Nel caso non l’abbiate notato, Justin Bieber sta facendo sul serio. È tornato con un nuovo album a sorpresa, Swag, annunciato poche ore prima dell’uscita. Quattro anni dopo la sua ultima raccolta di inediti, Bieber ha molto da dire, basti pensare a tutto quel che ha passato negli ultimi anni. In Swag ci sono R&B raffinato, chitarre rock registrate su memo vocali, collaborazioni con Mk.gee, Dijon, Cash Cobain, Gunna e Sexyy Red. Al centro però c’è lui che racconta i suoi casini quotidiani.
Il suo ultimo album risale al 2021, dicevamo: Justice era pieno di ospiti famosi e conteneva Peaches, forse il tributo più sensuale all’erotismo “fruttato” dopo Watermelon Sugar e Cherry di Harry Styles. Ora però, a 31 anni, Bieber fa il punto sulla sua vita adulta e affronta i suoi drammi, personali e professionali. Come forse avrete letto, ha avuto qualche problema ultimamente: è diventato padre, ma ha cancellato un tour enorme per prendersi cura della sua salute mentale, si è scontrato con i paparazzi e sfogato sui social, ci sono stati gossip sul suo matrimonio e caos nella sua attività imprenditoriale.
Swag è un disco di guarigione. Al punto che non sorprende trovare tre “sedute di terapia” con il comico Druski, con cui Justin si apre profondamente sulla sua vita. «Una delle cose più difficili per me ultimamente», confessa, «è stato sentire che ho dovuto affrontare molti dei miei problemi in pubblico. La gente continua a chiedermi se sto bene e mi inizia a pesare». Niente che non si possa comprendere da fuori: «Inizio a pensare di essere l’unico con dei problemi, mentre tutti gli altri sono perfetti».
Se l’obiettivo era rispondere ai titoli preoccupati che abbiamo letto sui giornali, con Swag Bieber ci riesce benissimo, perché la creatività è ai massimi livelli ad esempio in Butterflies col suo mix di R&B e riff di chitarra tremolante che sembra uscito — incredibilmente — dagli Smashing Pumpkins. Ecco, in Swag succede anche questo. È musicalmente vario. Si va dallo scintillio pop-R&B di All I Can Take e Go Baby a demo acustici lo-fi, il tutto prodotto con gente tipo Carter Lang, Eddie Benjamin e Tobias Jesso Jr (come molti di noi, anche Bieber è ossessionato da SOS di SZA).
Alcune delle “sedute di terapia” potrebbero far saltare il cringiometro, ma è anche vero che pure le nostre lo farebbero. In ogni caso è meglio che Druski non chieda davvero la licenza da terapeuta visto che il suo metodo consiste nell’offrire ripetutamente al paziente un tiro di un sigaro dall’aspetto sospetto mentre dice battute o cose tipo «La tua pelle è bianca, ma la tua anima è nera, Justin. Te lo giuro, amico». Lo prende anche in giro per il celebre video in cui grida “I’m standing on business” ai paparazzi.
Sweet Spot è un altro tipo di, ehm, terapia. “Mi piace quando è appiccicoso tra le lenzuola”, dice Justin a Sexyy Red in una lenta jam sensuale. “All’inizio ero timida, ma a letto sono una cagna”, rappa lei (un attimo, quando mai Sexyy Red sarebbe stata timida?). Ma ci sono anche molti pezzi in cui Biber canta della moglie Hailey, come la riflessiva Walking Away: “Tesoro, è meglio fermarci prima di dire qualche stronzata,” canta in un raro momento di consapevolezza. “Abbiamo messo alla prova la nostra pazienza / Forse è meglio prenderci una pausa e ricordarci cos’è la grazia”.
Vuole insomma che nessuno metta in dubbio il suo impegno in quanto marito e padre. In Go Baby loda la moglie per aver costruito il suo impero beauty partendo dalla cover di un iPhone (“Quella è la mia ragazza, è iconica / Cover dell’iPhone, lipgloss sopra”), in Dadz Love celebra la paternità e la famiglia duettando con Lil B: “Abbiamo bisogno che più persone si uniscano”.
Poi c’è Devotion, con Dijon, una collaborazione che supera ogni aspettativa: calda, luminosa, delicata, con tocchi di pedal steel e armonie country-soul. Insieme a Butterflies, è uno dei pezzi più immediati e coinvolgenti dell’album. Daisies con Mk.gee è un tuffo nel synth-pop alla Phil Collins di metà anni ’80, con beat distorti e chitarre alla Mr. Mister, un viaggio rétro che fa venire in mente i Toto che ascoltano cani selvatici che ululano nella notte.
Alcuni dei momenti migliori di Swag arrivano quando Bieber lascia da parte la produzione pop. Zuma House è una ballata acustica ridotta all’osso, nello stile di Hitchhiker di Neil Young, 83 secondi di pura bellezza. Glory Voice Memo è una micro jam blues che sembra registrata col cellulare. Yukon è una versione un po’ più rifinita, con voci “chipmunkate” che evocano l’effetto Camille di Prince in If I Was Your Girlfriend. Per il gran finale di Forgiveness Bieber loda Gesù accompagnato dalla star gospel e pastore Marvin Winans.
E insomma, Swag fa capire che, sì, Bieber sta affrontando problemi e anzi che persino i suoi problemi hanno dei problemi, ma è riuscito a incanalarli in uno dei dischi più creativi e vari della sua carriera. “Non puoi spiegare le ali quando sei in gabbia,” canta in First Place. In Swag, invece, Bieber spicca il volo.













