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Storia del disco punk italiano più raro di sempre

Il 45 giri dei milanesi Mittageisen 'Hard Core / Transylvania 1760' è il Santo Graal del punk-rock europeo. Oggi costa migliaia di euro, loro l'hanno stampato nel 1979 con 100 mila lire

Un particolare della copertina del 45 giri 'Hard Core / Transylvania 1760'

A partire dagli anni ’90, abbiamo assistito alla comparsa – anche massiccia – sul mercato di compilation tematiche dedicate al cosiddetto punk minore del periodo che va dal 1977 ai primi anni ’80: titoli come Killed by Death (oltre 30 uscite), Back to Front (una decina di volumi), Bloodstains (qualche decina di capitoli) e altri magari più sporadici, ma ugualmente importanti a livello di riscoperta di band e singoli altrimenti misconosciuti.

Risultato: una recrudescenza immediata – e ancora in atto – del collezionismo di quei manufatti punk originali (tutti 45 giri) inclusi nelle raccolte. Di conseguenza i prezzi, già piuttosto elevati in partenza, sono ulteriormente saliti.

Fra i singoli più ricercati e quotati c’è il Santo Graal del punk italiano ed europeo: è l’unico 7” dei milanesi Mittageisen, uscito nel 1979 per la loro etichetta Sadist. In quei solchi neri troviamo due pezzi – Hard Core e Transylvania 1760, registrati da un gruppo che durò veramente il tempo d’un battito d’ali di farfalla (si parla di settimane) – che sono entrati, impressi su 100 copie di un 45 giri, nella storia del punk-rock e in quella del collezionismo estremo.

Proprio in questi giorni, per la felicità di chi non può (o vuole) spendere migliaia di euro in un singolo, esce un’attesa ristampa antologica su LP che comprende il 45 giri, alcune outtake in studio e il concerto d’addio della band risalente al marzo 1979. Questo documento è assemblato dall’etichetta trevigiana Big Star Rolling specializzata in ristampe archivistiche di questo tipo (ha già curato le ripubblicazioni di formazioni del punk tricolore come No Submission, Mercenary God, HitlerSS e Ice & The Iced).

Ma come nasce il 7” più raro del cosiddetto killed by death punk (definizione derivante dalle omonime compilation, coniata per indicare di norma gruppi e dischi non mainstream, minori e legati a scene più locali) italiano ed europeo? Per saperlo occorre fare un salto indietro nel tempo, a quel febbraio del 1979. A guidarci in questo viaggio a ritroso è Marco – alias Sexy Sadist, alias DDT – che dei Mittageisen (e dei Borstal Dampers, ossia praticamente lo stesso gruppo prima di cambiare nome in onore di Siouxsie & The Banshees e del loro omonimo brano) è stato il cantante e compositore dei pezzi, oltre che finanziatore materiale della stampa del leggendario 45 giri. Nel balzo temporale verso quella Milano punk di 41 anni fa ci assiste anche l’agitatore e artista punk Glezös, che partecipò alle registrazioni in qualità di chitarrista ospite non accreditato (per suo volere).

La copertina della ristampa con il concerto al Liceo Beccaria di Milano

«Tutto è cominciato verso ottobre-novembre del 1978, quando iniziammo ad andare a fare delle prove in una sala a Quarto Oggiaro, nella periferia milanese», prende a raccontare Marco. «Ed è durato fino al 1° marzo 1979, data del concerto che tenemmo dove io andavo a scuola, al liceo Cesare Beccaria». Il punk in Italia e a Milano, in quel momento, non era certo un fenomeno di moda. Anzi: «Eravamo in pochi. Nessuno di noi, per quanto fosse volonteroso e documentato, è mai riuscito a fare nulla prima del ’78: avevamo uno o due anni di ritardo rispetto alla scena britannica. A dirla tutta, quando ci siamo affacciati al fenomeno, con l’implosione dei Sex Pistols praticamente era tutto finito – parlo dell’aspetto più forte, provocatore, d’impatto. A Milano io e pochi altri eravamo appassionati di punk, ma prima ancora ascoltavamo e avevamo ascoltato altri generi. Avevamo un passato musicale, ascoltavamo tanti altri gruppi dal rock/hard rock al prog, cose – perdona il termine – più normali. Ma quando ci siamo imbattuti nella forza prorompente del punk abbiamo subito sentito il bisogno di emulare Clash, Sex Pistols, Damned e gli altri anche dal punto di vista estetico. Era comunque dura trovare i dischi: un canale era Carù a Gallarate, poi altri negozi milanesi si davano da fare, ma con grande difficoltà. Di certo non riuscivamo a comprare i dischi per corrispondenza. Un’altra via era, per chi poteva, la vacanza studio in Inghilterra: chi ci andava faceva rifornimento di materiale e prendeva anche le ordinazioni degli amici».

Di fronte a questo panorama viene spontanea la domanda: come vi è venuto in mente di incidere e stamparvi, completamente in autonomia, un 45 giri? L’autoproduzione, fra l’altro, non era un modus operandi così diffuso nella seconda metà dei ’70. «Avevamo questa idea, quasi un sogno, e la portammo avanti come potevamo, coi nostri mezzi, riuscendo a lasciare una piccola traccia di quello che per noi è stato un periodo importante, per quanto brevissimo».

