#SenzaMusica resta solo il rumore bianco | Rolling Stone Italia
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#SenzaMusica resta solo il rumore bianco

Decine di artisti tra cui Manuel Agnelli, Levante e Ghemon si sono riuniti oggi a Milano: non per un festival ma per #SenzaMusica, una protesta che chiede al governo di pensare ai lavoratori del settore, in difficoltà per il coronavirus

#SenzaMusica resta solo il rumore bianco

La manifestazione di Milano

Se fosse un festival sarebbe strepitoso: Manuel Agnelli, Lodo Guenzi, Levante, Diodato, Ghemon, Dente e decine di altri artisti, tutti sotto il sole cocente di piazza Duomo a Milano. E invece non è un festival perché non si canta, non si suona, ma si sta in rigoroso silenzio per tre minuti, tutti in piedi vestiti di nero, a debita distanza di sicurezza. 

È una manifestazione #senzamusica, come l’hashtag che accompagna questa Festa della Musica 2020: una forma di protesta per sensibilizzare Governo e opinione pubblica sulla situazione dei lavoratori della musica. Musicisti, discografici, produttori, addetti stampa, fonici e così via: tra i primi a essere stati colpiti dall’emergenza COVID-19 con i concerti inevitabilmente sospesi e tra gli ultimi, dimenticati, per quanto riguarda le misure di tutela messe in campo da chi di dovere. 

Silenzio e rumore. Sono loro i veri protagonisti della giornata. Il silenzio del flash mob a Milano, un raduno di artisti e addetti ai lavori attenti a non creare assembramento prima di ritrovarsi al centro di piazza Duomo. Arrivano uno dopo l’altro: Mauro Ermanno Giovanardi, Saturnino, Giovanni Truppi, i Selton, Cosmo, Wrong On You, Andrea Poggio e il maestro Enrico Gabrielli, Diodato, Levante, Ghemon… Volti noti nascosti dietro la mascherina comunque riconosciuti da qualche passante e voci della scena indie sconosciuti al grande pubblico: tutti insieme per una causa comune.

E poi il rumore di un brano caricato sulle piattaforme digitali e condiviso dagli artisti e dai lavoratori della musica coinvolti nell’iniziativa in questa domenica di giugno: l’autore e performer si fa chiamare #SENZAMUSICA, il titolo del pezzo altro non è che la data della Festa della Musica – 21/06/2020 – e l’etichetta che lo pubblica è #iolavoroconlamusica: 3 minuti e otto secondi che martellano le orecchie fregandosene altamente di ritornello e melodia. Terrificante: Black o white noise che sia, è il suono della vita senza musica.

“Oggi è la Festa della Musica, si suona in molte piazze italiane e non ci sembrava giusto chiedere uno sciopero a persone che non lavorano da quattro mesi”, spiega Emiliano Colasanti, fondatore dell’etichetta discografica indipendente 42 Records, dentro al coordinamento de LaMusicaCheGira, tra i promotori delle iniziative odierne con il Forum dell’Arte e dello Spettacolo. “Ma serviva una cosa emblematica, tipo questa cosa un po’ situazionista: un brano di rumore bianco presentato da tutti i musicisti e addetti ai lavori. Ci siamo detti, facciamo un gioco: lanciamo tutti insieme un brano come se fosse un singolo, ma in realtà è l’anti-singolo per eccellenza. Perché se si ferma la musica resta solo il rumore statico”.

L’esplosione del coronavirus alla fine di febbraio ha fatto saltare centinaia di tour, bloccando almeno per un po’ la filiera discografica, e l’emergenza sanitaria, come per tutti i settori, si è trasformata in emergenza economica: mancati introiti, precarietà, disoccupazione. La Musica Che Gira è dunque un gruppo di pressione formato da addetti ai lavori che sta lavorando affinché vengano presentati in Parlamento alcuni importanti emendamenti al decreto Rilancio: ammortizzatori sociali, agevolazioni fiscali, supporto alle attività imprenditoriali del settore, stimoli per investimenti green e innovazione, una riforma definitiva del mercato della musica.

“Non lo facciamo per noi in primis, ma per tutte quelle persone che ci permettono di fare il nostro lavoro”, spiega Diodato. Dal palco del Festival di Sanremo, dove ha vinto con Fai rumore, alla protesta silenziosa di piazza Duomo a Milano. “Cerchiamo di essere un megafono per le loro istanze”. Tutti gli artisti sanno che i meno tutelati sono gli intermittenti, i tanti lavoratori a chiamata che tengono in piedi i loro tour, e chiedono tutele soprattutto per questa categoria trascurata dai provvedimenti del Governo.

“Non sono lavoratori diversi dagli altri”, dice Ghemon, “ma a loro non sono state garantite misure emergenziali che sono state garantite invece ad altre categorie di lavoratori”. E poi c’è il Fus, il Fondo unico per lo spettacolo che esclude buona parte delle realtà impegnate sul fronte live. “Solo lo sviluppo di questi due punti farebbe già la differenza”, ne è tanto convinto Ghemon quanto tutti i suoi colleghi in piazza oggi.

“Manifestazioni per la musica in piazza come questa non ne ho mai viste”, racconta Manuel Agnelli, “ci sono stati tantissimi tentativi in passato di smuovere le acque: io stesso da anni collaboro con diverse situazioni in ambito di diritto d’autore, sicurezza sul lavoro, burocrazia e musica… Abbiamo ottenuto qualcosa sì, ma poco”. 

Tutti sono d’accordo sul fatto che gli artisti non hanno mai dimostrato di essere uniti come in questo momento. “È la prima volta che vedo una comunanza di intenti e una partecipazione così grande”, conferma Agnelli. “Si sono sbilanciati anche grandissimi della musica come Vasco e la Pausini e credo sia perché stiamo facendo questa cosa soprattutto per chi non ha un volto. Il COVID ha fatto sì che ci unissimo: il mio augurio non è tanto che si faccia casino adesso, ma che si faccia casino per un sacco di tempo”.   

Oltre a essere un musicista, da un po’ di tempo a questa parte Manuel Agnelli ha anche un locale a Milano, Germi, che ospita concerti e spettacoli dal vivo. Ora è ovviamente chiuso. “C’è una disparità di trattamento, pensate che si possono riempire le cabine degli aerei ma noi non possiamo organizzare spettacoli contingentati. È un’assurdità e dà l’idea dei preconcetti che ci sono nei confronti del mondo della musica: siamo da sempre considerati dei saltimbanchi e non dei professionisti, anche se muoviamo migliaia di persone e il settore cultura e spettacolo costituisce il 16% del Pil di questo Paese”. 

Ed ecco il mea culpa del cantante degli Afterhours, che parla a nome di tutta la categoria che rappresenta con un ulteriore buon auspicio per il prossimo futuro. “Colpa nostra perché penso che le istituzioni seguono chi gli rompe i coglioni: dato che nel mondo della musica c’è molto individualismo, noi i coglioni non li abbiamo mai rotti perché facciamo fatica a unirci. Speriamo di riuscire a romperglieli questa volta”.