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Stai a vedere che gli NFT sono davvero il futuro della musica

Non fatevi ingannare dalle contraddizioni e dai prezzi esorbitanti delle opere d’arte digitali. La tecnologia blockchain può rivoluzionare la discografia e risolvere molti suoi problemi: ecco come

Foto: Al Pereira/Michael Ochs Archives/Getty Images

In aprile, quando una persona con l’username “JeffBezosForeskin” ha pagato 40 mila dollari per un NFT di John Cleese dei Monty Python – uno schizzo del Brooklyn Bridge fatto con l’iPad, pieno di figure sottili e sproporzionate – ho perso quel poco di fede nell’umanità che mi restava.

All’epoca della transazione gli NFT (cioè i non-fungible tokens) erano sulla bocca di tutti. Tre mesi prima nessuno sapeva che esistessero. Il mercato di questi file digitali è esploso a giugno. Secondo alcuni studi, all’inizio dell’estate era cresciuto già del 90%. Quello che non è chiaro, adesso, è se verranno dimenticati o, come sperano alcuni imprenditori ossessionati dalla tecnologia, trasformeranno l’industria dell’intrattenimento.

Gli NFT sono incredibilmente innovativi, ma la follia collettiva si è concentrata sugli aspetti sbagliati. Il disegnino di Cleese non vale tutto quel denaro. Una foto di Emily Ratajkowski che posa con un suo ritratto ha un valore soggettivo, non oggettivo. E qui sta il punto: il vero potenziale degli NFT non sta nell’arte digitale di lusso, ma su come cambiano il concetto stesso di proprietà e sulla loro capacità di continuare a generare ricchezza anche dopo essere stati acquistati.

Pensiamo alla musica. Se comprate un NFT che contiene un contratto per i diritti parziali di una canzone, finché manterrete la proprietà del token riceverete le royalties connesse, diventando sempre più ricchi. E se comprate un NFT con il biglietto di un concerto, comprate un’esperienza che avrebbe un prezzo a prescindere dagli scambi sulla blockchain. Anche le applicazioni ai videogame sembrano promettenti: se comprate un NFT che dà al vostro personaggio preferito un’abilità speciale diventerete più ricchi nel metaverso.

Gli NFT maturano – e la tecnologia che li supporta è sempre più ecologica – e generano possibilità sempre più eccitanti, soprattutto per l’industria discografica. Ecco le più interessanti.

L’azionariato musicale

A giugno Royalty Exchange, mercato online per comprare e vendere royalties, è diventata la prima società a vendere i diritti di edizione di un brano – Save Dat Money, la hit del 2015 di Lil Dicky – sotto forma di NFT. Qualche settimana dopo, Royalty Exchange ha alzato il tiro, acquistano l’1,5% delle royalties dei primi cinque album in studio degli A Tribe Called Quest. L’operazione è costata 40191 ETH (equivalenti all’epoca a circa 85 mila dollari). «Abbiamo creato un nuovo tipo di NFT che genera profitto», ha detto il CEO Anthony Martini a Rolling Stone.

Per essere chiari, gli A Tribe Called Quest non hanno venduto la loro quota. L’ha fatto un’altra persona che la possedeva e i membri del gruppo si sono innervositi. Billboard ha scritto che Royalty Exchange era d’accordo con la band per vendere il resto delle royalties e Ali Shaheed Muhammed ha attaccato l’articolo sui social media per il «titolo fuorviante» che «cambiava la storia per ottenere dei clic». Poi ha chiarito definitivamente che la band non aveva niente a che fare con l’accordo.

In un certo senso, tutta questa storia dimostra esattamente perché le royalties dovrebbero essere scambiate come NFT.