La session in studio viene effettuata con l’aiuto dell’amico Glezös in incognito, chiamato in corsa a sostituire il chitarrista Danny, che aveva abbandonato poco prima il gruppo. Lui stesso spiega: «Chiesi di omettere il mio nome dal singolo, perché non volevo ingenerare confusione tra i Gags – dei quali ero cantante e leader – e i Mittageisen, dei quali ero amico». La soluzione d’emergenza si rivela comunque molto soddisfacente, come afferma Marco: «Fece un lavoro speciale con noi in studio: Glezös è un vero musicista e diede una svolta ai brani con il suo tocco. Lui era ed è un artista, a differenza di noi che eravamo manovalanza punk, semplici militanti. Lui era un cavallo di razza, suonava tutto: basso, chitarra batteria… e un grande esecutore anche di pezzi altrui».

Le cose si svolgono in maniera molto spiccia e rapida, come rammenta Marco: «Il 5 febbraio del 1979 andammo in uno studio di registrazione molto casalingo: a gestirlo erano un signore e suo figlio che, in uno scantinato, avevano questo spazio. Più che altro era una sala prove, ma c’era possibilità di registrare su bobina. C’erano diversi posti a Milano, dove saremmo potuti andare, ma questo era il più economico di tutti (ride)… non ricordo neppure come lo scovammo».

Anche Glezös ha un ricordo vivo dello studio. «In realtà non si trattava di un vero e proprio studio, ma di una sala prove con annesso box di regia per provini, propaggine di un negozio di strumenti musicali che dava sulla strada, in Via Lessona. Il proprietario e fonico era un ex componente degli Albatros di Toto Cutugno, quelli di Volo AZ 504. La sala era abbastanza spaziosa, lo studio poco più che uno sgabuzzino. La chitarra la noleggiammo (non ho mai avuto una chitarra elettrica, fin dai tempi), la batteria era ovviamente quella della sala e il basso credo fosse quello di Tonito».

Prima di incidere, i Mittageisen decidono di provare per bene i pezzi – una scelta piuttosto azzardata, come ricorda Glezös. «La session fu nel tardo pomeriggio. La sala fu prenotata per tre ore, riservando le prime due a un ripasso dei brani e solo l’ultima alla registrazione vera e propria. Fu un errore grossolano, perché Marco arrivò all’ultima ora completamente sgolato, con una fastidiosa afonia evidentissima nel disco. Registrammo tutto in diretta su bobina e senza alcuna sovraincisione, facendoci riversare i brani su cassetta come pronto ascolto. Il risultato non ci piacque assolutamente e fu fonte di un certo imbarazzo, ma il singolo era stato programmato e i tre membri del gruppo decisero di procedere».

Su quei nastri è impressa è una manciata di pezzi, cinque per l’esattezza: due take di Hard Core e una di tutti i restanti brani (Transylvania 1760, Sturmtrooper e una cover di Belsen Was a Gas dei Sex Pistols). Nel singolo ne finiscono solo due.

Fronte, retro e interno del 45 originale dei Mittageisen

Subito dopo le registrazioni ci si occupa della realizzazione dei supporti. «Spesi di tasca mia 100 mila lire per far stampare il disco: i soldi me li aveva dati il mio caro nonno», racconta Marco. «Con quella somma ho potuto far tirare 100 copie del 45 giri. Avevo solo quei soldi e quindi erano il budget a disposizione… di più non avremmo potuto stamparne. Ricordo che ci rivolgemmo alla Fonola Records, che si trovava in Via Ariberto, dietro a Viale Papiniano: andai io a informarmi. Loro con grande freddezza mi dissero che, se avessi lasciato lì i nastri, sarei potuto tornare dopo una settimana a ritirare 100 copie al prezzo di 100 mila lire esatte, con pagamento anticipato. E così andò: gestii io tutta questa parte più burocratica».

Se il budget per la stampa del vinile è basso, quello per le copertine è in pratica inesistente. «Avendo speso tutti i soldi nella stampa, facemmo un po’ fatica nell’assemblare le copertine, che erano semplici fogli A4 fotocopiati e poi piegati in modo da contenere i dischi. La grafica la fece a mano Tonito (Antonio, il bassista, alias Captain Vicious, nda): era un grande appassionato di fumetti e creò un collage usando una foto ritagliata da un libro (In The Gutter di Val Hennessy, nda). Le nostre fotografie – tipo foto segnaletiche – che si trovano nell’interno della copertina le facemmo alla fermata Duomo della metropolitana di Milano. Lì c’era un chiosco per le foto tessera: sono rimaste le uniche esistenti della band, non ne abbiamo mai fatte altre… adesso sembra una cosa incredibile perché siamo abituati a fotografare di tutto e di continuo, ma all’epoca nessuno di noi aveva la macchina fotografica. Così ci recammo lì e fummo anche fermati per un controllo da alcuni agenti, che ci chiesero i documenti: c’è da dire che noi eravamo conciati in maniera bizzarra, tutti col giubbotto di cuoio… avevamo anche pensato di truccarci un po’ gli occhi. Decisamente ci facevamo notare e quei poliziotti si allarmarono, vedendoci».

