Miley Cyrus è uno di quei personaggi che quando ci pensi dici “incredibile”. Incredibile che sia ancora qui, a fare musica, apparentemente felice, dopo quell’infanzia da pazzi passata a recitare nei telefilm e dopo essere stata stampata su zaini, quaderni e ogni cosa acquistabile dalle bambine nate a fine anni ’90. Incredibile come sia riuscita a evolvere e soprattutto a farci dimenticare completamente quel mondo che l’aveva creata e che, come successo in molti casi analoghi, avrebbe potuto disintegrarla in un attimo.
Miley Cyrus è riuscita invece a costruire una strada delineata e soprattutto lunga. A 33 anni (considerate l’età in cui ha cominciato), ha dimostrato di avere cose da dire, sopra e sotto al palco, e soprattutto di dirle un po’ come le andava. Perché di Miley ricordiamo le canzoni, ma ricordiamo anche un carattere decisamente poco domabile e uno sguardo da spaccona, sì, ma spaccona gentile. Miley è una che quando è innamorata ti butta fuori un disco pieno di canzoni d’amore, che quando ha bisogno di dare fastidio chiama Wayne Coyne e pubblica su SoundCloud (con probabilmente la maledizione della sua etichetta) un album come Miley Cyrus and Her Dead Petz, dedicato ai suoi animaletti che ci hanno lasciato.
In mezzo c’è stato un disco country, uno glam pop, un EP sottovalutatissimo e poi anche quella hit incredibile che è stata Flowers, manifesto di tutte le persone single e che si bastano da sole e che le è valso il primo Grammy della sua carriera. E oggi, a distanza di due anni dal suo successo più grande, Miley non ha cercato di ripetere la formula. È cambiata ancora. Perché Something Beautiful è un’operazione ambiziosa, presentata largamente con un docufilm (pare) ispirato a The Wall dei Pink Floyd («ma con più glitter», dice lei). Il lungometraggio non l’abbiamo visto, ma il disco l’abbiamo sentito. Ed è un insieme di cose in cui sembra subito che Miley voglia far capire che è andata avanti, ancora, pur guardandosi sempre indietro.

Foto: Glen Luchford
Se dovessimo dirvi com’è rispetto ai lavori precedenti, che sì avevano un’identità chiara, anche estetica, qui è più complesso. Ci sono le grandi melodie (Golden Burning Sun forse la nostra preferita), ci sono i riferimenti agli anni ’70 e ’80, c’è il soft rock e ci sono le ballad strappalacrime. La title track potremmo definirla nu soul, per dire, prima di quello special che la squarcia in due. Ci sono tracce corali. Un po’ come se tutte le Miley di prima si fossero incontrate in studio per tirare un punto.
Lo definiremmo uno slow burner, uno di quei dischi che vanno ascoltati qualche volta e dove al primo ascolto forse ti lasciano solo la voglia di ascoltarli meglio. Alcune tracce le avevamo già sentite, tipo The End of the World, il primo singolo: un inno al vivere il presente, tanto «mica finisce il mondo». Atmosfere Seventies che ritroveremo in molte produzioni del disco. Come in Easy Lover, altro pezzo playlistabilissimo (sorry). Ma le atmosfere rétro continuano in come Every Girl You’ve Ever Loved, che al pianoforte potrebbe essere il pezzo più struggente del mondo, e invece con la produzione fatta di synth e sax diventa la colonna sonora perfetta pre disco (e c’è anche un feat. di Naomi Campbell, sì).
Diremmo generalmente che Something Beautiful qualcosa di bello lo è veramente. Anche perché sembra proprio il disco di una donna che sa da dove viene e che continua sulla strada del cambiamento. Non a caso, dicevamo prima, quando è uscita dai binari ha sempre fatto centro. Anche se qui, più che di uscire dai binari potremmo parlare di incroci: è qualcosa di nostalgico (le Miley precedenti, dicevamo) ma allo stesso tempo contemporaneo. Nel disco non c’è solo Naomi: c’è anche Brittany Howard degli Alabama Shakes che piazza alcuni dei suoi vocals su Walk of Fame, traccia che vi farà venire in mente solo i brillantini sul pavimento di una piccola discoteca sotterranea.
La cosa evidente della carriera di Miley è che è sempre molto difficile prevedere come andranno i suoi lavori a livello di classifiche. Alcune cose vanno benissimo, altre meno. Lei comunque va avanti e prova a fare quello che le piace. In questo disco, per esempio, chi si aspetta di trovare una nuova Flowers rimarrà deluso. Ed è difficile appigliarsi a un brano per farsi traghettare nel progetto: non c’è, o almeno non c’è ancora un singolo prepotente che acchiappa le persone che ascoltano la radio e le trascina dentro Something Beautiful. Ci sono canzoni a cui va dato un po’ di tempo, piene di riferimenti agli artisti che le piacciono: Moroder, ABBA, Fleetwood Mac, per dirne tre.
Something Beautiful è inoltre un disco di tracce lunghe, e se vogliamo fuori moda per il 2025 (ci sono canzoni da quattro, cinque e pure da sei minuti). Insomma, potremmo serenamente dire che è un lavoro sofisticato in cui Miley prova ancora una volta a non farsi incasellare. Oltre le hit radiofoniche c’è qualcosa in più: gusto, ricerca, cambiamento. Dategli una chance, altrimenti ci vediamo al prossimo. Tanto «mica è la fine del mondo».