La mediocrità della musica di oggi potrebbe rovinarci l’ascolto di ‘Lux’ di Rosalía? | Rolling Stone Italia
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La mediocrità della musica di oggi potrebbe rovinarci l’ascolto di ‘Lux’ di Rosalía?

La popstar catalana ha fatto l’ennesimo disco enorme, l’ennesimo disco dell’anno. Ma la noia del pop attorno a lei rischia di scoraggiare chi non è più abituato a un ascolto così ricco. Una riflessione

La mediocrità della musica di oggi potrebbe rovinarci l’ascolto di ‘Lux’ di Rosalía?

Rosalía

Foto: Noah Dillon

Non giriamoci attorno: la musica di questi anni fa generalmente schifo. Esclusi pochi romantici ambiziosi, è di una noia mostruosa. Manca di immaginazione, di dimensione, d’aspirazione alla grandezza. Tutto è nella norma, medio, sufficiente. La nuova next big thing della prossima playlist Spotify suona come quella di ieri, e come quella di domani. Il tempo scorre circolare, intrappolandoci. Attorno a questa sonora comfort zone di poco-e-nulla, l’apocalisse. Chi prova vie di fuga, ritorna indietro nella storia, campeggiando nel passato. Il futuro ce lo siamo dimenticati. Il futuro è finito.

Maxwell Maltz nel 1960 ipotizza la “teoria dei 21 giorni”, il tempo necessario per sviluppare un’abitudine. I nuovi studi, però, hanno ritenuto troppo ottimista il buon Maltz, spostando l’asticella a 66. Quindi cosa succede se per 365 giorni ascoltiamo musica mediocre? E cosa accade se questo numero lo moltiplichiamo per, non so, cinque-dieci anni? Accade che non siamo più abituati a pensare che possiamo – e dobbiamo, vogliamo – pretendere della musica migliore di quella che ci viene propinata in ordine sparso da: artisti, case discografiche, piattaforme di streaming.

Per fortuna, però, una volta l’anno, ma a volte anche meno, esce un disco che ci fa pensare che forse la salvezza (sì, quella musicale ma anche quella divina) ci sia. Che ci sia un altro tempo oltre questo tempo circolare. E, quando accade, alla fine, ci stupiamo. Come con Lux di Rosalía. Ma perché ci stupiamo se una popstar prova a fare qualcosa di diverso dalla norma?

ROSALÍA - Mio Cristo Piange Diamanti (Official Lyric Video)

Ci stupiamo perché la mediocrità è un virus peggiore di molte pandemie. Si insinua, inodore e insapore, infettando il nostro modo di pensare, di guardare alla vita, alla bellezza, all’arte. E in un’epoca storica dove anche la scienza viene messa in discussione dal medioevo del pensiero, quando un artista si scopre immune a questa pochezza, noi – fessi – ci stupiamo.

La musica è un atto di fede. E Rosalía, in Lux, prende questo concetto alla lettera. Ispirate dalla lettura di agiografie e da figure di sante come Teresa D’Avila, Olga da Kiev, Santa Rosalia di Palermo, le 15 tracce che compongono il disco (18 nella versione fisica) sono un dialogo tra l’artista catalana e qualcosa di più grande, che qui può avere diversi nomi: Luce, Dio, Undibel (“Signore” nella lingua gitana caló). È l’album più ambizioso della carriera della popstar, nonché probabilmente il più ambizioso nel pop da molto tempo a questa parte.

Lux è costruito su tempeste orchestrali (garantite dalla London Symphony Orchestra condotta da Daníel Bjarnason, con arrangiamenti di Caroline Shaw e Angélica Negrón), salti dinamici, esplosioni vocali. È pop? No e sì. No, nel senso che niente nel pop suona Lux. Sì, nell’accezione che la stessa Rosalía ha provato a spiegare nelle interviste pre-pubblicazione: tutto è filtrato e leggibile anche per chi non sa nulla di musica classica, flamenco, opera. «So che chiedo tanto al pubblico con questo album», ha dichiarato nelle interviste pre-pubblicazione. Ma, ritorniamo al punto di partenza: perché un’artista dovrebbe chiedere poco? Perché dovrebbe trattarci come analfabeti emozionali che non possono comprendere la bellezza, la grandezza, l’ambizione di un album? Non stiamo, in fondo, parlando di fisica quantistica. Ma di emozioni. Banale, vero?, ma dannatamente vero.

