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Sarà davvero un’estate senza musica? Il mondo del live è diviso in due

I grandi eventi riprenderanno nel 2021, ma alcuni organizzatori vogliono sfruttare le possibilità offerte dalla legge per riportare la musica in mezzo alla gente già nel mese di luglio. «Farlo è un dovere»

Foto: Johnny John/Unsplash

Nessuno aveva rimandato un tour con quel sorriso. Poche ore dopo la pubblicazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che stabilisce l’impossibilità di organizzare concerti all’aperto per più di 1000 persone, Tiziano Ferro appariva su Instagram ringraziando il governo perché «senza direttive ufficiali non avremmo potuto spostare le date e proteggere gli acquirenti». Tutto rimandato al 2021: stessi stadi, date diverse. Da quel momento, la comunicazione relativa a festival e concerti estivi cancellati o rimandati di un anno è stata incessante. Lo hanno scritto siti e giornali usando titoli che girano attorno allo stesso concetto: il virus ferma la musica, sarà un’estate senza concerti, è un anno senza estate musicale. Eppure c’è chi pensa che le cose non debbano andare necessariamente così e che, anzi, si debba lavorare e rischiare per riportare la musica in mezzo alla gente.

Farlo è possibile, almeno sulla carta. Il decreto stabilisce che l’attività concertistica in Italia potrà ripartire il 15 giugno 2020, salvo decisioni diverse da parte di regioni e province autonome in relazione all’andamento della curva epidemiologica. I concerti si potranno tenere a condizione che vi siano solo posti a sedere numerati e distanziati di un metro, per un numero massimo di 1000 per gli spettacoli all’aperto e 200 per quelli in luoghi chiusi. Le linee guida che abbiamo sintetizzato qui prevedono tra le altre cose la misurazione della temperatura corporea agli spettatori, l’utilizzo di mascherine e di igienizzanti per le mani, il divieto del consumo di cibo e bevande, la pulizia degli ambienti.

È chiaro che nelle condizioni immaginate dal DPCM non è possibile tenere alcun concerto o festival già programmato. E così, lunedì 18 maggio, subito dopo la diffusione del decreto l’associazione di categoria dei promoter ha spedito un comunicato ai media: «I grandi eventi live si fermano, alla luce delle disposizioni governative in tema di salute pubblica che vietano assembramenti di persone». Si possono però organizzare nuovi eventi su misura. «Per noi che facciamo ballare e saltare la gente il distanziamento sociale è impossibile», obietta Maxmiliano Bucci, co-fondatore di The Base, società che si occupa di organizzazione, promozione, ticketing di concerti e che organizza il Rock In Roma. «Le linee guida sono state pensate per orchestre sinfoniche ed enti lirici, per la musica classica e i teatri di tradizione. Loro potranno lavorare, noi no».

Farlo non sarebbe economicamente sostenibile, aggiunge Sergio Giuliani, l’altro co-fondatore di The Base. «Il live è un’industria molto più complessa di quanto appaia all’esterno, un’industria che ha bisogno di progettualità e di tempi per sviluppare le idee. Inoltre, i grandi eventi sostengono quelli piccoli. Dividere le due cose non ha senso, per di più in un contesto di pericolo per la salute di spettatori e lavoratori, e in presenza di grandi restrizioni di carattere normativo. I concerti sono aggregazione e in questo momento gli assembramenti sono vietati, per non parlare del clima emotivo del Paese. Qualche concerto da 500 persone in Italia magari si farà, ma tu oggi investiresti dei capitali per organizzare una tournée?».

«È stata espressa una volontà come categoria», continua Giuliani, «tutti insieme ci fermiamo e tutti insieme ripartiamo». Comunicare che sarà un’estate senza musica e non arrischiarsi a organizzare concerti adeguandosi al decreto è anche una strategia comunicativa? È un modo cioè per fare più rumore mediatico e attirare l’attenzione del governo nella speranza di ottenere un bonus a fondo perduto parziale copertura delle perdite causate dal virus? «Tra le righe si può leggere anche questo», ammette Bucci. «La nostra filiera è immensa, abbiamo gente a terra che non riesce a lavorare. Spero che lo capiscano in tanti».

