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Rocco Tanica nei paesi delle meraviglie

‘Lo sbiancamento dell’anima’ dell'ex tastierista di Elio e le Storie Tese è il libro italiano più divertente degli ultimi anni. Un po' romanzo di Wu Ming e un po' thread di 4chan, è come un grande live a sipario chiuso

Rocco Tanica nei paesi delle meraviglie

Rocco Tanica

Foto: Settimio Benedusi

Dello Sbiancamento dell’anima di Rocco Tanica, edito da Mondadori, si potrebbe dire semplicemente che è il libro italiano scritto bene più divertente degli ultimi vent’anni, ma forse sarebbe troppo lineare per un’autobiografia che comincia nella California del 1985, continua alle terme di Castrocaro e finisce con un gesto ottimista quanto disperato: cercare di azzerare tutto.

La ricetta del post-postmodernismo letterario secondo Rocco Tanica (nome d’arte di Sergio Conforti) è un sapiente mix tra Rayuela di Cortázar (pali e frasche, ordine dei capitoli sparso e customizzabile), un libro di Wu Ming (appendici digitali instabili, scrittura a più mani — anche se qui sono tutti pseudonimi dello stesso cristiano valdese), 4chan (narrazione senza freni da forum dell’assurdo, catalogazione nerdistica per accumulo). Il risultato è l’educazione sentimentale picaresca e cosmopolita — dalla Scandinavia alla Costa Rica, dalla via Gluck a Cervia — di un italiano musicarello. In altre parole: Sergio nei paesi delle meraviglie (perché usare Rocco, qui, faceva troppo pornazzo cecoslovacco).

La lingua di Tanica è da drughi buoni: colta ma fetente, violentemente colloquiale. Le sue pagine sono piene di figure retoriche ben fatte ma che nominare sarebbe un’offesa alla loro mancanza di pretenziosità. Rocco possiede una padronanza della struttura narrativa che non ti aspetti da uno che ha passato buona parte della sua vita a fare le cose che dice di aver fatto, come sfilarsi un milione e mezzo dal sedere o produrre notiziari specializzati in donne nude. Lui sa come raccontare una storia: non c’è mai nulla di superfluo, non c’è mai nulla che ti annoi. Tutto — anche quando piangi per il compagno di scuola sordomuto, che a lungo aveva simulato di apprezzare le vibrazioni della musica del Narratore, solo per non dargli dispiacere — ti allieta.

Prima di cominciare a narrare Rocco ci dà un’avvertenza ingannevole oltre ogni misura, proprio perché estremamente chiara:

Gli scritti sono suddivisi in due tronconi principali o branche:
– Episodi e fattarielli, da estesi a minimi, verificatisi nel corso del mestiere di vivere.
– Racconti, messe in scena, varia Mondadori.

Episodi e fattarielli sono accaduti proprio. I racconti, le messe in scena e compagnia briscola sono infingimento, fantasia o panzana. Esempio di fattariello: Rocco arriva in Danimarca e si sfila un milione e mezzo di lire dal sedere. Esempio di varia Mondadori: corse clandestine di treni organizzate dal deposito Smistamento Milano Nord ai box di lavaggio.

L’uso tanichiano del lessico, che va dall’alto al basso, dall’italiano centrale al milanesismo periferico spinto, rispecchia la struttura del libro, che anch’essa si muove tra verticalità e orizzontalità, tra format diversi (giallo, memoriale, Libro Cuore, script comico, finto scherzo a parte, vera confessione, bozzetto surrealista), tra fasi della vita diverse, identità diverse, donne diverse, anche se in fondo sempre uguali. Questo eclettismo trionfa nel meraviglioso uso delle note a piè di pagina, con cui Tanica si consacra tra i veri grandi scrittori ipertestuali. A volte sei sicuro che ha detto uno sproposito, ma poi nella nota c’è il link al video della cosa, a inchiodarti. Altre volte, però, le spara ancora più grosse nella nota che nel testo ad essa ancorato.