Quando ha firmato il contratto con Jive Records nel 1989, Muhammad era un ragazzino. Per le negoziazioni, lui e Q-Tip erano rappresentati da Ron Skoler e Ed Chalpin, proprietari di PPX Enterprises. Nel suo post, Muhammad dice che Chalpin inserì di nascosto una clausola che garantiva alla PPX una percentuale su ogni album previsto dal contratto. Il gruppo non l’ha scoperta fino all’inizio dei lavori per The Low End Theory. «Non eravamo stati avvertiti, da dove vengo io si chiama truffa. Ed ci ha fatto causa e ha perso. Ha fatto appello, era ricco e aveva abbastanza soldi per andare avanti. Noi invece no. Eravamo ragazzini con un sogno, un disco che vendeva poco e un sacco di debiti con l’etichetta discografica».

Alla fine della sua storia, uno dei tanti esempi di come l’industria musicale truffa le persone che la alimentano, Muhammad ha detto che «è solo quando ho letto quell’articolo incompleto di Billboard che ho capito che PPX Enterprises non era ancora fuori dai giochi». A quanto pare, PPX ha venduto la sua quota all’individuo che ha fatto l’accordo con Royalty Exchange.

Martini ha chiamato Muhammad subito dopo aver visto il post. «È un tasto dolente per il gruppo», dice. «Era arrabbiato per i titoli, li hanno colpiti senza preavviso. Ne abbiamo parlato. È stata una bella conversazione, ci siamo incontrati in studio». Martini dice che la rabbia di Muhammad riflette alcuni problemi dell’industria che lui spera di risolvere: «Sono le insidie connesse alla vecchia discografia».

In primo luogo, la tecnologia blockchain avrebbe evitato al gruppo di scoprire successivamente quell’accordo segreto. La blockchain non permette solo di fare quelle transazioni in maniera trasparente, ma è anche più conveniente per gli artisti. Chi possiede un NFT connesso alle royalties guadagna ogni quadrimestre grazie a vendite, streaming, radio satellite, campionamenti e sincronizzazioni in tv, film e pubblicità. Se poi dovesse decidere di rivendere quei diritti, lo smart contract del token gli assicurerebbe una percentuale sulla transazione. La vendita dei cataloghi, che ora va così tanto di moda, dà agli artisti una sola opportunità: «Vendi e vieni pagato, ma se il nuovo proprietario fa un’altra transazione, non ottieni nulla», dice Martini. «Con gli NFT, invece, l’artista riceve sempre qualcosa dalle vendite secondarie».

Martini, che in passato ha lavorato nel management e in alcune etichette, dice che gli NFT cambieranno il settore. «La trasparenza è un tema fondamentale. Il fatto che quella discografica sia un’industria top-down genera problemi di controllo e frammentazione», dice. «La blockchain abbatte quei muri e democratizza il processo. L’esplosione delle opere d’arte in NFT ha fatto pensare alla gente che sia solo una moda, ma la tecnologia che li sostiene è la cosa più importante. Il futuro degli NFT dipenderà dalla loro funzionalità».

Martini non ha interesse nei valori esagerati delle opere d’arte legate ai NFT. «Gli asset che vendiamo hanno un valore e lo diciamo apertamente», dice, spiegando che Royalty Exchange offre agli investitori informazioni dettagliate sui cataloghi, compresi i brani più redditizi, i guadagni ottenuti negli ultimi anni e la loro provenienza. «Non si tratta di creare hype e raggiungere valori folli. Non importa cosa pensi del valore di quella musica, il brano genera una cifra x. Noi diamo agli acquirenti informazioni. Se vogliono pagare cifre esagerate, è una loro scelta. Noi vogliamo che sia un buon investimento per tutti. Vogliamo che gli artisti e i venditori ottengano il massimo possibile, ma anche che gli NFT continuino a generare denaro, così che tutti continuino ad acquistarli».

Le vendite dei grandi cataloghi sono solo una parte della storia. Martini è convinto che i fan vorranno investire nelle piccole band esattamente come succede nel mercato azionario. Se un fan può aiutare un gruppo indie a pagarsi lo studio per registrare un album – e in cambio ottiene una percentuale sugli eventuali guadagni dello streaming – allora vincono tutti.

