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In ‘Everybody Scream’ Florence canta la mostruosità d’essere vivi

Welch è eccessiva, è spudorata, è troppo: è quel che ci vuole. La recensione del nuovo album di Florence + The Machine: un trauma, il mestiere di cantante, i pensieri inconfessabili. Un rito mistico e folk per ricominciare

Foto: Autumn de Wilde

Di tutte le mostruosità contenute in Everybody Scream, che è un disco autunnale pieno d’incantesimi e di visioni sinistre elaborate da una donna tornata dal regno dei morti, la più impressionante è contenuta in Kraken. Florence Welch è davanti alla tv e comincia a percepire il proprio corpo come una presenza estranea. Misteriosamente, l’acqua invade la stanza, le crescono i tentacoli, diventa un mostro marino. È una storia di trasformazione, vulnerabilità e vendetta nata dal dolore per non essere vista. La cantante ormai creatura affascinante e famelica fissa col suo unico occhio chi le ha detto che non sarebbe mai diventata nessuno, lo affoga sadicamente e chiede appagata: “Ora mi vedi?”.

Non vederla è impossibile. Everybody Scream è un gran disco ed è pieno di confessioni del genere. Ci sta che esca ad Halloween. È l’elaborazione in chiave gotica di un trauma personale, è una riflessione su una relazione che va e non va, è una finestra aperta sul mestiere di cantante e in particolare sull’essere una donna in un mondo di uomini, quello della musica appunto, e sulle proprie scandalose ambizioni e quindi su quello a cui bisogna rinunciare per alimentarle. Il punto di partenza è l’aborto spontaneo che Welch ha avuto nell’agosto 2023 durante il tour di Dance Fever. Quell’esperienza, la sensazione di non avere il controllo del corpo, la vicinanza alla morte l’hanno portata a leggere di misticismo e stregoneria, che è un po’ il sottotesto del disco e viene annunciato nella coda della title track in un flusso di coscienza tipico di Welch, interpretato dal coro femminile che l’accompagna: “La stregoneria, la medicina, gli incantesimi e le iniezioni / Il raccolto, l’ago, proteggimi dal male / La magia e la miseria, la follia e il mistero”.

Un altro effetto di quanto le è accaduto è la riscoperta del folk anni ’60 e ’70 che dà al disco un tono inquietante, ma meno urlato di quanto si possa pensare avendo sentito i primi singoli Everybody Scream e One of the Greats. Il primo è per forza gridato essendo il racconto di cosa si prova salendo sul palco mentre migliaia di persone ti acclamano e di come un concerto si può trasformare in un’esperienza mistico-tribale. One of the Greats è allo stesso tempo un’autocertificazione di grandezza dell’artista e il luogo dei dubbi sul proprio valore, il tipo di contraddizione tra voglia di sfida e insicurezza che anima molte canzoni dell’album. Contiene anche il passaggio “dev’essere bello essere un uomo e fare musica noiosa perché te lo puoi permettere” e una delle immagini chiave del disco: “Sono riemersa strisciando da sotto terra / Con le unghie rotte e la polvere in gola / Sputando le mie canzoni così / Che tu potessi cantare con me / E in ogni respiro affannoso sapevo di essere tornata dalla morte / Per mostrarti come si fa / Per mostrarti cosa serve per conquistare e crocifiggere / Per diventare una delle grandi”.

Welch non è sola nei suoi flussi di coscienza, nei suoi racconti dell’orrore, nei suoi sogni a occhi aperti. Compare spesso il Deep Throat Choir che la accompagna in un viaggio che sarebbe altrimenti solitario e lo fa con sfumature vocali che vanno dall’isterico all’inquietante. Succede ad esempio nella fenomenale Witch Dance, una danza ubriaca e un sogno gotico in cui Welch apre le gambe e ti fa penetrare dalla morte, per poi fuggire per una città piena di mostri che non fanno paura perché “in fin dei conti, non c’è nessuno più mostruoso di me”. E che meraviglia la confessione di Sympathy Magic, una delle due canzoni (l’altra è Drink Deep) scritte con Danny L Harle, quando la voce di Welch sale di tonalità e su una base di percussioni canta che “non trovo che la dignità sia una virtù, non cerco più di essere buona, non mi ha protetta come mi avevi detto”. E poi, quando la musica si ferma, “a testa alta, braccia aperte, dolorante, dolorante, dolorante, e viva, viva”, in un crescendo che è l’essenza stessa dell’esperienza musicale di Florence + The Machine, con in più un tocco hyperpop.

