cui viene fuori il suo essere davvero super british (nell’umorismo, oltre che nell’accento). Se recita una parte lo fa meglio di altre colleghe, se non lo fa invece è tutto giusto. Ah, e manco a farlo apposta l’ultima traccia del disco si chiama Love Is a Game. Losing, come diceva qualcuno.

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