Serenate tossiche e canti funebri: come il rock ha cantato l’eroina | Rolling Stone Italia
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Serenate tossiche e canti funebri: come il rock ha cantato l’eroina

Il dolore di John Lennon, il racconto senza filtri dei Guns N' Roses, il lutto di Neil Young, la cronaca dei Velvet Underground, l'estasi degli Spiritualized: le 10 canzoni più importanti sulla bianca signora

Serenate tossiche e canti funebri: come il rock ha cantato l’eroina

Neil Young al Wembley Stadium di Londra nel 1974

Foto: Michael Putland/Getty Images

La bianca signora che può anche vestirsi di brown non è più – e da tempo – un semplice ricordo degli anni ’70-’80, quelli dell’emergenza eroina, delle campagne ministeriali e delle centinaia di morti per overdose ogni anno. Come sostengono alcuni operatori sanitari non se n’è mai andata, ma da qualche tempo ha ricominciato a fare capolino con numeri importanti, a livello soprattutto di consumatori censiti e trattati nei Sert. In questo quadro si inserisce l’ottima docuserie di Netflix SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, dedicata alle vicende di Vincenzo Muccioli e della sua creatura “riabilitativa”, ovvero la comunità di San Patrignano: una produzione che sta facendo tantissimo parlare e dibattere, creando anche notevoli spaccature.

Ma la droga per eccellenza nel bene e nel male, ossia l’eroina, ha spesso ricoperto un ruolo importante nella cultura pop e rock come accessorio fondamentale di provocazione, segno di attegiamenti “contro”, ma anche in veste di musa ispiratrice di pezzi che possono glorificarla o condannarla (oppure riuscire a fare entrambe le cose insieme, indagando quel rapporto di amore-odio che ogni dipendenza scatena). Per approfondire il tema abbiamo selezionato 10 brani (più alcune bonus track) che si concentrano sul rapporto con l’eroina nelle sue varie sfaccettature… E no, Brown Sugar degli Stones non c’è perché a dispetto del titolo parla di sesso.

“Cold Turkey” John Lennon

È il secondo singolo di Lennon da solista, uscito ancora per la Apple Records e pubblicato attribuendolo alla Plastic Ono Band (il 20 e il 24 ottobre 1969, rispettivamente in USA e UK). Cold Turkey nasce come brano per i Beatles, ma di fronte al rifiuto dei compari di registrarlo John ebbe la spinta necessaria per maturare la decisione di lasciare la band. La locuzione cold turkey in slang significa “astinenza forzata” e il pezzo ritrae appunto la disintossicazione dall’eroina che l’artista affrontò proprio nella seconda metà del 1969. Con lui, in studio, tre amici illustri: Eric Clapton, Ringo Starr e Klaus Voormann. La coda del pezzo è emblematica, con i lamenti e le urla di dolore che descrivono la via crucis della crisi d’astinenza.

“I Think I’m in Love” Spiritualized

Fulcro del capolavoro della band, l’album Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space del 1997, questo pezzo è una vera dichiarazione d’amore all’eroina. Una serenata tossica che contempla il verso inequivocabile “Love in the middle of the afternoon / Just me, my spike in my arm and my spoon”. Un classico esempio di amore totale, di devozione, con sprezzo del pericolo e delle convenzioni sociali.

“Cigarettes and Heroin” Cranford Nix

Cranford è stato il cantante e chitarrista dei Malakas – punk rock band con un paio di dischi all’attivo a cavallo fra i ’90 e gli anni ’00 – ed è uno dei tipici eroi minori del rock a stelle e strisce. Talento grandissimo, problemi enormi e una passione incontenibile per l’eccesso – tanto da perdere la vita per un’overdose a 33 anni, nel 2002, dopo l’ennesimo tentativo di rehab andato in fumo. Questo pezzo è il suo manifesto, con un testo che con una certa ironia descrive la disintossicazione nelle strutture specializzati: “Sigarette ed eroina sono i miei unici amici, sono in una casa di cura e ho il pannolone, mi sono fatto molto male ma ora sto bene, la torazina scaccia i mostri e il mio dottore mi dice: ‘Amico se ti impegni qui dentro, in un paio d’anni potrai lavorare da McDonald’s’”. Cruda e orecchiabile, fa male, ma difficilmente se ne va dalla testa dopo il primo ascolto.

“Mr. Brownstone” Guns N’ Roses

Inclusa nell’album di debutto dei Guns – il celebratissimo Appetite For Destruction (1987) – questa canzone è un manifesto di ciò che la band rappresentava nel suo momento di maggiore ispirazione e pericolosità: il rock stava tornando a essere minaccioso, dopo la sbornia di pop metal, AOR e hair metal degli anni ’80. Il testo celebra la vita da rocker e descrive senza mezzi termini o patetiche lamentazioni l’avvicinamento all’eroina: “We been dancin’ with / Mr. Brownstone / He’s been knockin’ / He won’t’ leave me alone / No, no, no / He won’t leave me alone /I used ta do a little but a little wouldn’t do / So the little got more and more / I just keep tryin’ ta get a little better / Said a little better than before”.

“Signed DC” Love

Una ballad acustica dolentissima, tratta dall’album di esordio dei leggendari Love di Arthur Lee (Love, 1966), dedicata al batterista Don Conka (da cui il “DC” del titolo). Con toni drammatici e tesi immortala la vita di un tossicodipendente schiacciato dal bisogno di farsi, dall’astinenza, dalla cronica mancanza di soldi, dall’incapacità di reagire e dal rapporto morboso con il suo pusher. Un gioiello di canzone, con un retrogusto ironico-amaro, visto che Arthur Lee stesso sarebbe poi caduto nella medesima trappola di Conka.

