Sono arrivato al Route 91 da giornalista, ne sono uscito da sopravvissuto | Rolling Stone Italia
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Sono arrivato al Route 91 da giornalista, ne sono uscito da sopravvissuto

Cinque anni fa un uomo apriva il fuoco sul pubblico di un festival: 60 morti, centinaia di feriti. Il racconto di un reporter che era sul posto e che non ha mai smesso di pensare alla strage di Las Vegas

Sono arrivato al Route 91 da giornalista, ne sono uscito da sopravvissuto

Il pubblico in fuga dal Route 91 Harvest di Las Vegas

Foto: David Becker/Getty Images

Odierò per tutta la vita il botto dei fuochi artificiali. Era quello il rumore che a me e a molti altri è parso di sentire quando un uomo ha aperto il fuoco al festival Route 91 Harvest. Da allora, inutile dirlo, per me i due giorni più duri dell’anno sono il 1° ottobre e il 4 luglio.

Ero lì per coprire l’evento per Rolling Stone. Jason Aldean s’apprestava a chiudere quelli che erano stati, fin lì, dei giorni divertenti. Poi sono arrivati gli spari. Ho visto migliaia di persone fuggire per cercare riparo in preda al terrore. È scoppiato il finimondo mentre piovevano pallottole sul Las Vegas Village. Mi posso dire fortunato, ne sono uscito incolume. Il ricordo però mi turba ancora. Il giorno dopo mi sono ritrovato a piangere in auto mentre la radio passava Broken Halos di Chris Stapleton. Mi agito ogni volta che sento When She Says Baby, il pezzo che Aldean stava cantando quando sono iniziati gli spari.

Negli ultimi cinque anni ho sperimentato tutto lo spettro delle emozioni e ho fatto delle sedute con un esperto in traumi per assicurarmi che quello che sentivo fosse “normale”. Ma la mia mente torna sempre al Route 91. Lo scorso maggio ho incontrato a una partita di baseball altri sopravvissuti alla strage. Mi hanno detto che anche loro non possono evitare di pensare a ciò che è accaduto. Hanno condiviso con me le loro esperienze e mi hanno ascoltato con attenzione quando ho raccontato la mia. Molti di noi si sono coperti le orecchie e si sono stretti in un abbraccio quando sono esplosi i fuochi d’artificio che accompagnavano il concerto post partita del cantante country Josh Turner.

Maledetti fuochi artificiali.

Nessuno desidera che il Route 91 finisca per definirci, ma a volte è semplicemente inevitabile. Chi non era lì ci chiede com’è stato e tutti abbiamo elaborato una qualche risposta standard: «Pensavo fossero fuochi d’artificio»; «Pareva che sparassero più persone»; «Siamo riusciti a fuggire in un momento in cui sono cessati gli spari». Io dico sempre che prima di scappare ho fatto il passo del leopardo per recuperare il laptop. C’è sempre qualcuno che mi domanda come ho fatto ad andare avanti. La risposta breve è: vai avanti e basta.

Certo, ora quando entro in un locale la prima cosa che faccio è cercare le uscite di sicurezza e ammutolisco ogni volta che passo con l’auto nella parte dello Strip dove si svolgeva il festival. Mi chiedo pure se mi capiterà più di dovermi salvare la pelle da una strage, considerando che queste tragedie sembrano essere all’ordine del giorno negli Stati Uniti.

Il Route 91 farà per sempre parte di ciò che sono. Non posso evitarlo. Non posso evitare le emozioni che mi travolgono ogni volta che sento Aldean. Né posso evitare di pensare alle vittime quando vedo la scritta “Vegas Strong”.

Posso però evitare i fuochi d’artificio.

Tradotto da Rolling Stone US.