Trent Reznor è uno che di solito tiene la sua attività da raffinato compositore da Oscar ben separata da quella dei Nine Inch Nails. Non questa volta. La colonna sonora che ha confezionato con Atticus Ross per Tron: Ares è la prima a uscire marchiata NIN. È anche il primo disco dei Nine Inch Nails da cinque anni a questa parte e contiene tutte le passioni di Reznor: il synth anni ’80, la violenza dell’industrial, il minimalismo metallico, le miniature pianistiche gelide, il lato B di Low di David Bowie, l’angolo più sudato di un club goth.
Delle 24 canzoni presenti, quattro sono cantate da Reznor. As Alive As You Need Me to Be sono i Nine Inch Nails vecchia scuola, il lato oscuro di Reznor fa rimare “infection” e “connection” in un ritorno ai grandi temi che predilige, ovvero il potere, la sottomissione, il controllo. La sorpresa è il ritornello col vocoder che fa “yeah yeah yeah” e un po’ evoca i Daft Punk che fanno un rave al cimitero.
I Know You Can Feel It sembra un pezzo grunge folle che divora una triste canzone trip hop, con Reznor che intona un inno all’attesa predatoria. Nella bella e malinconica Who Wants to Live Forever? mette il suo canto sconsolato sopra lastre di ghiaccio ambient mentre la spagnola Judeline duetta in modo delicato e sobrio. E poi c’è la di doom-disco rabbiosa di Shadow of Me. Non solo: pezzi come A Question of Trust e Target Identified avrebbero potuto diventare canzoni perfette per il repertorio dei NIN se solo Reznor ci avesse aggiunto una parte vocale.
Le ultime due uscite dei Nine Inch Nails, vale a dire Ghosts V: Together e Ghosts VI: Locusts del 2020, avevano visto Reznor inoltrarsi in un mondo di una cupezza assoluta, con risultati sorprendentemente avvincenti. La colonna sonora segue lo stesso concetto fra bordoni, ronzii e vibrazioni di synth vintage che evocano il futurismo fantascientifico incarnato dal primo Tron, quello del 1982.
Reznor è anche produttore esecutivo del nuovo capitolo del franchise, che parla del primo incontro dell’umanità con esseri dotati d’intelligenza artificiale e ne accentua la cupezza distopica con le atmosfere delle musiche e titoli come Building Better Worlds ed Empathetic Trust. Per citare uno dei suoi compagni di viaggio nell’alt rock, “we’ll make great pets”, diventeremo perfetti animali da compagnia.
Solo un masochista si metterebbe ad ascoltare tutto Tron: Ares dall’inizio alla fine, per oltre un’ora, il che significa che è un disco perfetto per i fan dei Nine Inch Nails. Presi isolatamente, alcuni dei suoi momenti migliori, come l’Echoes alla Erik Satie in versione Cylon e l’implosione sonora di Infiltrator, offrono variazioni interessanti sulla tensione tra l’aspetto umano e l’angoscia robotica su Reznor fa leva da decenni.
Per il prossimo vero disco dei Nine Inch Nails potrebbe cercare un maggiore equilibrio fra aggressione e astrazione. Se lo facesse, potremmo ritrovarci per le mani una versione aggiornata di The Downward Spiral.