Se il folk mistico ma robusto di Perfume and Milk racconta il lento processo di guarigione dagli eventi drammatici dell’agosto 2023 tramite un’immersione nella natura – come canta lei “all shall be well” non lo fa nessuno – Buckle introduce il tema del tormento amoroso, forse per il chitarrista dalla band inglese da cui ha cercato di avere il figlio, con un testo pieno di confessioni di debolezza (“sono stupida e guasta e tu sei un disastro”, “mi fai pensare che andare in terapia siano soldi buttati”) e una musica invece rimata e quasi allegra. Il tema torna in Music by Men, racconto di una coppia in crisi perché le relazioni non sono come te le raccontano, “è molto più difficile di quanto sembri e non ci sono molti applausi”.

Everybody Scream è un disco di arrangiamenti cupi e vividi, di bridge spiazzanti, di canzoni meravigliosamente verbose, di visioni tremende abbinate a melodie pop, di tensioni e liberazioni, di cori che sembrano venire da un altro mondo, come quello glorioso che accompagna l’“ora mi vedi?” di Kraken. Ci sono storie ispirate ad altre storie, come Drink Deep che è nata dopo aver letto uno dei racconti di Damnable Tales: A Folk Horror Anthology. Annunciata da campanelle e punteggiata dai vocalizzi dell’Idrîsî Ensemble, è una favola horror che può essere letta anche come metafora della vita dell’artista: un popolo misterioso che le dà abiti e ricchezze e che le fa bere un liquido che le rende gli occhi scavati e la pelle cadaverica, e “quella che pensavo fosse una notte erano mille anni, quello che pensavo fosse un sorso erano mille lacrime”.

Florence Welch è una che canta il dolore dicendo di avere “scavato una buca in giardino e ci ho seppellito un urlo” e in quel punto è cresciuto un albero “e quando soffia il vento puoi sentirlo”. Lo dice nella stessa canzone in cui grida “you can have it all!”, risposta arrabbiata a chi dice che le cantanti pop possono avere tranquillamente sia una carriera che una famiglia. Di solito ad artiste del genere non si perdona d’essere eccessive, spudorate, ingombranti, potenti. Welch lo è nel mondo in cui scrive e nel canto appassionato che può ricordare quello di Patti Smith, senza il punk e senza gli sputi, ma con l’eleganza signorile che può avere la figlia (con un passato di disturbi dell’alimentazione e di dipendenza dall’alcol) di una docente di letteratura rinascimentale. Nella rielaborazione fantastica della realtà e nel suo essere in certi passaggi “troppo”, Everybody Scream è la quintessenza di Florence + The Machine, specialisti nell’espressività esagerata. Sì, Florence è eccessiva, a volte scrive testi lunghissimi, pensa troppo, crea mondi strani, canta in modo intenso e plateale, ed è lì il suo bello: solo essendo sfacciata può cantare la mostruosità d’essere vivi.

“Arriva la pace”, dice l’ultima canzone che si chiama And Love. Alla fine di questo viaggio horror folk Florence Welch spiega che l’amore non è il sentimento travolgente che raccontano nei romanzi, somiglia piuttosto a una resa ed è un bel mondo per chiudere l’album e cercare di mettersi alle spalle tutto, convincendosi con una canzone-preghiera che il dolore passerà, per lei, per noi, per tutti. E chissà che quest’anno Halloween non sia davvero la notte delle streghe che portano la pace.

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