Ferdinando Salzano di Friends and Partners, che ha il roster di cantanti pop italiani più ampio e forte che va da Zucchero e Ligabue a Elisa e Achille Lauro, pensa invece che i promoter non riceveranno un euro: «Credo che il governo abbia fatto un lavoro straordinario attuando per turismo e spettacolo il voucher, che è un reale aiuto di sostentamento alle aziende. Ma al mondo della musica popolare non arriverà nulla. I denari arrivano ad enti lirici e altri soggetti. Non abbiamo mai preso un finanziamento a fondo perduto e mai lo prenderemo. Dovremmo basarci sulle nostre forze, come abbiamo sempre fatto». In ogni caso, aggiunge Bucci, dietro alla decisione di non fare concerti ci sono motivazioni solide, non è una strategia comunicativa: «Uno deve credere che un concerto come quello descritto dal decreto sia sostenibile e che la gente abbia voglia di andarci. È un po’ come per la ristorazione: alcuni hanno aperto, altri no. Per quanto ci riguarda, qualsiasi tipo di investimento sarebbe improduttivo».

C’è chi non la pensa così. Secondo Francesco Barbaro, il fondatore di OTR, agenzia live che gestisce Daniele Silvestri, Carmen Consoli, Max Gazzè, Diodato, Levante, Carl Brave e altri, c’è in atto una frattura fra le strutture indipendenti come la sua, International Music and Arts o Ponderosa, e i firmatari del comunicato di Assomusica, «che sono in gran parte legati a due multinazionali: Live Nation e il gruppo Eventim, che assieme rappresentano la quota più importante del mercato live». Semplificando: da una parte c’è chi vive di esibizioni nei palasport, negli stadi o nei grandi spazi all’aperto, dall’altra chi è abituato a organizzare concerti per poche migliaia di persone. È chiaro che chi gestisce Vasco Rossi e Tiziano Ferro debba fermarsi, ragiona Barbaro, ma gli indipendenti devono trovare modi per fare concerti in estate nei limiti imposti dal decreto. «Si può fare. Anzi, si deve fare. Quando all’improvviso, col decreto, cominciamo a vedere una luce in fondo al tunnel, al posto di scavare più velocemente che facciamo, ci fermiamo?».

Barbaro non ha voluto sottoscrivere il comunicato di Assomusica. «Mi hanno detto: firma, che assieme siamo più forti. Ma non è così. E soprattutto: perché dobbiamo dire che la musica si ferma? Anch’io devo spostare l’evento di Carmen Consoli all’Arena di Verona per i 25 anni di carriera, ma abbiamo il dovere di cercare delle belle location che ci sono in Italia, dalla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica a Roma agli anfiteatri, e studiare con gli artisti che cosa fare, serenamente. Bisogna creare nuove formule». Al posto di rappresentare un punto di partenza, il decreto è stato letto come un segnale di chiusura. «E invece dobbiamo fare qualcosa. I video di Tiziano Ferro o della Mannoia che parlano dei tecnici senza lavoro sono commoventi, davvero, mi hanno fatto venire i brividi. Però poi è finito tutto lì. Le famiglie di quelle persone rimangono. Sento la responsabilità di fare qualcosa anche per loro».

Secondo Pietro Fuccio, fondatore di DNA Concerti, la categoria dei promoter può avere reagito fermando tutto perché si sente vessata. «Ogni due per tre esce un regolamento che ci complica la vita. Ora arriva questo decreto che dice che possiamo fare meno gente e ci costerà di più. Ha toccato un nervo scoperto». Detto questo, Fuccio pensa che i concerti all’aperto davanti a 1000 persone siano comunque qualcosa rispetto al nulla che si prospettava fino a una settimana fa. «Sono fiducioso che fra qualche settimana i limiti di pubblico posti dal decreto possano essere cambiati e le cose possano migliorare. Il mio dovere è dire agli artisti e a chi lavora con loro che c’è questa possibilità: fare spettacoli a misura delle regole. Chi non vuole ripartire perché non ha l’energia o la volontà di farlo, non lo faccia. Mi secca che si scelga di stare fermi aspettando che ci concedano la possibilità di fare le cose come prima. Se c’è una cosa che non possiamo permetterci di fare è non lavorare. Sarebbe idiota. Non voglio pensare che gli organizzatori facciano quadrato per non lavorare. Dobbiamo tornare ad essere una comunità che fa cose anche per gli altri. Cerchiamo di far ripartire la macchina senza piangerci addosso e riparametriamo ogni cosa».