Le note vanno dai video con il the best di Holer Togni in macchina su due ruote alle definizioni del vocabolario Treccani: link ugualmente temerari. Lo Sbiancamento, tra le altre cose, è dunque anche una playlist (la cui chicca assoluta è L’elefante gay di Erika Mannelli, che arrivò in finale all’Ambrogino d’oro del 1984), una piccola biblioteca, un libro di barzellette (si segnala il remake di quella con Claudia Schiffer sull’isola deserta), ecc. ecc. Per tutta questa multimedialità l’esperienza migliore del volume, se perdonate la bestemmia, è l’app Kindle su iPad.

La copertina de ‘Lo sbiancamento dell’anima’, il libro di Rocco Tanica pubblicato da Mondadori

Alla prima lettura colpisce come l’impianto narrativo dei fattarielli sia fortemente proustiano. Forse, proustiano come poche cose di non stretta osservanza francesista fin de siècle lo sono state (a parte Infinito di Raf, quando il Riefoli sembra cantare la sottanza di Marcel per Albertine scomparsa: “Ieri avrei voluto leggere i tuoi pensieri / Scrutarne ogni piccolo particolare ed evitare di sbagliare / Diventare ogni volta l’uomo ideale”). Si va avanti e indietro nel tempo, coi video YouTube di pubblicità di giocattoli come altrettante madeleine. Non mancano amori impossibili da semi-adulto in contesto urbano (Pastigliate-Parigi), gravi patologie durante i soggiorni estivi in provincia (Taranto-Combray), amorazzi in località marittime amene (Cesenatico-Balbec). Altra cosa troppo proustiana per non notarla è la figura materna, che viene evocata ogni volta che qualcosa in Rocco va storto a livello igienico-sanitario, ad esempio quando lei gli sta al capezzale perché intasato di pupù in una Taranto resa insalubre dai fumi dell’Italsider — poi Ilva — quanto dall’assenza di asse sulla toilette della zia locale.

Alla seconda lettura deliziano i particolari. Ad esempio il capitolo intitolato: Gomorra spiegato ai bambini. Le avventure di Robertino curiosone, che è un poemetto parodistico in rima baciata dedicato a Saviano, scritto alla Gianni Rodari, se Gianni Rodari fosse stato un po’ un pezzo di fango.

Più avanti, come puoi pensare che sia frutto di invenzione letteraria il capitolo dedicato agli Scherzi scartati da Scherzi a parte? Come puoi, leggendo battuta dopo battuta lo scazzo tra il complice Alfonso Signorini e la sua vittima Amadeus (per la regia di Christophe Sanchez), non credere che sia successo veramente; o quantomeno che Rocco Tanica non sia veramente autore di trasmissioni televisive piuttosto borgesiane, di cui anche le parti improvvisate o comunque sottoposte al libero arbitrio di Amadeus, si avverano nel momento esatto in cui il loro demiurgo le digita sulla tastiera, che siano sceneggiatura del possibile o sbobinatura dell’improbabile?

Ma su tutte le genialità sparse a piene mani la più geniale è probabilmente il finto rinvenimento manzoniano di un componimento di fine anni ’20 — Assurdo, attribuito alla poetessa Woobinda Gloriez — da cui sarebbe stata tratta la canzone Azzurro, riscritta nel ‘68 da Paolo Conte e Vito Pallavicini. Con la scusa di non dare soddisfazione agli autori e non violare quindi i diritti del brano portato al successo dal Molleggiato, Tanica prima riscrive tutta Azzurro sottoforma di mondegreen:

Certo, l’esteta ha tutto largo / e all’imprevisto è colloquial / l’EIAR partì da perle sagge; / esodo sodo, chiasso incita.

