“Don’t come if you’re not going to dance”: non è la prima volta che Tyler, The Creator organizza un listening party di un suo nuovo disco al costo simbolico di 5 dollari. L’anno scorso, però, per l’acclamatissimo Chromakopia, non aveva dato alcuna istruzione ai fortunati partecipanti del listening. Stavolta, invece, è stato molto chiaro nel comunicare ai 300 più veloci ad accaparrarsi il biglietto per sentire in anteprima domenica sera il nuovo album Don’t Tap the Glass: se non ballate, statevene a casa.
Perché potrà anche non essere un concept album, come lo stesso rapper di Los Angeles ha messo in chiaro sin da subito. Ma è chiaro che c’è un concetto da cui è scaturito il disco uscito lunedì (lui da sempre è contro all’uscita di venerdì, perché giustamente la gente nel weekend si fa i cazzi suoi) a sorpresa, cioè con tre giorni d’anticipo, e soprattutto nel bel mezzo del tour mondiale di Chromakopia, che mica ancora è finito: il concetto è che i telefonini hanno rotto il cazzo.
Tyler sfrutta la prima traccia, Big Poe, per impartire con una voce robotica tre semplici regole: numero uno, muovere il corpo, non si può stare seduti; numero due, solo parole di gloria, lasciate il bagaglio a casa; numero tre, non toccare il vetro. Prendendo in prestito la classica frase che trovi scritta sui pannelli degli zoo per non agitare gli animali ingabbiati all’interno, il nostro dirige il suo sguardo penetrante verso il male di questo secolo, un male che ci portiamo sempre appresso e che è diventato ormai estensione tossica del nostro corpo: il cellulare.
«Ho chiesto ad alcuni amici perché non ballano in pubblico e alcuni hanno risposto perché hanno paura di essere filmati», ha scritto sui suoi social Tyler, appena dopo il listening party. «Ho pensato: cazzo, una forma naturale di espressione e un certo legame che hanno con la musica è ora un fantasma. Mi ha fatto riflettere su quanto del nostro spirito umano è stato ucciso per la paura di diventare un meme, tutto per divertirsi. Sono appena tornato da un listening party per questo album e, cavolo, è stata una delle serate più belle della mia vita, con 300 persone».
Se ci pensiamo, l’azione che facciamo meccanicamente per più tempo al giorno è letteralmente toccare il vetro dello smartphone, cercando perlopiù informazioni di cui non abbiamo davvero bisogno o alimentando un ego con una micropopolarità che in realtà fa più danni che altro. «Nessun telefono ammesso. Nessuna fotocamera, solo altoparlanti e un’atmosfera surreale», ha continuato nel post, al suo solito tutto in caps lock. «Tutti ballavano, si muovevano, si esprimevano, sudavano. È stato bellissimo, ho ascoltato l’album dall’inizio alla fine due volte, mi sembrava che l’energia repressa fosse finalmente stata liberata e desideravamo l’idea di liberarne ancora di più c’era una libertà che riempiva la stanza, una sfera di energia che forse non si traduce in ogni altoparlante che suona questo album, ma quella stanza ci è riuscita perfettamente».
E poi conclude lapidario ma inattaccabile: «Questo album non è stato creato per stare fermi. Ballare, guidare, correre, qualsiasi tipo di movimento è consigliato per capirne lo spirito. Solo a volume massimo». Non solo, perché l’espediente che sceglie per l’album più breve della sua discografia (poco più di 28 minuti spalmati in 10 tracce) è quello dell’electro e dei suoni anni ’80. Già Kendrick con GNX era tornato al 1987, dedicando un intero progetto alla macchina sportiva che guidava suo padre di ritorno dalla maternità nel giorno in cui è nato.
Tyler invece si è comprato tre milioni di euro di Ferrari F40, che degli anni ’80 è una delle icone più riconoscibili. Già aveva sventolato l’acquisto nel disco dei Clipse, prodotto da Pharrell uscito due venerdì fa. Ora l’ha direttamente spiaccicata nel video di Stop Playing With Me, banger hi-nrg dal basso gigante e distorto dove tra l’altro appaiono (solo in video) i Clipse (Pusha T e il fratello Malice) insieme a LeBron James e il suo procuratore sportivo Maverick James.
Sugar On My Tongue parte con il drum roll di Could Heaven Ever Be Like This di Idris Muhammad, ma al posto dell’inno disco music parte un tripudio di drum machine d’epoca e synth arpeggiati non più recenti del 1990. Ad aiutare molto, come sempre, ci sono il gusto, la mano e la voce di Pharrell, che torna anche in Ring Ring Ring (che è praticamente Soul innestato su uno spensierato city pop giapponese 80s in stile Mariya Takeuchi), e nell’ultima Tell Me What It Is.
Il vero valore dell’opera è però celato in pezzi puramente assemblati da Tyler senza l’aiuto di nessuno e addirittura senza strofe dell’artista principale: Don’t You Worry Baby è un magnete per la pista da ballo, con la voce di Madison McFerrin, figlia d’arte di Bobby, a rassicurarti maternalmente come solo una voce femminile può fare, allo stesso modo di I’ll Take Care of You , in cui una voce angelica s’intreccia con la traccia vocale di Knuck If You Buck dei Crime MOB, forse una delle tracce più loud, esplicite e ballate nella storia dell’hip hop. Eppure, questo apparente ossimoro tra dolcezza e volgarità poi converge in un break di batteria che per quanto mi riguarda fa entrare I’ll Take Care of You nella top 10 delle genialate nella carriera di Tyler The Creator. Punto.
Per cui, niente, con questa mossa sicuramente farà una paccata di soldi di merchandise. Il dominio donttaptheglass.com era infatti già attivo e operativo tre giorni che uscisse l’album. Ma a noi che importa? Buon per lui, che non sbaglia un album da mai e che ci farà venire i nostri sacrosanti dubbi la prossima volta che, a un qualsiasi live, saremo incerti se tirare fuori il cellulare e toccare il vetro oppure ballare e sudare via malesseri esistenziali vari ed eventuali.














