30 anni dopo James Holden è finalmente arrivato al suo primo rave | Rolling Stone Italia
RAVE IS THE ANSWER

30 anni dopo James Holden è finalmente arrivato al suo primo rave

Tra ricordi di adolescenza, nomadismo hippie e cultura bohémien, il quarto album del dj e produttore britannico è una colonna sonora-tributo ai rave persi da ragazzino (e anche a Franco Battiato)

30 anni dopo James Holden è finalmente arrivato al suo primo rave

James Holden

Foto: Laura Lewis

«Quando era abbastanza grande per frequentare i rave, il Criminal Justice Act del 1994 aveva già da tempo messo un freno al circuito delle feste “libere” in Regno Unito», si legge nella cartella stampa di Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities, quarto album in studio dell’artista e dj britannico James Holden.

Holden era infatti appena quindicenne quando il Criminal Justice Act, la legge voluta dal governo inglese tesa a proibire i grandi party non autorizzati, entrò in vigore. Ora, a 44 anni e con quasi 25 di carriera sulle spalle, il produttore originario di Exeter ha finalmente trovato un suo modo personale e immaginifico di rivivere quel momento storico. O, meglio ancora, di dare un suono ai fantasmi di quel suo passato mai realizzato.

Holden non ha propriamente il pedigree del raver: studia matematica ad Oxford, ma sarà l’estro dell’improvvisazione, più che quello del cinico calcolo, a giocare un ruolo cruciale nel suo linguaggio musicale. Al debutto con Horizons, nel 1999, è già un protetto di leggende del djing inglese come Pete Tong e John Digweed, e la sua Border Community, nata pochi anni dopo, diventa nel giro di pochissimo etichetta culto per quella frangia di accaniti fan della techno più sofisticata ed estimatori dell’avanguardia post-club. In quegli anni Holden è più che mai eclettico, remixa artisti come Madonna, Britney Spears, Depeche Mode, New Order, per poi darsi alla frenesia dei synth modulari e studiare la musica Gnawa del Marocco durante lunghi viaggi in Africa. Arriverà fino a progettare un computer per comporre. Tutto questo perché, come confermato da numerose interviste rilasciate nel corso degli ultimi anni, odia annoiarsi. E ascoltando il suo nuovo album, la noia è superata con nuove idee spinte verso inedite direzioni.

Già dal titolo, Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities, il nuovo disco di Holden è un frullato di riferimenti alla sua infanzia, ai suoi ricordi, «un sogno di rave, un fantasticare su una cultura musicale trasformativa che renderebbe il mondo migliore», come spiega nelle note allegate all’album. A cavallo tra il jazz spirituale ed errante del precedente The Animal Spirits (2017) e le spaziali virate elettronico-modulari di The Inheritors (2013), il padrino di una delle ultime ondate di elettronica “intelligente” disegna luoghi e sensazioni che riescono a far rivivere quei tempi da una nuova e matura prospettiva. L’idea di quel primo movimento rave rivive sotto forma di un sogno lucido, che Holden immagina come senso utopico di speranza, libertà e possibilità di trasformazione sociale, caratteristiche intrinseche del mondo dei rave, soprattutto ai suoi esordi.

James Holden - Common Land

Una continua rivoluzione da ingaggiare, come recita il titolo di uno dei brani più evocativi dell’album (Continuous Revolution), che insieme agli arpeggi cinematici di Trust Your Feet catapulta l’ascoltatore sotto un cielo stellato nei campi del Devon, trent’anni indietro nel tempo. Tra dolci abissi post-IDM e dialoghi con il suo passato più trance, Holden riunisce sotto lo stesso tetto la techno degli 808 State, il vaporoso chill-out dei KLF e il camaleontismo di John Cale, citando anche i tratti cosmici dei Popol Vuh e gli accenni ambient post-new age del Brian Eno di Another Green World.

Nonostante abbia imparato a suonare pianoforte e violino, l’artista inglese fino a oggi non li aveva mai pienamente integrati nei suoi lavori: qui li ritroviamo in Worlds Collide Mountains Form, dove non si fa fatica a scorgere il Franco Battiato del periodo sperimentale anni ‘70, quello di Fetus e Clic (di cui Holden è sempre stato dichiarato estimatore), ma è in Common Land che si manifesta l’intreccio tra organico e utopico, tra field recording e sample di uccelli utilizzati come percussioni e riverberi malinconici di un sassofono. Tutto trova un proprio posto perché «una vera canzone è un viaggio in una sorta di spazio in una dimensione più alta, nonché la conoscenza di tutti gli altri viaggi che avrebbe potuto avere luogo», commenta ancora nelle note. Aggiungendo: «Probabilmente è una metafora della vita». Holden scende così a patti con il bagaglio culturale acquisito in età adolescenziale e che finora, nella sua musica, era rimasto inesplorato. Ma non si limita a raccontare un passato, si spinge oltre immaginandolo a modo suo.

Esploratore di linguaggi di programmazione software (come Max/MSP) che qui vestono brani come la trasognante suite The Missing Key e la lunga e incalzante outro You Can Never Go Back (a cui vengono aggiunti i suoni di una tabla, strumento di origine indiana formato da una coppia di piccoli tamburi), Holden ha l’obiettivo di condurre la propria musica verso il confine tra più e differenti spazi, senza – come il titolo in chiusura suggerisce – mai voltarsi indietro. C’è il futuro delle intelligenze artificiali, certo, ma c’è anche e soprattutto il ricordo instancabile della realtà, ciclicamente reintegrato ad accentuare la distanza dall’elettronica più plasticosa e vacua.

Per captare i segnali delle radio pirata dalla città più vicina, da adolescente, Holden era solito tenere una radiosveglia su un armadio, probabilmente nell’unico punto in cui riusciva a captare le trasmissioni in tempo reale delle feste organizzate dai New Age Travellers, hippie e bohémien colpiti nel Regno Unito dal Criminal Justice Act. Ma ecco: in Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities Holden non si cerca di portarci a un free party dell’epoca, quanto a uno generato dalla nostalgia di qualcosa mai veramente vissuto, come l’immersione tra gli echi di In the End You’ll Know.

Contains Multitudes

Ad accompagnare la narrazione del disco, le illustrazioni di Jorge Velez che ritraggono rituali rave di una realtà alternativa e popolata da creature magiche, con disegni ispirati alla tecnica del noto fumettista francese Moebius, che raffigurano il percorso immaginifico di ciascun brano. I lavori di Holden si nutrono infatti di citazioni extra-musicali, come ad esempio i collage di John Stezaker che l’artista cita come ispirazione per la psichedelica Contains Multitudes, il singolo di lancio dell’album. Come nella tecnica del collage dell’artista concettuale britannico, infatti, Holden nel brano accosta, stratifica e mette insieme diversi soggetti: «La parte finale di questo brano mi è apparsa in testa mentre ascoltavo i loop della parte iniziale. Le due canzoni sono come musiche opposte, ma anche contenute l’una nell’altra».

Se l’inizio della carriera di Holden, risalente al 2006, profetizzava la vittoria degli idioti (con l’album The Idiots Are Winning), con Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities, il compositore inglese ha conquistato una maturità artistica totale tra ispirazioni per il futuro e domande sincere, anche fuori dalla musica. Il movimento rave in Regno Unito è diventato illegale da quasi trent’anni, ma James Holden – pur non avendolo vissuto – continua a trovare il modo di raccontarne possibilità, dimensioni, linguaggi. Questa volta supponendoci di esserci stato davvero, almeno in una sua versione immaginaria.

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