Poi, come se non bastasse, si mette a spiegare, verso per verso, che cosa quello scartafaccio volesse dire. E ci possa venire addosso un treno dei desideri se il risultato non vuol dire veramente qualcosa:

“Chi, in arte, afferma il concetto del “bello in sé” sole mostrarsi tronfio e supponente (ha tutto largo) salvo aprirsi al dialogo in modi e circostanze inaspettati. L’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche nel 1927 partì, cioè spartì, mise in campo e a disposizione del pubblico (Con te partisco l’acqua il pane e il sale, d’Annunzio) le migliori risorse aziendali, qui definite perle. Solo la radiodiffusione del libro biblico dell’Esodo fu iniziativa sgradita ai più: il programma fu definito verboso (sodo) e motivo di disturbanza sociale (chiasso incita)”.

Tanica qui dà senso al nonsense, con tanto di apparato critico. In un colpo solo delegittima tutti quelli che, negli anni, hanno cercato di dare un senso ad Azzurro, così come del resto tutti quelli che hanno cercato e cercano, spesso con meno determinazione, arguzia e intelligenza di lui, a dare un senso ad altri aspetti del creato, anche se di più difficile interpretazione rispetto a una canzone sul senso di solitudine metropolitano nella bella stagione. Come questo libro, o la vita. E questo controparoliere raffinatissimo, questo iperMogol, legittima, per inverso, tutti quelli che, pur non pretendendo di dare un senso alcunché, vivono tanto meglio di tutti noi che cerchiamo la verità col lumicino, in un mondo che non ci vuole più.

Quando leggi un libro di memorie fai un patto col narratore: quello che mi stai scrivendo, anche se particolarmente interessante o divertente o lercio, è vero. Però, se conosci abbastanza il personaggio di Rocco Tanica, è chiaro che con lui tendi a fare un patto diverso rispetto a quello che fai con Montaigne o Sant’Agostino. Sai che il suo senso dell’umorismo è basato su dire molto seriamente cose molto assurde (Quasi TG). Quello che non sapevi, però, è quanto fosse bravo a dire molto scherzosamente cose serissime. Ed è lì che ti spezza davvero le gambe: non tanto perché sa raccontare anche incantevoli storie tristi, come ce ne sono tante in questo libro, ma perché finisci per temere che siano successe veramente.

Il fatto è che la vita è sempre e solo qualcosa di diverso da quello che ti aspetti. Per il Tanica bambino è ricevere in regalo un Big Josh dopo che avevi chiesto a chiare lettere un Big Jim. Per il Tanica adulto è una donnina allegra che, puntualmente, ogni volta che la carichi in macchina, speri voglia fare un’eccezione al suo business model (e invece no).

Se la vita non ha senso, perché deve averlo un’autobiografia? È allora che Rocco rompe la quarta di copertina e ti mostra con delicatezza magistrale, senza mai smettere di ridere, che si può essere tanto surrealisti nel narrare le proprie vicende amorose delle elementari, quanto nell’immaginare di aver fatto, per un certo periodo, le pulizie per il Mossad. L’uomo spesso racconta storie perché cerca di dare un senso ai fatti propri. Rocco toglie senso alla vita solo per ridarglielo.

Un passaggio fondamentale del libro è sul primo grande trauma adolescenziale del Narratore, il big bang della sua perdita di una direzione esistenziale: l’annuncio della morte di John Lennon fattogli dal padre, una mattina, al risveglio; come se fosse successo qualcosa a un caro amico, per non essere lasciato in balia del telegiornale (peraltro, senza donne nude). È allora che Rocco comincia a pensare a cosa potrebbe voler dire azzerare una vita e ricominciare: “la riscoperta del fuoco”.

Ma non basta concepire questo desiderio: perché si compia lo sbiancamento bisogna avere la forza di raccontarlo. È questa per Rocco la genesi di ogni fattariello, varia Mondadori, canzone o battuta: creare una nuova versione della vita. Come se solo non chiamandole col loro nome le cose si potessero girare per il verso giusto.

Rocco bambino fu molto soddisfatto del suo provino allo Zecchino d’oro, soprattutto perché a sipario chiuso (“tutti i concerti dovrebbero essere così”). Scrivere un libro facendosi sbiancare l’anima dalla carta è esibirsi ancora a sipario chiuso: un grande live in cui sentirsi finalmente a proprio agio.

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