Non è un’impresa priva di rischi. Anzitutto sul lato dei costi che si devono sostenere per le nuove misure di sicurezza e dei mancati introiti derivanti dalla drastica riduzione dei posti. Il lockdown ha messo in crisi l’economia italiana: ci sarà gente disposta a spendere soldi per un concerto? Pesa anche il divieto di consumare cibo e bevande. L’idea di assistere a un concerto in estate senza acqua è aberrante, ma c’è anche un fatto economico: la vendita rappresenta un’entrata in alcuni casi per i promoter, in altri per chi gestisce le strutture dove si tengono i concerti. Per non dire dell’idea che per motivi di salute pubblica famiglie o amici che si recano assieme al concerto debbano stare a un metro di distanza. C’è anche il tema dell’afflusso del pubblico, nota Salzano. «Pensiamo alle file di poche decine di persone davanti ai supermercati e che cosa potrebbe essere fare entrare 1000 persone tenendole a distanza di sicurezza. C’è da pensare anche all’eventuale responsabilità del legale rappresentante della società che organizza l’evento: che cosa accade se qualcuno contrae il contagio?». E poi, con i posti ridotti e le nuove misure di sicurezza, aggiunge Salzano, «sarà difficile applicare i prezzi medi dei biglietti».

«È vero, il protocollo spaventa», ribatte Barbaro, «ma sapremo adeguarci, così come ci siamo adeguati dopo i fatti di Piazza San Carlo a Torino e dopo Corinaldo. Quando facciamo un concerto in uno stadio portiamo praticamente un ospedale da campo. Vuoi che ci spaventi un po’ di gel per le mani o misurare la temperatura agli spettatori? E daremo battaglia per avere elasticità su cose come il divieto di consumare acqua o stare vicini fra amici e parenti. Non voglio alzare bandiera bianca subito». Secondo Fuccio, essere rinunciatari in partenza ha impedito ai promoter di interloquire con la politica e proporre al governo soluzioni per ricominciare in sicurezza. «Mi è stato risposto: suggerire soluzioni non è nostro compito. E così il governo è arrivato alle stesse nostre conclusioni con un mese e mezzo di ritardo. Saperlo prima non avrebbe cambiato nulla per chi fa gli stadi, ma avrebbe facilitato la vita ai piccoli operatori. La scarsa proattività del settore ha fatto danni».

Per organizzare concerti nell’estate 2020 sarà necessario ripensare molte cose. Gli artisti non potranno girare l’Italia con una fila di tir con materiali che per essere scaricati e montati necessitano di decine di lavoratori e se vorranno esibirsi dovranno eventualmente ridursi i cachet. «Dovremmo lavorare con la produzione sul posto», dice Barbaro. «Lavorare alla vecchia. Perderemo un po’ dell’aspetto spettacolare, magari guadagneremo in emozione. Hai bisogno di una scenografia quando suoni al teatro antico di Taormina?». La domanda è: quando accadrà? Il decreto è stato diffuso il 17 maggio, molto tardi perché si possano organizzare concerti nel mese di giugno. «Per preparare anche solo uno spettacolo in teatro ci vogliono settimane di prove», spiega Salzano. Secondo Barbaro, «riusciremo a vedere spettacoli dalla metà di luglio in poi. Inoltre, il decreto scade il 31 luglio. Non è detto che per quella data, o anche prima, la situazione sarà migliorata e le misure restrittive saranno allentate. Quest’estate con le discoteche chiuse ci sarà uno spazio da riempire. Gli amministratori locali cercheranno eventi da ospitare». E da finanziare. Secondo Salzano, si tratta di un punto importante: «È molto difficile – e non dico impossibile per rispetto nei confronti dei colleghi che ci stanno provando – realizzare concerti come quelli immaginati dal decreto senza attingere al finanziamento pubblico, ad esempio dei comuni interessati a creare momenti di aggregazione in città».

