Joni Mitchell At Newport, la recensione | Rolling Stone Italia
At Newport

Non stiamo piangendo, ci sono entrate Joni Mitchell e Brandi Carlile nell’occhio

Il live del ritorno sulle scene della massima cantautrice novecentesca, con la complicità di una musicista di talento, è il disco più struggente che ascolterete quest’anno. Fragile, imperfetto, bellissimo

Non stiamo piangendo, ci sono entrate Joni Mitchell e Brandi Carlile nell’occhio

Joni Mitchell e Brandi Carlile al Newport Folk Festival 2022

Foto: Carlin Stiehl for The Boston Globe via Getty Images

Siamo Brandi Carlile che stringe il microfono e reclina la testa e non riesce a trattenere la lacrime. Siamo Allison Russell che col clarinetto in mano fa ondeggiare la testa persa nella musica. Siamo le Lucius che si stringono per condividere quel miracolo di sorellanza. Siamo Wynonna Judd che piange e basta. Siamo idealmente lì, tutti attorno a Joni Mitchell che dalla poltrona, anzi dal trono su cui siede canta con voce affaticata dalla malattia e dagli anni, eppure meravigliosamente espressiva. È il miracolo, diciamo così, di lei e della sua musica che tornano sul palco.

Il live al Newport Folk Festival registrato nell’estate 2022 è il disco più struggente che ascolterete quest’anno. È fragile, imperfetto, bellissimo. È storia della musica, ma sul serio, non è retorica. Lo dice prima del concerto anche Brandi Carlile, che di quell’esibizione è stata la promotrice. Prima bluffa dicendo al pubblico che avrebbe assistito a un tributo, poi cala il jolly: «Angeli di Newport, facciamo la storia insieme».

Non era infatti prevista la presenza sul palco della massima cantautrice novecentesca sette anni dopo l’aneurisma che l’ha quasi uccisa e l’ha costretta a reimparare a parlare, camminare, cantare, vivere. Con l’arrivo a sorpresa della cantautrice, il cielo si è rannuvolato, «la temperatura è scesa di una decina di gradi» come scrive nelle note Cameron Crowe e il tributo s’è trasformato in una Joni Jam, le session informali che durante gli ultimi anni della convalescenza Mitchell ha organizzato a casa sua. Da un certo punto in poi le ha gestite Carlile, oramai punto di riferimento di tutta una scena e di un modo di fare musica che è contemporaneo eppure senza tempo.

C’è insomma un’atmosfera informale ma non dimessa in Joni Mitchell at Newport, c’è musicianship vecchia scuola, ci sono canzoni incredibili con testi che oggi nessuno scrive più. C’è la sensazione di ascoltare una comunità che si raduna attorno a un’artista amatissima, ma anche a un’idea di musica. Ci sono momenti grandiosi, a volte sono solo brevi passaggi, ma valgono interi dischi. Come quando nel duetto A Case of You Carlile le lascia cantare da sola “I would still be on my feet” e quella frase diventa il simbolo di tutta la serata, la gente urla per l’emozione, Brandi dice “tell her Joni” e ti pare d’esser lì a partecipare a quest’atto d’amore e rinascita. Ci sono brevi dialoghi e aneddoti, come quando Mitchell dice che Hejira è uno dei suoi album preferiti e introduce Amelia, e ci sono momenti di gioia contagiosa, come la versione corale di Big Yellow Taxi con le voci acute delle Lucius e Mitchell che mette il sigillo finale, “they put up a parking lot”, e se la ride. Bello sentirla cedere Carey a Brandi Carlile, peccato non poterla vedere che si alza in piedi per suonare Just Like This Train.

«È stata una lezione per tutte noi», ha detto Celisse, tra i cantanti e musicisti che hanno accompagnato Mitchell quel giorno senza peraltro ricevere un compenso per via del budget risicato del festival. «Ha cantato pezzi che abbiamo sentito milioni di volte, eppure ci ha stesi facendoli in modo diverso, anche più musicale. Non ha più la voce da soprano d’un tempo, però il suo contralto è ricco, profondo e ampio, e ha un senso dell’interpretazione che oggi, superati i 70 anni, è persino più sviluppato di un tempo».

At Newport non è neanche un disco tutto cantato da Mitchell, ma quel che fa basta e avanza. Sentitela cantare della giostra del tempo di cui siamo prigionieri, “non possiamo tornare indietro, possiamo solo guardare indietro, da dove siamo venuti” nella corale The Circle Game. Oppure duettare con Carlile in Shine, che non è un classicone ma dovrebbero esserlo, una preghiera laica che descriveva nel 2007 il mondo del 2023, con parole che nessuno è più capace di trovare e mettere in fila. Ascoltatela nell’attacco di Both Sides Now: “Rows and flows of angel hair and ice cream castles in the air”. Bastano quel po’ di fiato che ci mette e la maturità della sua interpretazione e il colore ormai senile della voce e tutto quello si porta dietro per commuovere (guardate questo video, è pazzesco).

«C’era un sacco di gente felice», ha detto Mitchell del pubblico che ha assistito al piccolo miracolo di Newport. «E sono rimasti felici… finché non hanno cominciato a piangere».