Riascoltare ‘Linea Gotica’ è come leggere un romanzo storico | Rolling Stone Italia
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Riascoltare ‘Linea Gotica’ è come leggere un romanzo storico

La guerra nella ex Jugoslavia e il rogo di Sarajevo, la poesia e le storie dei partigiani: a 25 anni dall’uscita, abbiamo raccolto le influenze e i riferimenti al centro del capolavoro dei C.S.I.

Riascoltare ‘Linea Gotica’ è come leggere un romanzo storico

I C.S.I.

Oggi, se vogliamo imparare la Storia senza finire nei sussidiari o dentro Wikipedia (insomma: se, come ci dicevano da bambini, vogliamo imparare divertendoci), hanno inventato i podcast di Alessandro Barbero. Che sono scritti – vale la pena ricordarlo – da uno storico con le spalle larghe chilometri, e quindi hanno accuratezza, puntualità, rigore delle fonti; e che però, dall’altro lato, possiedono pure la vocazione allo storytelling, intrattengono. Puoi metterli come sottofondo in cucina: non stonano.

Ma questo, appunto, oggi. Invece venticinque anni fa? Ecco: il 18 gennaio del 1996 usciva Linea Gotica, il secondo disco dei C.S.I., che oltre a rappresentare uno dei capisaldi della nostra musica è, al tempo stesso, meglio di un libro di storia. Vero: è l’album della maturità del Consorzio, vertice delle composizioni intricate, alt rock di Massimo Zamboni, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Francesco Magnelli e dei testi illuminati di Giovanni Lindo Ferretti, qui con una voce forse mai più tanto profonda e storta – il successivo Tabula Rasa Elettrificata sfilaccerà un po’ il maglione, da tutti i lembi.

Però la sua grandezza va oltre la fotografia dello stato di grazia della band: sta nella capacità di unire composizioni, dicevamo, enormi (gli otto minuti di Irata: un crescendo liturgico di basso con pochi simili qui da noi) col racconto minuzioso della Resistenza a cui allude il titolo, e senza per questo scadere nel didascalico. Anzi: i testi di Ferretti si compenetrano con le atmosfere intorno, e sono un labirinto di riferimenti enciclopedici ed espressioni prese in prestito da libri e autori, rievocando un pezzo d’Italia con sincero romanticismo ma anche dovizia storica, prima di offrire una chiave di lettura che trasformi la lotta partigiana in qualcosa di universale e attuale. Linea Gotica, insomma, come romanzo storico che si guarda dietro e intorno. E di cui noi, qui sotto, abbiamo spiegato tutti i riferimenti.

La Resistenza

Al di là delle diramazioni e le associazioni di senso, il disco rimane dedicato ai partigiani italiani, protagonisti nella title track. La Linea Gotica del titolo era una fortificazione che, fra la tarda estate del 1944 e il 25 aprile del 1945, correva al confine fra l’Emilia Romagna e la Toscana: a sud c’era l’Italia liberata dagli Alleati; a nord, rimaneva la Repubblica Sociale di Mussolini, come Stato fantoccio della Germania. Chiaro: la lotta contro i nazifascisti si era sviluppata da Roma in su già dall’anno precedente, ma Ferretti si concentra sull’ultimo inverno di guerra civile, quello limitato al settentrione, in cui gli scontri fra le parti furono i più duri e tristemente iconici.

“Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio”: l’adesione alla RSI o la guerriglia fra le montagne sono questione morale, bisogna schierarsi. I C.S.I. osservano da fuori: “La mia piccola patria”, l’Italia divisa, “sa scegliersi la parte dietro la Linea Gotica”, perché “anche la disperazione” per l’occupazione tedesca “impone dei doveri”, e “l’infelicità può essere preziosa”. La lettura è emotiva, ma rigorosa: migliaia di ragazzi richiamati alle armi preferirono la diserzione e la lotta partigiana (la “giovane umanità antica, fiera, indigesta”) all’inquadramento nell’esercito dei repubblichini. Rischiando la morte (“Occorre essere attenti, per essere padroni di sé stessi”) sotto il “cielo padano plumbeo”, improvvisando secondo “il buonsenso, la logica, i fatti, le opinioni”. Qualcuno temporeggia (“La facoltà di non sentire, la possibilità di non guardare”). Ma molti si decidono lo stesso: i ragazzini diventano “giovane staffetta”, i più grandi “ribelle combattente”, persino il “monaco ubbidiente” (cioè il presbitero Giuseppe Dossetti) contribuisce a suo modo alla causa. E tutti insieme intonano “un canto partigiano al comandante Diavolo”, nome di battaglia di Germano Nicolini, eroe della Resistenza scomparso proprio nel 2020, a 101 anni d’età.

