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I Blink-182 con ‘One More Time…’ sono tornati ai loro anni migliori

Melodie orecchiabili, testi agrodolci e il solito spirito cazzaro: com'è l'album della reunion dei paladini del pop-punk? È davvero la «migliore versione dei Blink»?

Foto: Rory Kramer

Ci sono alcune cose che si legano all’adolescenza di una generazione. Per la mia generazione – quella dei millennials occidentali – queste sono Ritorno al futuro, Mtv, Una poltrona per due durante le festività natalizie. E naturalmente i Blink-182.

I Blink-182 sono stati il progetto ideale per la Mtv Generation: pop-punk alternativo ma cantabile (grazie a strofe ben studiate e ritornelli facili e appiccicosi) con video (auto)ironici e spesso parodistici del mainstream di cui loro stesso facevano parte. La formula perfetta per attirare gli spettatori che cercavano una boccata d’aria tra i Backstreet Boys e Britney Spears. Una benedizione per Mtv (che li ha amati e spinti quanto poteva) e la stessa band capace così di segnare l’adolescenza di una generazione e costruirsi una fanbase leale che tra alti e bassi è stata al loro fianco durante 25 anni di carriera (come dimostrato nella loro unica data a Bologna di inizio mese che vi abbiamo raccontato qui).

25 anni in cui è accaduto di tutto: il successo globale di dischi cominciato con Enema of the State e Take Off Your Pants and Jacket, la pausa a sorpresa nel 2005, il riavvicinamento dopo l’incidente aereo di Travis Barker da cui il batterista uscì miracolosamente salvo, l’addio di Tom DeLonge sostituito per due album da Matt Skiba degli Alkaline Trio, il cancro di Mark Hoppus e la conseguente reunion di quest’anno con il ritorno di Tom DeLonge. Tanto, fin troppo.

Dopo California (2016) e Nine (2019), non erano rimasti in molti ad aspettarsi un ritorno a casa del figlio prodigo DeLonge, nemmeno lui stesso come ammesso in una recente intervista su Apple Music. Come era già successo nel 2008 dopo l’incidente di Barker, a pensarci è però stato di nuovo il destino. E a cantarlo è la stessa band nella title track del loro nuovo disco, One More Time…, il primo con DeLonge da Neighborhoods del 2011,: “Più vecchi, ma nulla è differente / tutto sembra uguale e mi chiedo perché / avrei voluto ce l’avessero detto / non dovrebbe essere una malattia o un aeroplano che cade”. One More Time… è infatti il brano che motiva, spiega e racconta intimamente il perché di questo ritorno: “Devo morire per sentirti dire che ti manco? / Devo morire per sentirti dire addio?”. Perché alla base di quest’album c’è prima di tutto un amore, un ritrovato amore fraterno.

Non aspettatevi rivoluzioni in questo album, One More Time… è la cosa più Blink che potrete sentire da oltre un decennio. Niente suona come Hoppus, DeLonge e Barker più di questo disco. Nonostante siano passati 24 anni da Enema of the State è lì che torniamo quando sentiamo le chitarre del brano del brano d’apertura, Anthem Part 3, che già dal nome chiude una trilogia iniziata proprio in chiusura di Enema of the State e continuata nell’incipit del seguente Take Off Your Pants and Jacket: che si riparta proprio da lì è una scelta simbolica. Altra similitudine l’arpeggio di Adam’s Song e quello di You Don’t Know What You’ve Got, in cui Hoppus racconta la sua battaglia (poi vinta) con un cancro, due canzoni che affrontano la morte con differente maturità. I tre sono certamente “più vecchi”, per citarli, ma nonostante questo non sembra passato nemmeno un minuto dal loro primo disco insieme.

Anche la voglia di cazzeggiare è rimasta la stessa, nonostante oramai i membri della band siano più vicini ai 50 che ai 30: il video di Dance With Me, in cui i tre omaggiano nel loro solito modo strafottente i Ramones, ne è l’esempio lampante. O sempre in Dance With Me, nell’intro, in cui DeLonge esordisce con “Quando insegno masturbazione dico sempre: “Divertitevi”. Il resto è tutto Blink per come li amiamo: melodie pop in chiave agrodolce, schitarrate e arpeggi, grandi passaggi di batteria, scambi vocali emozionali, cazzeggio e sano punk-pop lento, veloce e velocissimo. In più, questa volta, un’ulteriore profonda presenza del tema della mortalità, che Hoppus e compagni non hanno paura di condividere all’interno della scaletta.

I Blink-182 che questa generazione ha amato sono tornati, e lo hanno fatto in uno stato di forma quasi imprevedibile. Imprevedibile perché – a loro modo – tra parodie e passaggi sulla masturbazione, i Blink ora si sono fatti grandi, per davvero. Hanno visto la morte (e chi gli alieni, vero Tom?) dritta negli occhi e hanno continuato sulla loro strada, fino a ritrovarsi, si spera definitivamente: “Non voglio aspettare di farlo un’altra volta”. E allora non aspettate perché avete ragione: “Siamo tornati indietro nel tempo / ai nostri anni migliori”. «Siamo la nostra versione migliore» hanno dichiarato in un’intervista con Zane Lowe: la macchina del tempo ha funzionato, non potevamo chiedere di meglio. La nostalgia a volte va bene così.

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