«Immagina cosa sarebbe successo se avessi investito in Drake all’inizio della sua carriera», dice. «Ipotizziamo che abbia venduto mille NFT per il suo mixtape a 10 dollari l’uno. Oggi quegli NFT varrebbero molto di più. A tutti piace dire di aver scoperto un artista prima degli altri. Con gli NFT, puoi dimostrarlo».

Prima ancora però Royalty Exchange vuole rendere popolare l’idea di acquistare i diritti di singole canzoni. «Gli artisti più giovani non sono pronti a vendere tutto il loro catalogo», dice Martini. «Non è un buon affare, perché non sei abbastanza grande da guadagnarci. Vendere un pezzo è un modo migliore per iniziare. Prima che esistessero gli NFT, farlo non aveva molto senso».

Il prossimo pezzo al centro di una transazione è un cover di I Apologize di Kacey Musgraves, ma Martini dice che nelle prossime settimane il pubblico sentirà parlare di molti accordi simili. «Vogliamo convertire ogni vendita potenziale in un NFT, se possibile. Ci aprirà a un mercato più grande. Chi investe in criptovalute di solito non pensa a farlo con le royalties, ma questi accordi aprono il mercato anche a loro. Sta già succedendo. I nostri primi NFT hanno attirato 500 persone in meno di 24 ore».

Musica e gaming

Gli NFT possono aiutare anche a colmare le distanze tra il mondo del gaming e altri settori dell’intrattenimento, come la musica.

La scorsa primavera, il rapper 6ix9ine ha sviluppato degli NFT arcobaleno con la piattaforma Bondly e l’azienda di videogiochi Atari. La cosa più interessante è che questi NFT sbloccavano “materiali speciali” nel metaverso Atari, come dice la descrizione del prodotto. Il vero significato del termine non è ancora chiaro, soprattutto perché Atari non ha ancora finito di sviluppare queste caratteristiche uniche. Fred Chesnais, il CEO dell’azienda, era sorpreso quando Rolling Stone gli ha chiesto maggiori dettagli. «La descrizione è opera di Bondly, non ne sapevo nulla», ha detto, prima di confermare che Atari sta davvero lavorando a un nuovo «mondo virtuale», di cui può parlare solo in termini generali. La promessa, però, è che sveleranno tutto a temo debito.

«L’idea è questa: se compri l’NFT di un artista, puoi giocarci nel mondo digitale. Tutti i mondi dei videogame hanno a che fare con la costruzione e l’evoluzione. Possono sembrare troppo complessi, ma alla fine ogni gioco si sviluppa su tre fattori: salute, ricchezza e felicità». Immaginate, per esempio, che il vostro avatar digitale sia a corto di salute. Cosa succederebbe se invece di acquistare una “pozione” compraste un NFT di un artista con una canzone collegata? «Potresti guardare il video di un artista (nel gioco) ed è quello che aumenterà la salute del tuo personaggio».

Un’altra delle idee a cui sta lavorando Atari ha a che fare con i biglietti dei concerti collegati agli NFT, così da sbloccare incontri digitali tra artisti e fan. «Sono solo due esempi», dice Chesnais. «Se mi metti in una stanza con tre designer, ne troveremo altri 50».

Nonostante quello che dicono gli scettici, Chesnais è convinto che gli NFT saranno centrali per sviluppare esperienze innovative e per rendere cose come i concerti nei videogiochi più semplici e accessibili. «Pensaci. Cos’è un token? È un modo per misurare qualcosa, ed è verificabile. Potresti usarli per organizzare la lista d’attesa di un meet and greet».

Chesnais immagina anche un futuro dove le band creano merch per gli avatar dei gamer, così da promuovere la musica in modi nuovi e sempre più globali. «Ipotizziamo che nel mondo digitale ci siano 10 mila t-shirt di un gruppo», dice. «Poi, all’improvviso, la band decide di stamparle davvero. Potrebbero dare priorità a chi possiede l’NFT. E visto che sono tutti numerati, non ci sarebbe alcuna corsa per arrivare prima degli altri».