Beppe Fenoglio

Dicevamo dell’adesione alla guerriglia: secondo la title track si combatte per ideologie universali, ma pure per “ragioni personali”, perché la Resistenza può trasformarsi in “una questione privata”, con Ferretti che qui tira in ballo il romanzo di Beppe Fenoglio, Una questione privata. Ma non è l’unica citazione a tema: la canzone si apre con una declamazione – “Alba la presero in 2000 il 10 ottobre, e la persero in 200 il 2 novembre dell’anno 1944” – estrapolata proprio dall’esordio letterario dello scrittore piemontese, I ventitré giorni di Alba, sulla breve esperienza della Repubblica partigiana di Alba.

I fatti: come in altre piccole località del nord, nell’autunno del 1944 un gruppo di guerriglieri occupa la cittadina piemontese (fra loro c’è anche lo stesso Fenoglio, che era nato lì) per qualche settimana, dando vita a un lembo di terra libero, indipendente dall’occupazione nazifascista; durerà poco, ma resterà un episodio emblematico della Resistenza. Tanto che i C.S.I. ne inseriscono dei frammenti nel pezzo e, qualche mese dopo l’uscita del disco, nella chiesa di San Domenico di Alba danno vita a un concerto leggendario (nome in codice: Un giorno di fuoco) di cui ci rimane traccia nel live – uno dei più intensi della musica italiana – La terra, la guerra, una questione privata, fra esecuzioni liturgiche, canti partigiani e letture dei testi di Fenoglio.

Per il resto, girando su internet si trovano tante altre possibili affiliazioni fra la sua prosa e i versi di Ferretti, a riprova di come lo scrittore sia un po’ il padre spirituale di Linea Gotica. Fra le analisi più interessanti, questa che rintraccia termini e situazioni ricorrenti – a mo’ di vasi comunicanti – fra i due mondi, con particolare attenzione ad alcuni passaggi de Il partigiano Johnny e del brano Irata.

Pier Paolo Pasolini

Però Irata, col suo lunghissimo saliscendi scandito dal basso di Maroccolo e dal canto monastico di Ferretti, fra rabbia e meditazione, oltraggio e compassione, è soprattutto un tributo a Pier Paolo Pasolini. Al di là dei riferimenti sepolti a Fenoglio, infatti, la canzone cita in blocco una poesia di PPP, quella Oggi è domenica, domani si muore – “oggi è domenica, domani si muore, oggi mi vesto di seta e d’amore” – che si prende la scena al momento del ritornello. La scelta non è casuale: il componimento appartiene a Poesie di Casarsa, una raccolta di versi scritti durante la guerra, da rifugiato a Casarsa della Delizia, in Friuli, mentre suo fratello minore Guido combatteva sulle montagne come partigiano, agli ordini di Francesco De Gregori (omonimo e zio del cantautore). La storia d’Italia passa anche da qui.

Il cristianesimo

Da lì, e dalla influenza (temporale, spirituale, comunque culturale) della religione cristiana in Italia. Esaurito il discorso della Seconda guerra mondiale, l’album volta infatti lo sguardo intorno, e indietro. Fa fede la copertina: le bombe, ma anche la Storia, la religione, il Medioevo. E allora è un rantolo lucidissimo – “Millenni nel nome di Dio” – a scandire la preghiera marziale Millenni, che percorre a ritroso secoli di battaglie sante (la “Santa mattanza”), di crociate fuori tempo massimo (“Millenni di sangue versato a concime”) e in generale di sudditanza teologica (“Millenni di patto, millenni di legge, millenni d’osservanza”). Fa sorridere, pensando alla svolta ultra-cattolica che di lì a poco avrebbe investito Ferretti. Ma, pure stavolta, in poche righe c’è l’identità del nostro Paese, come del resto anche nella sorella minore L’ora delle tentazioni: “La casa, la chiesa, a modo e per bene; campana che suona, la notte che viene, cattolico decoro”; quindi, “la luce si spegne”. Anche qui: ai livelli di un libro di scuola.

La guerra in Jugoslavia

E se nel 1945 c’era una guerra civile in Italia, con un popolo che resisteva “dietro la Linea Gotica”, nel 1996 i C.S.I. trovano un parallelo dall’altra parte dell’Adriatico, nel conflitto interno che sta smembrando l’ormai ex Jugoslavia. Ferretti ne è testimone impotente dall’Italia e in Cupe vampe commemora uno dei momenti emblematici del drammatico assedio di Sarajevo da parte delle forze serbe: l’incendio, datato 25 agosto 1992, della Vijećnica, l’edificio storico all’epoca adibito a biblioteca nazionale. Vanno persi quasi un milione e mezzo di volumi, di cui alcuni rarissimi (“Brucia la biblioteca i libri scritti e ricopiati a mano”), e con loro la speranza di un futuro di pace, ideali e istituzioni in cui credere. Il valore del rogo è simbolico: “Ci fotte la guerra che armi non ha, ci fotte la pace che ammazza qua e là, ci fottono i preti, i pope, i mullah, l’Onu, la Nato, la civiltà”. E Linea Gotica è un manuale di storia perché, attraverso passato, spiega il presente.