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Il disco rap da ascoltare in questo momento è quello di Killer Mike

Dal mondo Run the Jewels, ‘Michael’ è l’album di un rapper ‘High & Holy’. Tra acuti gospel, organi da chiesa e vecchio soul, è musicalmente massimalista (evviva!), con testi personali e introspettivi

Foto: Jonathan Mannion

Negli anni zero Killer Mike era una potenza, la risposta sudista a Ice Cube, un polemista in grado di rappare sia di spaccio che di politica e di farlo con la medesima credibilità. È passata una vita, undici anni, da R.A.P. Music, il classico inciso con El-P che ha ispirato i due a mettere in piedi i Run the Jewels. Ora, nel sesto album titolato Michael, il rapper canta di cose per lo più personali, e in particolare della madre e della nonna. Lo fa con empatia e senso della misura, pur continuando a utilizzare il suo caratteristico stile vocale grezzo.

Il produttore esecutivo (e artistico in alcune tracce) è quel No I.D. che ha messo le mani sui classici anni ’90 di Common e pure su pezzi epici più recenti come 4:44 di Jay-Z e Summertime ’06 di Vince Staples. La sua idea massimalista di musica prevede acuti gospel e organi da chiesa, forniti rispettivamente da Jason McGee & the Choir e da Warryn Campbell. Ci sono un sacco di ospiti, da El-P a Mozzy fino a Young Thug, e poi gradite sorprese come la rara apparizione di Andre 3000 (per di più al fianco di Future).

Gli ospiti celebri, il senso di elevazione spirituale, i campionamenti soul vecchia maniera potrebbero alienare le simpatie dei fan “hardcore”, che già si sono lamentati della presenza scenica un po’ buffonesca dei Run the Jewels e sentono la mancanza del vecchio Killer Mike, quello che nel 2008 immaginava d’ammazzare una regina della droga tipo Griselda Blanco.

Per non dire di chi è perplesso per le prese di posizione politiche e ancora si domanda come possa un sostenitore di Bernie Sanders appoggiare il governatore repubblicano di estrema destra della Georgia al posto di schierarsi con l’eroina democratica Stacey Abrams. Beh, questi ultimi dovranno accontentarsi dell’emozionante ma decisamente vaga Talk’n That Shit! in cui Mike rappa di “quella roba woke” su un beat tetro di DJ Paul dei Three 6 Mafia e TWhyXclusive che ricorda Tear Da Club Up.

Nonostante le basi cariche, Killer Mike rimane un autore di testi incisivo che porta Michael in un territorio da lui inesplorato. In Slummer, ad esempio, descrive come una storia d’amore adolescenziale che porta a una gravidanza imprevista. Mike rappa di aborto come una questione di vita e salute e potrebbe essere uno shock per chi lo ricorda accusare Planned Parenthood di “pianificare aborti” in A Christmas Fucking Miracle dei Run the Jewels.

“È evidente che tiro fuori il meglio quando sento che il mondo è contro di me e penso che non dovrei mai vincere”, rappa Killer Mike in Two Days. Sarà, ma Michael è il disco di un musicista e attivista all’apice della fama e della crescita personale. Qualcuno penserà che il viaggio verso la cima della montagna è stato più interessante di quel che Mike ha trovato in vetta. Ma va tutto bene per un uomo che rimane High & Holy, fatto e santo. E che gli haters siano dannati.

Da Rolling Stone US.

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