«È solo l’inizio», dice Chesnais, che ragiona sull’applicazione delle cripto al mondo Atari già dal 2017. «Nel futuro vedremo sempre più cose nate online e trasportate nel mondo reale». Il CEO ammette che nella scena NFT ci sono tanti infiltrati in cerca di guadagni facili, ma non crede che siano così importanti. «Chi acquista ha la responsabilità di capire cosa sta comprando. Tutti cercano sempre di venderti delle cose. Quindi fate attenzione. Se acquistate qualcosa di sbagliato, è un problema vostro. Se non vi piace un oggetto, non compratelo, ma dategli una possibilità. Sono prodotti come gli altri».

Atari ha introdotto il suo token lo scorso anno. Poi, a marzo, ha annunciato la nascita di un casinò per criptovalute in partnership con Decentral Games. I gamer possono trovare le proprietà digitali Atari a Vegas City, un distretto nel metaverso Decentraland. Chesnais dice che gli utenti possono scommettere con quei token nel casinò, che ha aperto con una performance virtuale del dj Dillon Francis. Considerando quant’è difficile per gli artisti più piccoli ottenere una serata, questi eventi danno nuove opportunità «per fare soldi e restare rilevanti». Per quanto riguarda il futuro, Chesnais si tiene sul vago e promette «moltissime altre partnership musicali».

Concerti e NFT

Gli NFT non servono solo per gli eventi nel mondo digitale. A patto di avere uno smartphone, possono diventare biglietti e pass impossibili da falsificare. L’anno prossimo, secondo materiali stampa ottenuti da Rolling Stone US, Lewis Capaldi vuole suonare nel primo show con accesso tramite NFT.

Le sue Big Fat Sexy Collectible Cards, che in realtà sono proprio NFT, sbloccheranno una serie di vantaggi, tra cui la possibilità di ascoltare un album. I più costosi includono anche due posti a vita per tutti i concerti di Capaldi.

È un esempio di nicchia, ma aziende come Yellowheart – che ha disegnato gli NFT dei Kings of Leon e su cui ha investito anche Live Nation – vogliono mettere gli NFT al centro delle attività dell’industria discografica. «Yellowheart scrive le regole per i biglietti di un concerto in uno smart contract», ha detto Adam Alpert, manager dei Chainsmokers, gestore di un’etichetta connessa a Sony Music e partner di Josh Katz nel lancio di Yellowheart nel 2018. «Può dirti quanti posti sono disponibili, la fila e il numero del tuo, il costo, il valore di una possibile rivendita e il numero di volte che sarà possibile farlo. Oppure l’età minima per acquistarli e ogni altro tipo di informazione gestibile da uno smartphone o un computer».

Gli NFT possono anche garantire che i guadagni ottenuti dalla vendita di un biglietto siano distribuiti equamente tra tutte le parti coinvolte: promoter, location, artisti e volendo società di beneficenza. Succederebbe sia nella prima vendita che nelle successive. «Il mercato del secondary ticketing vale 10 miliardi di dollari, forse di più», dice Alpert. «È l’elefante nella stanza per l’industria. I promoter, chi vende i biglietti, tutti quanti vogliono risolvere il problema. Quei soldi finiscono nelle mani di sconosciuti, non di chi si occupa del concerto».

È vero che nessuno ha bisogno di un NFT con una registrazione di 52 minuti di una flatulenza, ma è altrettanto chiaro che l’industria musicale ha bisogno di trasparenza e innovazione tecnologica. Soprattutto mentre la nostra vita diventa sempre più digitale. La blockchain rende tutto questo possibile. Non tutti gli NFT sono uguali, ma se la pandemia ci ha insegnato qualcosa, è che in rete non manca lo spazio per evolversi.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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