'A Love Supreme' e i demoni di John Coltrane | Rolling Stone Italia
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‘A Love Supreme’ e i demoni di John Coltrane

L'omaggio di Rolling Stone al più grande sassofonista di tutti i tempi. Per ricordarlo abbiamo riascoltato il suo disco più memorabile

‘A Love Supreme’ e i demoni di John Coltrane

«Ma che diavolo sta suonando?», disse Miles Davis ascoltando una delle improvvisazioni che John Coltrane suonava sul palco dell’Half Note. Siamo nel pieno degli anni ’60, e il sassofonista era resident artist del club di Hudson Street. «Sembrava di stare in chiesa», ricorderà anni dopo Archie Shepp – musicista free e suo storico collaboratore – di quelle serate newyorkesi. A un certo punto, ha detto Dave Liebman, «la gente ha rivolto le mani verso il soffitto. Si sono alzati tutti in piedi, erano rapiti».

È l’epoca di A Love Supreme, l’album che ha cambiato la storia del jazz: alcuni, addirittura, dicono che dopo la sua uscita il genere non si sia più ripreso. Scrivere di questo disco è difficilissimo, perché nei 32 minuti di questa suite (A Love Supreme è un concept ante litteram) c’è davvero tutto. C’è la musica, allo stesso tempo conclusione del periodo modale e prologo di quello sperimentale, c’è il testo, rappresentato dalla poesia-salmo che dà­ titolo al disco e che il sassofonista ha inserito nel libretto, e c’è la rivelazione religiosa. Tra il ’55 e il ’57, infatti, mentre suonava con il quintetto di Miles Davis, Coltrane sprofonda nella dipendenza da eroina che riuscirà a superare solo dopo un lungo periodo di solitudine nella sua casa di Philadelphia.

“Nel 1957 sperimentai, per grazia di Dio, un risveglio spirituale che doveva condurmi a una vita più ricca, più piena. All’epoca, per gratitudine, chiesi umilmente di avere il privilegio di rendere felici gli altri con la musica. Mi sembra che mi sia stato accordato, rendo grazie a Dio”, si legge nelle note d’accompagnamento.

Nell’album convivono talmente tante storie che è impossibile parlarne senza avere l’impressione di aver tralasciato qualcosa di importante. I quattro movimenti di A Love Supreme sono misteriosi e sfuggenti, eppure questo è stato per anni il disco jazz più venduto di tutti i tempi. E neanche di poco: se un “normale” LP di Coltrane vendeva grossomodo 30.000 copie, A Love Supreme viaggiava (nel 1970) sulle 500.000.

È un disco di spunti infiniti, non importa da quale prospettiva si decida di guardarlo. Per il sassofonista era una dichiarazione d’amore rivolta verso il cielo, per i giovani musicisti dell’epoca il manifesto espressivo totale. Anzi, non solo per i musicisti: il capolavoro di Coltrane ha influenzato artisti di tutti i tipi, tanto che persino Jean-Michel Basquiat ha voluto dedicargli una sua opera. All’incisione – avvenuta a dicembre ’64 negli studi Van Gelder, nel New Jersey – e alla pubblicazione si sono affiancati alcuni eventi decisivi della storia della comunità afroamericana: l’album è uscito poco dopo l’omicidio di Malcolm X e, durante il secondo giorno di registrazioni, Marthin Luther King ritirava il Premio Nobel a Oslo.

Coltrane non era tipo da tirarsi indietro di fronte a storie del genere: nel ’63 aveva firmato Alabama, una composizione scritta in memoria delle quattro giovani uccise a Birmingham, e due anni dopo si è esibito durante il New Black Music Concert organizzato da LeRoi Jones. Il suo A Love Supreme è una dichiarazione di libertà totale, anche religiosa e musicale, e un ascolto fondamentale per chiunque voglia avvicinarsi al mondo del jazz. Il particolare momento storico fece sì che Coltrane ne curasse ogni singolo aspetto: dalla grafica (rigorosamente minimal, in bianco e nero) fino alle note di accompagnamento, tutto è passato sotto lo sguardo del sassofonista e di sua moglie Alice.

L’album è diviso, come abbiamo detto, in quattro sezioni – Aknowledgement, Resolution, Pursuance e Psalm -, tutte costruite sulla base di frasi molto semplici, sulle quali vengono innestate le jam vertiginose del sassofonista e dei musicisti del quartetto, vere e proprie cattedrali di suoni enfatici, quasi violenti. Accompagnato da Jimmy Garrison (contrabbasso), Elvin Jones (batteria) e McCoy Tyner (pianoforte), Coltrane disegna un viaggio mistico che culmina nel finale, dove il suo sax tenore si sdoppia in quella che per molti è l’improvvisazione definitiva. Con questo album ha dimostrato di sapersi orientare in qualsiasi paesaggio armonico: riusciva a improvvisare basandosi sui modi delle scale e non sugli accordi, a rileggere il blues in senso orizzontale, faceva diventare il suo strumento una percussione o una voce, sperimentando con le scale esatonali e con la composizione per quarte.

A Love Supreme è uscito a febbraio 1965. Il disco ha attraversato l’esplosione del free jazz, la lotta alla dipendenza dall’eroina e la folgorazione religiosa. «Ma quale religione?», gli chiese all’epoca un giornalista. «Tutte. Io credo in tutte le religioni», rispondeva Coltrane, che, sempre nelle note di accompagnamento, dichiarava: “Questo è il mio modo per dire GRAZIE DIO”.

I due anni successivi saranno gli ultimi della sua vita: prima le fughe atonali di Ascension e la difesa delle sperimentazioni di Ornette Coleman, poi l’isolamento, la grande fatica Meditations e gli esperimenti extra-jazz di Om, album ascetico e cacofonico, con influenze africane, un trionfo free-form registrato seguendo una rigida dieta a base di pane e LSD.

Poi il trionfale tour in Giappone: il pubblico lo aspettava all’aeroporto con festoni e cartelli celebrativi, lui ricambiava con concerti lunghissimi e sfiancanti. Purtroppo, però, l’eroina cominciava a chiedere il conto: nelle foto dell’epoca Coltrane appare ingrassato e con una mano spesso poggiata sul fegato. Era sempre più stanco e il dolore delle continue fitte addominali non passava più: non amava farsi vedere sofferente e rifiutava tutte le cure. Il suo ultimo concerto è stato al Centro di Cultura Africana di Harlem, un progetto finanziato dallo stesso Coltrane che, nonostante le precarie condizioni fisiche, regalerà una performance affaticata ma memorabile, l’unica volta in tutta la sua carriera in cui ha suonato seduto.

Sarà proprio un tumore al fegato a toglierli la vita, il 17 luglio 1967. Oggi, a San Francisco, nella chiesa ortodossa di St.John Will-I-Am Coltrane, è venerato come un santo. A Love Supreme, il suo capolavoro, è il testo sacro su cui si basano tutte le funzioni religiose.

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