“Beetlebum” Blur

Il pezzo contenuto nell’album Blur del 1997 (divenne anche un singolo) ha un testo che parla della relazione di Damon Albarn con Justine Frischmann (cantante e chitarrista delle Elastica), in cui l’eroina aveva un ruolo centrale. Albarn nel marzo 2014 ha detto alla testata Q: «Per me era un elemento molto creativo. Mi ha liberato. In qualche modo mi ha aiutato a trovare una mia voce. Posso solo dire che l’eroina è stata molto stimolante». Parole che gli sono valse una bella strigliata da parte dei media benpensanti, con parziale (ma poco convinta) retromarcia dell’interessato un mese dopo. Fatto sta che l’eroina nel brano è ritratta come una amante pericolosa, ma tentatrice, i cui pregi e difetti divengono una sorta di unico abbraccio totalizzante.

“Under the Bridge” Red Hot Chili Peppers

“Under the bridge downtown / Is where I drew some blood / Under the bridge downtown / I could not get enough / Under the bridge downtown / Forgot about my love / Under the bridge downtown / I gave my life away”: uno dei pezzi simbolo dei RHCP contiene chiarissimi riferimenti ai demoni che Anthony Kiedis ha affrontato per sconfiggere la dipendenza. Nel documentario Funky Monks, il frontman per qualche minuto parla proprio di questa canzone e racconta che la dipendenza si è portata via uno dei suoi migliori amici (il chitarrista e cofondatore dei Red Hot Chili Peppers, Hillel Slovak), oltre alla sua stessa dignità. E ricorda un episodio in cui si vide costretto a cercare una dose di eroina andando sotto a un ponte, in un’area controllata da una gang messicana e dovette fingersi il ragazzo della sorella del suo spacciatore di fiducia.

“Chinese Rocks” Johnny Thunders & the Heartbreakers

Scritta da Dee Dee Ramone e Richard Hell, entrò nel repertorio degli Heartbreakers in quanto i Ramones la rifiutarono, per via dei riferimenti troppo evidenti all’eroina – già il titolo è il nome di un particolare tipo di eroina in circolazione all’epoca a New York. La band, però, la recupera per il disco del 1980 End of the Century. Il testo è un affresco vivissimo della vita da junkie: le telefonate per procurarsi la roba, la fidanzata che piange chiusa nel box doccia, la casa spoglia perché tutto è finito al banco dei pegni… nessun compiacimento, ma neppure lamentele. L’unica preoccupazione è tirare su la somma che serve per il prossimo buco.

“The Needle and the Damage Done” Neil Young

Un pezzo strafamoso, ma non per questo meno meritevole di entrare in una simile lista: è tratto dal capolavoro Harvest (1972) e parla dei gravi danni che la dipendenza da eroina comporta, fino a causare la morte. L’ispirazione per la canzone arrivò dalla figura tragica di Danny Whitten, talentuoso chitarrista dei Crazy Horse, che morì a soli 29 anni – nel 1972 – dopo quattro anni di uso di eroina (che iniziò a prendere per alleviare i sintomi dell’artrite reumatoide che lo affliggeva). Una composizione dolente e triste, che decisamente non ha nulla di celebrativo. Straziante.

“Heroin” The Velvet Underground

Lasciamo per ultimo il brano più ovvio – ma anche il più noto e, diciamolo, disperatamente bello. I Velvet Underground musicano la poesia metropolitana della tossicodipendenza e della ribellione che passa per un ago in vena e una bustina di polvere da qualche decina di dollari. Ascoltare Heroin è come studiare un diagramma degli up e dei down della tossicodipendenza, fra momenti di tiepida calma regressiva alternati alla frenesia, in cerca della dose che manca disperatamente per stare meglio. L’ispirazione più alta e la decadenza più estrema si incontrano, una volta di più, creando un’alchimia che dà assuefazione.

BONUS TRACK

Il tema dell’eroina è trattato in diversi altri brani, a volte in maniera più accennata, altre più diretta. Fra le composizioni che meritano una menzione c’è l’inequivocabile Just One Fix dei Ministry – nel cui video compare William Burroughs, profeta della beat generation e della droga. Riferimenti incontrovertibili ci sono anche in Lust For Life di Iggy Pop, che rievoca i giorni dissoluti della vita dell’Iguana fra eroina e alcol; incredibilmente, per il suo incedere allegro e saltellante, è stata usata in diverse pubblicità negli Stati Uniti. Sebbene sia più incentrata sulla depressione, anche Hurt dei Nine Inch Nails – e poi la versione definitiva che ne ha inciso Johnny Cash – affronta il tema dell’eroina con un paio di versi che gelano il sangue: “The needle tears a hole / The old familiar sting / Try to kill it all away / But I remember everything”.

Un mezzo mistero è invece il Classicone (con C maiuscola) del proto Britpop, ossia There She Goes dei LA’s: è stata in più occasioni definita una canzone sull’eroina, anche se i diretti interessati non hanno mai confermato la cosa. Che il bizzarro Lee Mavers (leader del gruppo, definito il JD Salinger del pop, per la sua scelta di ritirarsi in una sorta di pseudo-isolamento) abbia avuto una liaison con quella sostanza però sembra un fatto assodato – così come le parole sono facilmente adattabili a un contesto di quel genere. Poi ricordiamo ancora Bad degli U2, Dead Flowers dei Rolling Stones, I’m Waiting For My Man dei Velvet Underground, Carmelita di Warren Zevon, Junkie Girl dei Circus Of Power…

E gli italiani? Non mancano: impossibile non citare almeno Eugenio Finardi con Scimmia e Trappole, Marco Masini con la sua Perché lo fai, Per Elisa di Alice (che unì le forze con Franco Battiato e Giusto Pio) e gli 883 di Pezzali e Repetto con Cumuli.