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Per favore, candidate ‘La Divina Commedia’ di Tedua al Premio Strega

Il rapper genovese riesce a essere, al contempo, trapper e tele-predicatore, poeta e picchiatore, Ol' Dirty Bastard e Vasco. Lo diciamo provocatoriamente (ma manco troppo): con la sua scrittura, lirica e piena di immagini, non sfigurerebbe nella "dozzina"

Foto press

Tedua è tornato! Tre anni di attesa nel rap italiano sono tantissimi, il rischio lo riassume bene Marracash in uno dei tanti feat del disco: “Tutte le sere penso al game/come è cambiato questo mestiere/pieno di scadenze per non scadere”.

L’industria discografica fagocita un mercato già saturo, ragazzi giovani e affamati droppano singoli e album ogni venerdì inseguendo la top 10 di Spotify e i sold out nei palazzetti, la bulimia trap-capitalista ingoia, mastica, sputa, dimentica. In questo panorama Tedua rappresenta un’eccezione: il suo La Divina Commedia è stato annunciato più volte, se ne parlava già due anni fa, ma la tracklist è stata chiusa in fretta solo a maggio – il vinile non è ancora pronto, è in stampa.

I motivi? Essenzialmente due: una depressione arrivata durante il lockdown – il suo Inferno – e ora messa a nudo in rima in più di una traccia (“Luce della ragione/accendi questa depressione buia/una volta in mezzo al caos non c’era il Tao non c’era nulla/Ma solo il blocco della scrittura”) e l’ambizione del rapper genovese a confrontarsi con qualcosa di più grande – il titolo dantesco è stato già da subito un indizio – che appagasse il suo essere artista.

Già, perché le sedici tracce che oggi possiamo ascoltare rappresentano proprio il suo Purgatorio, il percorso in cui ha vissuto sulla sua pelle la differenza tra “chi artista lo fa e chi artista lo è”, come ci ricorda proprio alla fine del disco. E l’artista Tedua è proprio quello di cui aveva bisogno oggi il nostro rap game: non un abile creatore di punchline né un furbo entertainer che cucina hit, di quelli ce ne sono in abbondanza, ma un poeta pop e sinceramente anticonformista, illuminato non dal flow ma dall’emozione e dall’urgenza di comunicare con la scrittura.

In passato spesso Tedua era stato accusato di andare fuori tempo, di appoggiare rime in maniera sghemba sui beat, e su questo ha lavorato, ha reso quello che poteva essere un difetto una virtù unica e preziosa: oggi quando ascolti Bagagli o Malamente o la bellissima Red Light e lo senti quasi urlare dal suo personalissimo speaker corner hai semplicemente voglia di urlare insieme a lui, e arrivi quasi a dimenticare che sotto ci sia una base.

Perché è fondamentalmente la scrittura la musa di Tedua, e ci tiene a ricordalo: “Spero che il cinema italiano torni al successo degli albori/E che i rapper facciano gli scrittori” dice in Scala di Milano, “meglio finto intellettuale che finto criminale” chiosa in La Verità. Verrebbe provocatoriamente da candidarlo al Premio Strega, altro che Top 10 Spotify!, in mezzo ai molli romanzi della dozzina La Divina Commedia spiccherebbe per vitalità a coraggio. La sua scrittura lirica e piena di immagini (“cicatrici”, “abissi” “selve oscure” cit!) non è mai prevedibile: chi mai nel 2023 inizierebbe una pezzo con “Sono mancanze affettive danno ferite peggio di quelle economiche”? Chi, oltre a Marra e pochi altri, riuscirebbe a scrivere un testo di autofiction e autoanalisi senza affogare nella retorica? “Mi sono fatto il sangue marcio/per la tecnica la metrica/l’America/La verità è che mi sentivo affranto/mettendo le mie debolezze in vendita/Stavo dimenticando il metodo la pancia/il figlio di puntata quale sono/Cresciuto nei viadotti dentro i blocchi/Da marmocchi in un riformatorio”, improvvisa in Bagagli venendo a patti con i suoi stessi demoni.

Chi oggi saprebbe scrivere una cosa orgogliosamente politica senza suonare patetico? “In quella piazza ho visto laureati parlare di politica storia e finanza con dei portuali/ho visto il bullismo il classismo il sessismo il razzismo/hanno soltanto aggiunto un filtro nell’ipocrisia dei social”, queste rime di Outro Purgatorio le dovrebbe usare Elly Schlein in un comizio a Genova. Chi riuscirebbe a essere in uno stesso pezzo trapper e tele-predicatore, poeta e picchiatore, Ol’ Dirty Bastard e Vasco? Solo Tedua. Per questo e per tanto altro (già non abbiamo parlato dei featuring, riassumo: sono ok) valeva l’attesa.

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