A quel punto non resta che iniziare a distribuire il disco. Marco ricorda: «Paolo M. (alias P.T. Dumper, il batterista, nda) ed io ci trovammo con queste 100 copie in mano, da vendere. Facevamo una fatica bestiale a darle via… non vorrei dire un’esagerazione, ma credo che non siamo arrivati a farne girare più di una quarantina fra amici, parenti e qualche negozio».

Degli esemplari invenduti si perdono presto le tracce (avrebbero dovuto arrivare a Bologna, dove si sperava ci fosse più mercato grazie al supporto di Jumpy Velena e un giovane Red Ronnie, ma pare che non siano mai giunti a destinazione). Una storia quasi incredibile, specialmente col senno di poi, visto che quel 7” è diventato una vera rarità da collezione con quotazioni da migliaia di euro (la più recente registrata da Discogs è relativa a una transazione del 2017 in cui è stato acquistato per 1999 euro, ma non è una delle più elevate di cui si è a conoscenza). A questo proposito Marco ha una posizione molto netta e decisa: «Il 45 giri è diventato un pezzo da collezione vergognoso, con quotazioni aberranti: è stato oggetto di una speculazione orribile, una di quelle cose che uccidono la musica. E infatti sono contento che ora esca questa ristampa per la Big Star Rolling con l’aggiunta di una registrazione del live al liceo, perché sicuramente avrà un ruolo nel ridimensionare le quotazioni di quel singolo e nel renderlo finalmente disponibile per gli interessati».

Il manifesto del concerto saltato

A una ventina di giorni dalle session in studio, il 25 febbraio 1979, è previsto un concerto a Bologna (insieme ai Gaznevada): vengono stampati e affissi diversi manifesti per annunciarlo – i Mittageisen, con un colpo di genio di situazionismo punk, sono presentati come band straniera “from Belfast”. Il concerto però non ha luogo (la band dà forfait), ma la chance di suonare dal vivo si ripresenta a distanza di una settimana circa, in occasione di un evento musicale organizzato al Liceo Beccaria, che Marco sta frequentando. La band è ancora senza chitarrista, ma per l’occasione si rende disponibile Lamb, il chitarrista dei Girls (il nuovo gruppo di Glezös).

«Il live al Beccaria del 1° marzo 1979 fu pericoloso, perché ci esibimmo di fronte a un pubblico fortemente politicizzato, che ci minacciava». Non è difficile immaginare l’atmosfera, visto che il punk in Italia si era guadagnato l’immeritata fama di essere un movimento di destra, creando così situazioni poco piacevoli per i giovani punk che rischiavano il linciaggio da parte delle frange più facinorose legate alla sinistra e al Movimento. «Quel giorno Tonito si mise una maglietta dei Sex Pistols, quella classica provocatoria con la scritta “destroy” e la svastica. Aveva il giubbotto aperto e io gli dissi: “Guarda, secondo me è meglio se chiudi la zip”. Lui mi rispose fiducioso: “Ma no, dai, lo capiranno che è roba che non c’entra niente con la politica”. Appena entrò nella sala, si rese subito conto dell’ambiente in cui avremmo suonato: si chiuse immediatamente il giubbotto fino al collo e non lo aprì per tutto il tempo (ride). Ma la cosa paradossale è che l’altro gruppo del liceo che suonò prima di noi faceva cover dei Lynyrd Skynyrd: avevano bandiere confederate con lo Union Jack sul palco e i testi erano nemmeno troppo velatamente razzisti. Eppure nessuno obiettò».

Il live al Beccaria è il capitolo finale della breve storia dei Mittageisen, sulla quale cala il sipario mentre ancora la musica sta suonando. Marco, infatti, abbandona il palco a metà scaletta e – da quel momento – intraprende una strada musicale differente, seguendo un’idea che già da qualche tempo aveva maturato. «Durante quel concerto del 1° marzo – disastroso per certi aspetti, ma riuscito molto bene a livello di esecuzione – mi resi conto che non avevamo così tanto da dire come gruppo e c’era gente che avrebbe potuto dire di più. Io, soprattutto, avevo perso la convinzione e l’entusiasmo verso il genere punk. Quindi mi impegnai a formare un gruppo mod: The Noise, con tutta l’iconografia mod del caso… Purtroppo non hanno avuto un gran seguito. Io poi ho finito gli studi, sono partito per l’Inghilterra per un anno sabbatico e da lì è iniziato per davvero il mio periodo mod che, tra alti e bassi, non si è mai interrotto. Ma il mio rispetto per il punk è massimo, perché mi ha consentito di capire che la musica può essere vissuta in prima persona e non solo da spettatore/ascoltatore. È un’esperienza che mi ha aiutato tantissimo anche a capire ciò che mi interessava fare davvero».

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