Lux è un disco che si sviluppa in una verticalità che la stessa Rosalía canta nell’introduttiva Sexo, Violencia, y Llantas: “Che bello sarebbe lasciare questa Terra, andare in Paradiso e poi tornare sulla Terra”. È questo dualismo tra terreno-divino a creare la tensione che riesce a trattenerci in questa ora di musica bellissima, ispirata. Rosalía riconosce i propri limiti (“Non sono una santa, ma mi sento benedetta”, specifica in Reliquia), affidando alla musica la capacità di creare un ponte con l’ultraterreno. “Attraverso il mio corpo puoi vedere la luce”, recita in Divinize. Ma è il climax orchestrale e lessicale dell’ultima strofa de La yugular a risolvere il conflitto: la luce è dentro di noi.

Io mi inserisco nel mondo
E il mondo si inserisce in me
Io occupo il mondo
E il mondo occupa me
Io mi inserisco in un haiku
E un haiku occupa un paese
Un paese si inserisce in una scheggia
Una scheggia occupa l’intera galassia
L’intera galassia si inserisce in una goccia di saliva
Una goccia di saliva occupa la Fifth Avenue
La Fifth Avenue si inserisce in un piercing
Un piercing occupa una piramide
E una piramide si inserisce in un bicchiere di latte
E un bicchiere di latte occupa un esercito
E un esercito si inserisce in una pallina da golf
E una pallina da golf occupa il Titanic
Il Titanic si inserisce in un rossetto
Un rossetto occupa il cielo
Il cielo è la spina
Una spina occupa un continente
E un continente non si inserisce in Lui
Ma Lui entra nel mio petto
E il mio petto contiene il Suo amore
E nel Suo amore, voglio perdermi

ROSALÍA - La Yugular (Official Lyric Video)

Lux è grande come un continente, ma allo stesso tempo può stare dentro di noi. Nelle sue 13 lingue, nel suo intero splendido brano in italiano (Mio Cristo piange diamanti, ispirato a quanto pare dagli ascolti materni di Pavarotti), nel suo imperioso uso dell’orchestra e della musica classica (oltre al fado portoghese, la musica mexicana, il flamenco), nei featuring di Björk e Yves Tumor, nelle collaborazioni con Guy-Manuel de Homem-Christo dei Daft Punk e Pharrell. Come i precedenti El mal querer e Motomami, Lux riscrive i canoni del pop, trasformandolo in un campo di gioco dove generi, lingue, linguaggi sono solamente strumenti che l’artista ha a disposizione per plasmare le proprie idee in modo libero. Lux è come l’amore, come Dio, come tutto ciò che ha potere di essere infinito: ha una dimensione a cui possiamo solo arrenderci per accettarne la bellezza. È commovente, come ogni atto di fede, come ogni capolavoro.

Rosalía, con un disco del genere che non flirta con le classifiche, che non ripropone formule vincenti, che non accenna minimamente a generi di ampio consumo come il reggaeton, aveva (e ha) solo che da perdere. In un periodo storico dove tutti si limitano al compitino, dove la paura di rischiare è superiore alla necessità artistica di provare, evadere, scappare dallo status quo dell’algoritmo playlist, Rosalía ancora una volta fa quello che vuole. È David Bowie, David Byrne, Kanye West, Patti Smith (che cita nella chiusa de La yugular). E come tutti i grandi, per molti, sarà troppo. Sarà sbagliata. A volte scrollarsi di dosso la mediocrità è davvero complesso.

Lux è gigantesco con i suoi uragani corali, i suoi archi tempestosi, i suoi testi in odore di santità, ma è fatto anche di cose piccolissime come le campane in lontananza di Magnolias, o la risata rubata che chiude Mio Cristo piange diamanti. La noia del pop attorno a Rosalía rischia di scoraggiare chi non è più abituato a un ascolto così ricco. Ma questo è ciò a cui deve puntare una artista: non limitarsi mai.

Noi lo lasciamo qui, per il futuro: Lux è il disco dell’anno, Rosalía la popstar del decennio.

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