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Il mondo fa schifo, ma almeno c’è ‘Twilight Override’ di Jeff Tweedy

Tre dischi, 30 canzoni tra folk e rock scritte e suonate in un clima famigliare per farci sentire meglio. E sapete cosa? Ci riescono

Foto: Shervin Lainez

Il mondo fa schifo, non so se l’avete notato. Jeff Tweedy sì e ci ha fatto su un disco, anzi tre. Il frontman dei Wilco ha descritto il suo nuovo triplo album come un umile tentativo di reagire all’orrore senza fine di questi anni ’20. E quindi se cercate 30 nuove canzoni scritte dall’autore di Schmilco, sappiate che Twilight Override vi farà sentire meglio, almeno finché dura.

Tweedy l’ha inciso con la band che lo accompagna di solito, ovvero i figli Spencer e Sammy e amici vari. Usa la sua personale variante di folk-rock affinata nel corso di decenni per confortare chi ascolta con un caldo abbraccio. Il primo dei tre dischi vi introduce nel suo mondo con la maestosa malinconia di Caught Up in the Past, la rêverie amorosa di Secret Door, il dolce twang di Betrayed. Persino la volta in cui ha vomitato durante un un ballo di fine anno, in Forever Never Ends, diventa un dolce ricordo grazie a un ritornello struggente degno di Alex Chilton. Il giovane alienato che era Tweedy non è mai sembrato così lontano.

Nel secondo disco s’insinuano i primi dubbi, e qualche pezzo rumoroso in più. Out in the Dark è un pop chitarristico percorso da un filo di preoccupazione, mentre Better Song dà voce alle domande che gli artisti si fanno a tarda notte. Nel terzo disco le performance si fanno più libere, che si tratti di far casino nella jam Lou Reed Was My Babysitter (che titolo) o del racconto di quanto è stato inaspettatamente bello un concerto rockabilly in Stray Cats in Spain, o ancora quella sorta di sequel della sottovalutata Muzzle of Bees dei Wilco che è la title track. Quando i testi di Tweedy si fanno più cupi, il potere terapeutico delle armonie vocali è sempre lì a sostenerlo. E quelle armonie intonate da Sima Cunningham, Macie Stewart, Liam Kazar e dai figli di Jeff lo portano a volte in posti sublimi, vedi Ain’t It a Shame, riflessione sulla mortalità e sulla giovinezza, una delle ballate più belle che Tweedy abbia scritto.

Se cercate un concetto che unisca tutti questi pezzi lo trovate più o meno in Feel Free, dove Tweedy condivide un po’ della saggezza accumulata con l’età in una serie di versi che somigliano a mantra. Gioca coi miti del rock (“Sentiti libero / Let It BleedLet It Be / John o Paul, Mick o Keith”), parla di seguire i propri sogni (“Sentiti libero / Pensa al tuo nome su un cartellone pubblicitario / Punta a qualcosa che non puoi vedere”) e di rimanere un po’ bambino (“Sentiti libero / Tira il pallone contro un albero / Cerca di recuperare il frisbee”). Più di ogni altra cosa, invita chi ascolta a usare la creatività come forza rinnovatrice e redentrice: “Sentiti libero / Registra un disco coi tuoi amici / Canta una canzone che non finisce mai”.

O forse la canzone che spiega tutte le altre è Amar Bharati, in cui canta dell’attivista per la pace indiano che tiene un braccio alzato da più di 50 anni (“Non è una storia inventata / E nemmeno un’esagerazione / È proprio lì / In alto / Dal 1973”). È un gesto significativo per uno come Tweedy, che pensa che scrivere canzoni ogni giorno sia un esercizio quasi spirituale, un impegno che richiede molto lavoro affinché abbia un significato.

Chi conosce la musica di Tweedy da un pezzo avrà probabilmente un’altra domanda: perché non ha pubblicato questi pezzi coi Wilco? In fondo non sono in uno stile radicalmente diverso da quello della band. E però la domanda nasce da un’idea che sarebbe saggio accantonare. Jeff e gli altri Wilco hanno fatto anche di recente dischi eccellenti. Confrontate le loro uscite del periodo maturo con quelle dei Radiohead, per citare una band a cui sono stati spesso paragonati, e vedrete quanto sono fortunati i fan dei Wilco. Forse c’è un fascino particolare nel poter far musica senza limiti e senza le aspettative associate a un disco dei Wilco. O forse più semplicemente queste canzoni con questi musicisti gli piacciono così come sono. In ogni caso, il risultato è indiscutibilmente buono.

Messi insieme, questi 30 brani si rafforzano e arricchiscono a vicenda dando vita a un album colossale che ripaga il tempo che gli si dedica. Fate pure la vostra playlist selezionando i pezzi che preferite, se volete — Tweedy vi darebbe la sua benedizione con uno dei suoi “feel free” – ma la verità è che ci sono poche canzoni che vale la pena tagliare da Twilight Override. Persino un interludio parlato surreale come Parking Lot aggiunge qualcosa alla comprensione di che cos’ha in testa Tweedy in questo momento (e in fondo, con un bel po’ d’immaginazione, la si potrebbe pensare come una canzone di Springsteen). E poi, arrivati all’ultima di queste 30 canzoni, che si intitola Enough e ha un assolo di chitarra elettrica distorta che è puro Tweedy, ci si convince che questo disco doveva per forza essere triplo. E questo sì che è un miracolo.

Da Rolling Stone US.

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