C’è un altro fatto. C’è chi pensa che un concerto davanti a 800 persone non sia un vero concerto. Siamo abituati a pensare in termini di grandi eventi. Più spettatori ci sono, più un concerto è un successo – un’idea assurda specie nel rock che ha costruito il suo mito anche su show formidabili visti da pochi fortunati. Negli ultimi anni esordienti sono stati portati nei palasport e cantanti da palasport negli stadi, fino ad arrivare a certi paradossi, come regalare migliaia di biglietti pur di riempire i posti vacanti o vedere Davide Van De Sfroos che suona a San Siro di fronte a poco più di 20 mila persone. È un paradigma accettato da parte del pubblico: se non c’è massa non c’è concerto. «Negli ultimi cinque, sei anni il mercato del live è stato drogato», dice Barbaro. L’estate 2020 potrebbe aiutare qualcuno a ripensare l’idea che grande è bello e che la musica non può esprimersi ad alti livelli di fronte a poche centinaia di persone. E che possiamo fare a meno delle star, almeno per un po’. Si è insomma creato un vuoto che gli artisti indipendenti potrebbero riempire. Come dice Fuccio, «se il ristorante stellato non apre perché non ha convenienza a farlo, la gente andrà a mangiare in trattoria».

I cantanti pop hanno fatto compagnia agli italiani in lockdown. Per due mesi hanno fatto dirette Instagram e postato video in cui hanno ribadito l’importanza della musica nella vita delle persone e hanno rivolto pensieri ai lavoratori dello spettacolo. Pur operando nelle restrizioni del decreto, questa estate avranno la possibilità di dimostrare che ci credono davvero, che la musica è importante, che può ancora arrivare alle persone, che si possono far lavorare i cosiddetti “invisibili”. Guadagneranno meno e non faranno concerti di fronte a folle di fan, ma potrebbero avere la possibilità di esibirsi per molte serate di fila in posti come il Teatro Romano di Verona o il Vittoriale di Gardone Riviera, se si scopriranno adatti alle nuove norme e se sarà economicamente sostenibile. O forse qualcosa glielo impedisce: i contratti di esclusiva che li legano a organizzatori che hanno deciso di non organizzare eventi. «Vedrete che quest’estate suoneranno in tanti, anche alcuni degli artisti che hanno rimandato le date al 2021», dice Barbaro. «Lo faranno perché ci credono, perché si sono esposti, per aiutare le loro squadre di lavoro». Ferdinando Salzano assicura che se un suo artista dovesse chiedergli di fare concerti, lui cercherebbe di accontentarlo. «Siamo in una fase d’attesa, il decreto è uscito da pochi giorni, vediamo se ci saranno correttivi, vediamo come sarà l’applicazione, ma per ora non ho ricevuto pressioni dagli artisti che rappresento».

Restano i temi della paura e della crisi: la gente avrà i soldi in tasca e avrà voglia di andare a vedere un concerto? E poi: quanto soddisfacente può essere un’esperienza di quel tipo? «Tenere gli spettatori seduti un posto sì e due no e con la mascherina non sembra il modo giusto per fruire un concerto di un certo tipo», nota Salzano. «Non c’è aggregazione, partecipazione, condivisione di entusiasmo, che sono le cose che l’artista cerca. Non è il modo giusto per rappresentare la musica». Le foto del concerto col distanziamento sociale che si è tenuto in Arkansas sono decisamente tristi, ma si trattava di un’esibizione in un teatro. Un concerto all’aperto, magari in un luogo suggestivo, avrebbe un altro effetto. Barbaro è ottimista. «L’altro giorno ho preso il primo caffè al bar dopo due mesi e mezzo e mi ha preso una felicità strana. Ma te l’immagini che cosa può essere sentire per la prima volta dal vivo Diodato che canta Fai rumore in un’arena all’aperto dopo la fine del lockdown? Sarà un’esperienza unica ed emotivamente potentissima. Sarà un’estate indimenticabile».

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